In attesa che il G7 apra ufficialmente i battenti Giorgia l’Italiana è instancabile. La giostra parte già domenica sera, nei bilaterali con Merz e Starmer, prosegue nella notte al bar, quando alla combriccola si aggiunge Macron. Si riparte lunedì cercando di mettere tutti insieme sull’argomento che si è imposto come più importante di tutti: la guerra tra Israele e Iran ma anche ipotizzando una non meglio precisata «iniziativa comune» per il cessate il fuoco a Gaza. Con Trump l’amica italiana scambia una prima chiacchierata fitta, con anche il presidente francese, un attimo prima dell’inizio dei lavori ma il vero e proprio incontro potrebbe svolgersi a sera.
Non sono gli abituali scambi che costellano i margini di ogni G7 come di ogni vertice internazionale. È il ping pong, spesso in codice, tra due soggetti in realtà ben distinti: il G6 e gli Usa. Giorgia dovrebbe se non proprio stare in mezzo almeno fare da anello di congiunzione, l’europea più vicina all’americano del contado, dunque quella a cui spetterebbe il difficile compito di fluidificare le comunicazioni. Ma non bisogna credere che la situazione sia quella di un paio di mesi fa, quando la leader della destra italiana sembrava volersi davvero scostare dall’Europa per avvicinarsi a Washington oltre l’accettabile.
La pecorella smarrita è tornata all’ovile. Nessuna equidistanza. La premier italiana si è saldamente reinsediata nella squadra del Vecchio Continente. È da quegli spalti che tenta la mediazione con quella che è a tutti gli effetti una controparte, l’uomo della Casa Bianca.
Meloni lavora sulla parola d’ordine concordata telefonicamente sin dalle prime ore della guerra israelo-iraniana con i partner europei: de-escalation. Significa riconoscere a Israele moltissime ragioni, di fatto legittimare il suo attacco. La premier suggerisce di mettere nero su bianco sia il diritto all’autodifesa di Israele che la barriera invalicabile contro il nucleare iraniano. Ma su questa base lei, gli europei Uk inclusa e anche Canada e Giappone vorrebbero un cessate il fuoco immediato. Trump no. Chiede la resa e rifiuta di firmare il documento degli altri.
C’è un altro incubo che ossessiona tutti i partecipanti al vertice: la chiusura delle stretto di Hormuz. Ci passano 20 milioni di barili al giorno. La sua chiusura sarebbe una catastrofe economica. A occuparsene, in particolare con i ministri degli Esteri del Qatar e dell’Iraq, è Tajani ma la premier discute del foschissimo scenario eventuale con gli altri leader che stanno come lei col fiato sospeso. La de-escalation servirebbe anche a questo. Netanyahu ma anche e forse soprattutto Trump permettendo. L’americano non sembra permettere.
Poi c’è l’Ucraina. Senza l’Iran e Israele in fiamme sarebbe stata il piatto forte di questo G7 ed è stata un po’ derubricata, inevitabilmente, ma certo senza scomparire. Solo che anche lì il dialogo non promette affatto bene. Quella proposta di fare di Putin il mediatore nella contesa tra Bibi e gli Ayatollah è andata di traverso a tutti, anche se il solo a esporsi bocciandola fragorosamente è stato il francese.
Del resto era più un segnale che una ipotesi realistica e Trump lo rinvigorisce con la sparata contro quelli che hanno commesso un errore esiziale cacciando Putin dal G8. Gli europei possono continuare a considerare Putin il nemico e la minaccia. Per Trump è un interlocutore assolutamente credibile. Mediare è molto difficile anche su questo fronte, se non nella facciata certo nella sostanza. Meloni ci prova e ci proverà. Ma alla resa dei conti, ora, non ha più dubbi sul con chi debba schierarsi.
ANDREA COLOMBO
Foto di Life Of Pix