Nell’immenso vomitatoio di scempiaggini che è anche la rete delle reti, lo spazio in espansione delle stupidità e delle falsità rappresentato dai miliardi di galassie di video da pseudo intelligenza artificiale e immagini sempre meno palesemente vere ma non per questo oggettivamente e immediatamente percepibili come false, gira da alcuni giorni un prodotto della mente superiore a cui si dettano le frasi chiave e, di conseguenza, vengono generate le relative raffigurazioni digitali.
Vi si immagina la Gaza del futuro, celebrata da Donald Trump come una sorta di Dubai del XXI secolo: dalle macerie dell’intera Striscia ad un paradiso vacanziero e fiscale per super ricchissimi con ballerine barbute (e qui un tiro mancino da gender fluid l’Intelligenza Artificiale glielo deve avere giocato pure allo staff propagandistico del presidente MAGA…), dollari sonanti che piovono dal cielo mentre Elon Musk mangia a quattro palmenti e si vendono gadgets del presidentissimo in oro.
E poi, ancora, statue sempre dell’elemento chimico con numero atomico settantanove, a significare un chissà quale spirito megalomane modernissimo attribuibile ai propri elettori fanatizzati come ultima scusa possibile. Ma Trump non conosce vergogna alcuna e lo dimostra il fatto che è lui stesso a far rimbalzare sui suoi canali social questo video agghiacciante. Ci sono oltre centocinquantamila morti a Gaza. Si contano centinaia di migliaia di feriti. E cosa fa il presidente degli Stati Uniti d’America: solennemente proclama al mondo che per lui la Striscia è niente altro che un affare.
Così come lo sono le “terre rare” ucraine. Finalmente si mettono da parte le cortesie istituzionali, le perifrasi e le parafrasi ingannevoli, fatte di circostanza, intrise di un fintissimo galateo di politica internazionale che ci ha propinato, progandisticamente, la guerra in Europa come una lotta del Bene contro il Male e quella di Gaza del democraticissimo Stato di Israele contro la massa indistinta di fanatici criminali rappresentata dai palestinesi. Cade ogni pregiudiziale in questo senso e Trump ha un solo pregio: non ha mezze misure, nemmeno nella comunicazione. Anzi, soprattutto in quella.
Parla chiaro: gli Stati Uniti vogliono esercitare un ruolo unipolare in un mondo multipolare; temono il ruolo emergentissimo della Cina e intendono chiudere la partita della guerra in Ucraina per consolidare i loro affari con la Russia di Putin, espandere i mercati e tenere sotto scacco Pechino che detiene gran parte del debito pubblico a stelle e strisce. Così è per Gaza. Trump ha sentenziato innanzi a Netanyahu: ce la prendiamo noi e ne facciamo una sorta di bengodi del Medio Oriente, costruendo grattacieli, edificando ovunque, trasformando le spiagge dove si accampano i profughi in mete esclusivamente turistiche.
Alle spregevoli e truculente intenzioni di un affarismo niente affatto celato agli americani così come al resto del pianeta, Trump unisce un linguaggio veramente agghiacciante. Per lui, e per il suo cerchio magico, tutto è acquistabile e non vi sono valori costituzionali, leggi, diritto internazionale. Contano soltanto i soldi e il potere che da questi deriva. Dopo essere stata sfruttata abbondantemente dall’amministrazione Biden per cercare di consolidare il neo-imperialismo americano mediante la guerra della Russia contro la NATO e viceversa, l’Ucraina ora viene messa davanti alla cruda realtà dei fatti: quello che a Washington importa sono le sue materie prime.
Miniere, sottosuolo, minerali… Niente altro. Democrazia? Libertà? Sovranità e certezza delle frontiere pre-invasione? Niente di tutto questo è scritto nelle risoluzioni proposte all’ONU. Trump presenta il conto: vuole rientrare delle spese di guerra e fare anche profitto sulla pelle del popolo ucraino. L’Europa è trattata come un fastidioso accidente e abbandonata, nella peggiore delle ipotesi, al suo triste, solitario e finale destino. Per Gaza, invece, il futuro sembra essere quello di un cinicissimo calcolo imprenditoriale.
