Macron strappa il bis al dimissionario fedelissimo. I socialisti, che si erano illusi, non garantiscono la «non censura»
Un governo Lecornu 2. Ieri sera dopo le 22, scadute da tempo le 48 ore che si era autoimposto, il presidente ha rinominato il fedele Sébastien Lecornu, che si era dimesso lunedì. Oggi ci saranno chiarmenti sul governo: dovrebbe essere composto anche da personalità indipendenti, da tecnici. Sébastiene Lecornu accetta, «per dovere», per fare una finanziaria. Macron dà «carta bianca» al primo ministro. Lo “zoccolo comune” ha già perso dei pezzi, Horizon (la formazione dell’ex primo ministro, Edouard Philippe) dovrebbe restare fuori.
Fino a ieri sera tardi l’equazione politica per uscire dalla crisi in cui è impantanata la Francia non era risolta. Una crisi che è ormai quella della V Repubblica, troppo verticale, non adatta alla tripartizione attuale dell’Assemblea nazionale senza cultura del compromesso. Dopo le consultazioni della giornata con i partiti che non propendono per le elezioni anticipate, convocati con una mail alle 2 del mattino dal presidente, Emmanuel Macron ha sostenuto che c’è «una strada possibile» per «fare dei compromessi e evitare il voto» che potrebbe dare la maggioranza all’estrema destra, che ha in vista un’unione delle destre.
Il tempo stringe: il primo ministro in piena carica (non dimissionario) deve essere al lavoro per lunedì, ultimo giorno per presentare la finanziaria 2026, permettere la discussione all’Assemblea Nazionale ed evitare un esercizio provvisorio all’inizio del prossimo anno (anche senza governo completo).
È stata una lunga giornata, in una grande confusione. Alle 14,30, Emmanuel Macron ha ricevuto all’Eliseo i rappresentanti dei partiti presenti in parlamento, un po’ meno di una ventina di persone, esclusi il Rassemblement National e La France Insoumise. La ragione: questi due partiti spingono per elezioni legislative anticipate – ha spiegato l’Eliseo – mentre gli altri si sono dichiarati contro e quindi è con questi che si cerca una soluzione, invitandoli a un esercizio di «responsabilità collettiva».
Dopo più di due ore e mezza, delusione generale.
L’illusione della nomina di un primo ministro di sinistra è sfumata in fretta. L’Eliseo ha fatto una concessione parziale: non ci sarà un ritiro della riforma delle pensioni ma una possibile “sospensione”, cioè si rimanda a dopo le presidenziali del 2027 l’avanzamento dell’età pensionabile, bloccando la situazione a oggi, cioè a 62 anni e nove mesi (la riforma alzava l’età a 64 anni). Non c’è un annullamento che vorrebbe dire eliminare anche i passi avanti della riforma (sulle piccole pensioni, per le donne ecc.).
Appena usciti dalla riunione all’Eliseo, i Verdi si dicono «sbalorditi». La leader Marine Tondelier afferma: «Usciamo senza risposte», precisa che «il primo ministro non sarà di sinistra» e si dice «profondamente inquieta». Macron fa dell’aritmetica, dice, calcola che lo “zoccolo comune” (l’alleanza centristi-Lr) che per il presidente è la più grossa minoranza relativa con 210 deputati, è a pezzi e non terrà dopo tre primi ministri bruciati (Barnier, Bayrou, Lecornu 1). Il comunista Fabien Roussel, insiste: «Chiediamo un cambiamento politico» sui grandi temi «che interessano i francesi: potere d’acquisto, pensioni, giustizia fiscale, servizi pubblici».
Per il segretario del Ps, Olivier Faure, lo zoccolo comune è «a pezzi», ma il presidente «non è pronto» a nominare un primo ministro di sinistra, che sarebbe «legittimo», visti i risultati delle legislative anticipate del 2024 e l’alta partecipazione. Il Ps ha chiesto che non ci sia più ricorso al 49.3 (fiducia rovesciata per far passare le leggi senza voto), già Lecornu l’aveva accettato.
Faure non ha però visto passi avanti nella riunione all’Eliseo e minaccia: non diamo «nessuna garanzia su una non censura» del prossimo governo. Per il capogruppo Ps, Boris Vallaud, anche lui presente all’Eliseo, «Macron continua a pretendere di decidere tutto». E ammette: «Non sappiamo cosa faremo, non abbiamo nessuna risposta, neppure sulle pensioni, tutto è nel vago».
La destra Lr è in via di esplosione e non è certo che faccia parte del prossimo governo, c’è un rischio scissione per un partito già ridotto all’osso. In giornata, il ministro degli Interni dimissionario, Bruno Retailleau, segretario del partito che lavora per un’alleanza delle destre (con il Rn), ha affermato che non parteciperà al prossimo governo. «Metterò» fine alle mie funzioni» ha detto al congresso dei pompieri a Le Mans.
Qui era anche presente Marine Le Pen, che, non invitata all’Eliseo, ha parlato di «spettacolo deplorabile» e definito l’incontro «una riunione di venditori di tappeti per evitare le elezioni anticipate». Per la leader dell’estrema destra, che preme per legislative anticipate, c’è stata «una rottura» nella funzione presidenziale, che non ha rispettato la neutralità, dialogando solo con i partiti che non avevano rifiutato il confronto con il primo ministro Lecornu.
Per Jean-Luc Mélenchon «la responsabilità del caos è dell’Eliseo». Per il leader della France Insoumise, «o elezioni legislative o presidenziale avanzata», mentre ha denunciato «i conciliabili» del pomeriggio, che hanno escluso Lfi. «Il quarto primo ministro non avrà possibilità» afferma Mélenchon, che prevede la caduta imminente di qualsiasi nuovo governo.
Confusione anche tra le formazioni della galassia Macron, dove i tradimenti hanno già luogo, da Eduard Philippe a Gabriel Attal, entrambi ex primi ministri, che prendono le distanze da Macron. Philippe ha persino chiesto una presidenziale anticipata, ma «ordinata» nel 2026, dopo la finanziaria.
ANNA MARIA MERLO
foto: screenshot tv ed elaborazione propria







