Le portate del fiume Po sono in costante calo nel tratto piemontese e lombardo, mentre registrano una lieve ripresa alle stazioni di rilevamento in Emilia Romagna, pur restando lontane dalla media storica: a Pontelagoscuro manca all’appello oltre il 70% del flusso (fonte Arpae).

I grandi laghi sono sotto le medie del periodo: i bacini d’Iseo e di Como sono rispettivamente al 5% e 8,5% del riempimento, mentre il Maggiore è al 18,7% (era il 70% nel 2021 e il 90% nel 2020) e il Garda è indirizzato verso il minimo storico, registrato nel 1986. «Se non pioverà con regolarità nelle prossime settimane, inizieremo il nuovo anno già in sofferenza idrica. È evidente l’urgente necessità di aumentare le riserve idriche del Paese, trattenendo al suolo più dell’11% di acqua piovana, che attualmente riusciamo a stoccare quando arriva», dichiara Massimo Gargano, direttore Generale di Anbi che individua come nel Piano Laghetti (10 mila invasi medio-piccoli entro il 2030) una soluzione, proposta al governo insieme a Coldiretti.

Piano che ha, però, sollevato alcune critiche, come quella del Cirf, il Centro italiano per la riqualificazione fluviale, che ritiene sia la falda il luogo migliore dove stoccare l’acqua, anche per evitare effetti negativi sulla biodiversità.

Nella mappa dell’European Drought Observatory, riferita alla terza decade di settembre, questa macchia rossa di siccità si estende tra Portogallo, Spagna, Francia (forse la più in sofferenza), Germania, Paesi Bassi e il Sud dell’Inghilterra, per poi raggiungere l’Est Europa con Romania, Ungheria, Bulgaria e Moldavia. «È conclamato che la crisi climatica stia pienamente coinvolgendo l’Europa e che il problema debba essere affrontato in un quadro comunitario, per il quale – afferma Francesco Vincenzi, presidente Anbi – ci stiamo impegnando da tempo attraverso Irrigants d’Europe. È palese, però, il clamoroso ritardo di Bruxelles su questi temi, che pregiudicano non solo l’ambiente e la qualità della vita, ma anche il condiviso obbiettivo dell’autosufficienza alimentare».

A proposito di produzione agroalimentare, un rapporto del Wwf fotografa le difficoltà del momento: «La situazione climatica ha determinato in Italia perdite pari al 10% della produzione agroalimentare nazionale, per un valore superiore ai 6 miliardi di euro. In alcuni casi, i numeri delle perdite sono drammatici: fino al 70% in meno per diverse varietà di frutta e verdura, tra il 50 e il 60% in meno per il mais, tra il 10 e il 30% in meno per il grano, il 20% in meno per cozze e vongole, il 45% in meno per il mais e i foraggi per l’alimentazione degli animali, il 20% in meno per il latte».

Il sistema alimentare rappresenta il 29% dell’impronta ecologica globale delle attività umane ed è per questo che il rinnovamento dovrà partire necessariamente dalla sostenibilità. «Il settore agricolo ha la caratteristica unica di essere sia parte del problema sia della soluzione: da un lato genera emissioni di gas climalteranti, dall’altro può aiutare a riassorbirle con un’appropriata gestione sostenibile basata sui principi e metodi dell’agroecologia», conclude la responsabile sostenibilità di Wwf Italia, Eva Alessi.

MAURO RAVARINO

da il manifesto.it

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