Costruttori e affaristi si fregano le mani e assaporano già i contratti che potranno stipulare per fare della Striscia il resort di lusso dei peggiori speculatori del pianeta. Ciò che impressiona è il contrasto che si crea tra la cruda realtà genocidiaria della guerra israeliana contro il popolo palestinese e una fase postbellica in cui tutto questo viene messo da parte nel nome dell’affarismo spietatissimo di un accordismo transnazionale e intercontinentale tra alleati storici. Si baratterà Gaza con l’annessione della Cisgiordania allo Stato ebraico?
Siamo oltre il tentativo di mediare con l’ipocrisia delle forme politiche decisioni assunte dai vertici del capitalismo nordamericano, dell’imperialismo e dell’espansionismo globale della nuova teorizzazione tecnocrate di un mondo. Forma e sostanza si sintetizzano in una nuova narrazione della volontà della politica stessa, dell’amministrazione statunitense più conservatrice che mai sul piano dei diritti, più rivoluzionaria di sempre su quello dei doveri del globo nei suoi confronti. Dovevamo attenderci il peggio, ed il peggio arriva ogni giorno e supera sé stesso. Per fortuna ci sorprende ancora e ci indigna un po’.
Quando il tasso di assuefazione, a quelle che saranno derubricate a delle semplici “provocazioni” del presidente-magnate, sarà giunto al livello tale da non suscitare il benché minimo sussulto nel merito, allora avremo un ulteriore problema: come riuscire a far comprendere che tutto questo è di per sé, qui ed ora, un pericolo per la stabilità mondiale di cui a Trump, Musk e Vance non importa un bel niente. Ciò che conta è la sola salvezza dell’America del nord che vorrebbero inglobare tutta nel Grande Paese.
L’aver oltrepassato il confine del decente e dell’indecente, del dicibile e dell’impronunciabile, del possibile e dell’impossibile, non solo sul piano meramente linguistico e comunicativo, è un segnale di grande allarme per una società che, immersa nella assordante e incessante ripetizione dei contenuti social, si lascia plasmare meglio di un tempo, quando si doveva ancora fare la fatica di convincere i popoli a preferire un’idea piuttosto di un’altra. Oggi non più. Oggi la convinzione è superata dalla volontà diretta del presidente dalle statue d’oro erette nella Gaza di una dimensione ancora artificiale ma che qualcuno potrebbe giurare e stragiurare che, un domani, non sarà così?
Il tragicamente drammatico non sta propriamente in chi ha generato quel video (a meno che non siano gli stessi sostenitori più vicini al presidente): sta nel fatto che Trump lo ha condiviso e diffuso. Un minimo di conoscenza dei processi politici ci insegna che quando un capo di Stato parla o si esprime in altra forma, comunica al suo paese e al mondo una volontà altrettanto politica. Trump, dunque, oltre a vedere Gaza così, vede sé stesso nell’età dell’oro dove si vendono piccoli busti suoi e si erigono statue che nemmeno ai tempi dei Cesari erano pensate per il culto divino dell’imperatore?
A quale livello di inarrestabilità è giunta la megalomania imperialista, dominatrice su tutto e tutti, del movimento MAGA e del suo capo supremo? Se Trump si pensa in questo scenario come un dominus senza pari e come colui che può risolvere (si fa per dire, ma lo citiamo impersonalmente e indirettamente) qualunque problema al mondo, chi lo potrà convincere del contrario e riportarlo ad una dimensione propriamente e miseramente più umana? Il modo in cui si confronta con i capi di governo degli altri paesi è quasi sempre una tracotanza, una alterigia prepotente. I tono sono quelli del Marchese del Grillo, per cui io so’ io e voi nun siete un cazzo.
Questa tattica comunicativa è impostata per abituare miliardi di persone ad una mutazione quasi strutturale di una cultura del rispetto, della Legge, del diritto e della convivenza civile in altro: in una società in cui vale soltanto la forza del bullismo predatorio, dell’appropriazione indebita a tutti i costi, del “se posso, voglio” e non c’è nessun rispetto dei diritti altrui se chi li esige, come base riconosciuta un tempo della presupposta civiltà occidentale democratica e liberale, non li può contemporaneamente far valere.
Corrado Augias, giorni fa in una trasmissione televisiva su La7, ha detto: «La democrazia non ha autodifese. Regge fino a quando la maggioranza dei cittadini crede che sia un bene. Quando la maggioranza crede che della democrazia si possa fare a meno, la democrazia viene meno». E questa convinzione viene minata, spesso e volentieri, da una istigazione a ritenere il più debole fra noi come il problema su cui intervenire brutalmente, con leggi speciali e repressione, per evitare che il nostro stato sociale ed economico peggiori.
Il nemico non è mai il capitalista, il magnate che vive alle spalle di centinaia di milioni di salariati, di disagiati di ogni tipo. Il nemico è il povero. Il nemico è il migrante. La narrazione trumpiana, similmente a quella delle destre estreme e di governo europee e italiane, ha indotto la gente a confidare in una soluzione autoritaria per sbrigarsi a farla finita con tutto ciò che impedisce di realizzare non i diritti universali, bensì i privilegi di una parte della società: bianca, occidentale, cristiana, eterosessuale. Un insieme disvaloriale di presupposti che divengono le pietre angolari di una nuova inciviltà portata come esempio di futuro sicuro.
Sicuro per chi ha bisogno di una identificazione con i soli propri similissimi per riconoscersi e darsi un senso in un mondo distopicamente artefatto, costruito ad immagine e somiglianza di un potere imperialista che giganteggia con altri centri di espansione finanziaria ed economica: il gioco cinico e baro della competizione mondiale si tiene sul piano inclinato della frustrazione diffusa, del malcontento, della povertà incedente, dell’aumento di una ignoranza vincolata alla velocità dell’apprendimento di notizie che, per la maggior parte, sono falsificazioni della realtà.
I social sono uno strumento potentissimo in questo senso. Molta parte dei complottisti che votano e sostengono Trump non si rendono conto che il complotto sono loro stessi: vi sono stati trasformati in una sorta di nemesi del tutto coeva ai tempi moderni in cui hanno creduto di vivere liberi, scopritori di chissà quali intrighi sotterranei, e poter essere i tuttologi di qualunque castroneria: ieri soltanto internettiana oggi anche da intelligenza artificiale. La lotta contro il regime imperialista nordamericano e il bellicismo nordatlantico si fa con la mobilitazione di massa.
Per contrastare questi due fenomeni supermoderni con una consapevolezza sociale adeguata; ma serve, nel medesimo tempo, anche un recupero pieno di una criticità, di una coscienza di classe che sia scienza, che sia oggettività e non presupposizione. Per questo, più urgente che mai è l’impresa di fondare veri e propri canali di comunicazione nettamente alternativi a quelli dominanti, a quelli dei grandi supporter del trumpismo: tanto quelli della prima ora come quelli che sono arrivati alla nuova corte imperiale del secondo mandato il giorno del giuramento nel cuore di Capitol Hill.
Indignarsi contro qualunque ingiustizia e provare disgusto contro i video che fanno delle tragedie umane delle occasioni di speculazione a tutto tondo, è il modo migliore per mantenere, aumentare o creare ex novo un presupposto critico tale da impedire a qualunque demenza artificiale di penetrare nella nostra possibile, reale, concreta intelligenza umana.
MARCO SFERINI
27 febbraio 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria