La sopravvalutazione è una sorta di pulsione istintiva che viene messa in atto nel momento in cui pensiamo che, tutto sommato, nemmeno i nostri peggiori avversari di destra possano essere così bislaccamente stupidini (il diminutivo è volutamente eufemistico) da concepire, ad esempio, l’equiparazione tra la canapa indiana tessile e quella utilizzata a scopo di evasione dal reale o, peggio ancora, con quella che viene adoperata per fini terapeutici.
La sopravvalutazione è e rimane quella pulsione lì anche quando si ritiene che quello che dovrebbe essere uno “statista“, un uomo di governo, tale tristemente noto Viktor Orbán, invece di occuparsi dei veri problemi sociali del suo paese, si picchi di mettere praticamente fuorilegge le manifestazioni delle comunità LGBTQIA+ perché indurrebbero – questa è la motivazione – le giovanissime generazioni a non considerare la naturalità dell’essere uomini o donne, maschi o femmine e, già che ci siamo, anche la “normalità” della tanto celebrata “famiglia tradizionale“.
Tutti questi segni di oggettiva regressione culturale, sociale e civile, nonché morale, non vanno ricercati in chissà quale combinazione analitica di elementi strutturali che, pure, contribuiscono alla riemersione degli autoritarismi come fenomeni di controllo delle popolazioni nell’ambito della crisi più globale del neoliberismo. Semmai, uscendo dal prospetto ingannevole della sopravvalutazione, dovremmo convincerci che di imbecilli il mondo era, è e sarà sempre un po’ pullulante.
Dice… ma tu non rispetti le idee degli altri. Le idee le rispetto se non nuociono a nessuno. Ma se queste idee limitano dei diritti e presuppongono solo dei doveri che impediscono il pieno sviluppo della personalità di ogni singolo essere vivente (compresi quegli animali da cui pretendiamo di separarci grazie al nostro teorema antropocentrista e specista), allora no, non le rispetto; non le posso proprio rispettare. Nel mio piccolo, a cominciare da queste righe, le critico aspramente, perché sono escludenti e non includenti.
Le condanno perché sono discriminanti e non parificano, non presuppongono elementi di diffusione di una moderna concezione egualitaria di tutti gli esseri viventi. Il fatto che nell’Unione Europea esistano governi come quello magiaro e quello slovacco che vellicano l’omofobia e ne fanno un elemento di costruzione delle loro leggi retrograde e ultracattolico-conservatrici, è un problema che forse a Bruxelles e a Strasburgo dovrebbero porsi e con una certa celerità. Perché le democrazie sono sempre più in pericolo.
Perché si logorano così facilmente? Perché non reggono all’urto delle demagogie delle destre neonazi-onaliste e autoritarie? Compreso il fatto che, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, il neoliberismo ha proposto la messa a terra della combutta tra economia ultracapitalistica e mercatista e uno Stato prono al privato in tutto e per tutto, mantenendo le apparenze di regimi democratici, bisognerebbe cercare di capire anche il motivo della facile disaffezione dei popoli alla partecipazione politica.
Non c’è dubbio sul fatto che, almeno da quello che si può osservare a partire dalla crisi del biennio 2008-2009, i grandi intruppi in cui cade il neocapitalismo iperliberista si riversano su vastissima scala in intere zone geopolitiche che hanno un valore strategico per quelle polarizzazioni degli interessi continentali che finiscono con il dare una nuova fisionomia a quello che viene definito, a volte troppo banalmente, il “nuovo ordine mondiale“.
Con questa terminologia si sono appellati i più strampalati teoremi complottisti e si è, quindi, perso di vista, a poco a poco, il vero significato che il “pensiero unico” attribuiva all’importanza della comunicazione massiva e, quindi, alla diffusione di sempre maggiori idealizzazioni dell’Occidente come mondo eletto rispetto al resto del pianeta. Dal punto di vista non solo merceologico ed affaristico, ma anche sovrastrutturalmente concettuale, il nostro mondo nord-atlantico, almeno fino a che ha retto il dualismo tra Stati Uniti d’America ed Europa, ha rappresentato l’eccellenza planetaria.
Una eccellenza che, per essere tale, si appropria di qualcosa oltre l’80% delle ricchezze globali pur rappresentano appena il 20% della popolazione terrestre, dell’animalità umana. L’OCSE stima che, almeno negli ultimi lustri, le ricchezze dello 0,001% più abbiente siano aumentate più del doppio. Un ciclo di circa trent’anni, corrispondente ad un arco temporale che va dall’ultimo decennio del secolo scorso fino al 2020.
Esiste una correlazione, quindi, tra la concentrazione sempre maggiore della ricchezza prodotta sul pianeta e il rigurgitante revanchismo delle destre a livello globale: dall’Argentina di Milei all’Ungheria di Orbán? Dalla Russia di Putin all’Italia di Meloni, dall’ascesa di forze apertamente ultranazionaliste e dal profilo addirittura neonazista (per il loro portato anticulturale di xenofobia, omofobia, antisemitismo, anticomunismo e iper-identitarismo) in Europa al nuovo corso protezionistico e conservatore degli Stati Uniti a regime trumpiano?
Le coincidenze non sono credibili in questi frangenti. Non fosse altro per la legge dell’effetto farfalla, dovremmo convenirne che sì, un rapporto tra gli eventi di cui scriviamo esiste, c’è e va messo in evidenza per essere compreso fino in fondo. Preso atto che gli interpreti di questi partiti paranazisti e parafascisti sono dei personaggi che non provengono da una storia personale fatta di condivisione dei valori democratici, sociali e laici e che, quindi, il più delle volte la loro mediocrità è davvero combaciante con quella “di Stato” (per dirla con CB), i temi strutturali restano dirimenti in questo tentativo di comprensione.
Ma, come si faceva cenno all’inizio di queste righe, non va nemmeno poi del tutto sopravvalutato il valore politico di capi di governo che, per quanto tentino di spalleggiare il capitalismo ordoliberista dell’oggi con il rafforzamento dei loro esecutivi nel nome della sicurezza nazionale per una migliore affermazione del benessere comune, si può stare certi che dei grattacapi alle grande centrali dell’accumulazione della ricchezza privata li danno. Eccome…
Tuttavia, sembra che, nella fase attuale di sviluppo del multipolarismo, borse e mercati mandino messaggi a Trump quando esagera con le imposizioni daziali ma, alla fine, non scalpitino poi troppo per rimettere al suo posto un democratico liberisticamente compiacente ma prigioniero delle contraddizioni del politicamente corretto, almeno sul piano formale. Biden ed Harris perdono perché non hanno due sostenitori primari: la fiducia della maggioranza degli elettori e quella degli attori del mondo finanziario.
La prima la perdono nel momento in cui non offrono adeguate risposte di riformismo sociale alle classi più deboli del Grande Paese. La seconda la smarriscono perché Trump è quel catalizzatore di consensi che serve al capitale a stelle e strisce per far convergere disagio sociale esteso e diffusissimo con una narrazione salvifica in salsa neonazionalista. Il progetto MAGA è una risposta economico-politica all’eccessivo compromesso tra privato e pubblico offerto dai democratici ai mercati, che ne restano scontenti, e proposto ad una popolazione che non ottiene migliorie sul piano della giustizia sociale.
Considerato tutto questo, la già citata mediocrità delle classi dirigenti neonazionaliste e neoautoritarie è veramente imbarazzante: la storia delle democrazie occidentali, con tutte le loro evidenti disparità e con una sempre troppo evidente pretesa di ridominare globalmente il pianeta, dopo la conquista da parte dell’Europa del mondo a partire dalla fine del Quattrocento, ha avuto alti e bassi e, dopo la Seconda guerra mondiale, il dualismo USA-URSS pareva aver stabilito un equilibrio precario, ma pur sempre tale.
La fine dell’unipolarismo americano, recentemente archiviato dalla nuova fase imperialista multipolare, non è la fine di un’economia ma la sua trasformazione, il suo tentativo di resilienza rispetto ai grandi cambiamenti in corso. La domanda potrebbe, a questo punto, essere: ma quale classe dirigente sarebbe in grado di soddisfare sia i privilegi delle classi dominanti sia le esigenze e i bisogni esistenziali di miliardi e miliardi di esseri viventi?
Se a garantirsi quei bisogni non saranno le stesse classi sociali oggi in procinto di divenire la grande, immensa massa di neopauperismo ipermoderno, è difficile poter sperare in un qualche governo che possa farlo, mediando ancora una volta (si fa per dire…) tra capitale e lavoro, tra imprenditori e operai, tra alto e basso, tra pochi e tantissimi. Il bidenismo era la risposta pseudo progressista alle prepotenze del capitale: che tali erano e tali sono rimaste. In realtà, i democratici americani di ciò che noi intendiamo per “sinistra” avevano poco e niente.
Tra le loro fila solamente Sanders ed Ocasio-Cortez potevano affermare di essere i rappresentanti di un socialismo democratico. Il trumpismo, così come le autocrazie magiare, slovacche e di matrice suprematista bianca ed etnonazionalistica, rappresenta quindi l’attuale risposta sovrastrutturale ad una crisi verticale del sistema delle merci e dei profitti: ma qualunque risposta il capitalismo si inventi o trovi a buon mercato sulla piazza delle proposte, non è mai definitiva. Per il semplice fatto che la dialettica è inestinguibile e insuperabile.
Ciò che preoccupa maggiormente è questa saldatura tra la boria retriva del primitivismo politico delle destre estreme, capaci di trasportarci indietro nei periodi più bui della Storia tanto europea quanto mondiale, e l’übercapitalism che, a fronte della crisi climatica globale, deve attrezzarsi per resistere alle sommosse popolari che, inevitabilmente, si manifesteranno nel momento in cui l’acutizzarsi dei fenomeni si renderà sempre più incessante e ingovernabile.
La democrazia che cosa potrebbe, da questo punto di vista, garantirci? L’evitamento della crisi ambientale? No di certo. E nemmeno un attenuarsi degli effetti delle controversie tra i molti poli economici che emergono e si fronteggiano nella contesa planetaria. Ciò che garantirebbe sarebbe, nel migliore dei casi, una premessa di critica consapevole dal punto di vista del bene comune, del sociale, del civile: questo se la partecipazione popolare potesse trovare nuove forze politiche capaci di interpretare questi bisogni.
La mediocrità anticulturale delle destre, la loro pochezza morale e la loro retrività incivile, senza ombra di dubbio, non consentono di sperare in una presa di coscienza migliore rispetto a quella che si ha nelle democrazie liberali (e liberiste) di oggi. Dobbiamo avere contezza di ciò: l’essere anticapitalisti oggi vuol dire condividere valori democratici sapendo che la lotta per l’emancipazione sociale e civile non finisce con l’affermarsi dell’uguaglianza soltanto formale.
MARCO SFERINI
15 aprile 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria