Landini: «Il quorum ci sarà, sul lavoro serve una svolta»

Il leader Cgil: «Ci rivolgiamo anche a chi ha votato la destra. referendum permettono di rendere meno precario il lavoro, è una grande battaglia di libertà. Basta col modello di impresa basato sullo sfruttamento». Ancora divisioni nel Pd. Delrio: «Non rinnego il Jobs Act»

«Siamo convinti che raggiungeremo il quorum e porteremo tantissima gente a votare perché è il momento per loro di dire la loro e di prendere la parola». Maurizio Landini, a Genova per un convegno della CGIL, sprona i suoi alla sfida referendaria di primavera. «Non è una battaglia di retroguardia, è arrivato il momento di metterci nella condizione di produrre una svolta. Penso che i referendum siano una grande prova di democrazia e di libertà».

«Noi ci rivolgiano a tutti i cittadini perché il referendum, a differenza delle elezioni politiche e amministrative, non è un voto che delega qualcuno a rappresentare, ma è un voto che permette a te cittadino di cancellare le leggi balorde che stanno limitando la tua libertà», insiste il leader CGIL. «E siccome quei referendum permettono di rendere meno precario il lavoro, vogliamo rendere più sicuro il lavoro, vogliamo estendere i diritti di cittadinanza a tutti, è una battaglia per la libertà».

E ancora: «Noi ci rivolgiamo non solo agli iscritti della CGIL, ma a tutti i cittadini e a tutte le cittadine del nostro paese, giovani e anziani, i giovani in particolare perché hanno sulle loro spalle una precarietà senza fine e gli anziani perché in modo molto chiaro se il mondo è fatto di precarietà, di sfruttamento, i sistemi di pensioni, i sistemi sanitari pubblici non esistono».

Landini incassa i sì di Schlein, di Conte e dei leader di AVS. Ma non bastano. «Ci rivolgiamo anche a quelli che oggi sono al governo. Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega non votarono il Jobs Act e quindi se vogliono, se pensano che sia venuto il momento di cambiare, noi ci rivolgiamo a tutti. E in particolare a quelli che a votare non ci vanno, a tutti quelli che non hanno preso parola, che non si sentono rappresentati perché questo voto non è un voto di schieramento e uno decide per sé, decide di migliorare la propria condizione. Io credo che ognuno di noi non voglia vedere suo figlio, suo nipote precario. Quindi io credo che sia un momento che ha una sua forza e che vuole indicare un punto. Non si è in una democrazia se chi lavora povero e precario non arriva alla fine del mese».

Il leader della CGIL non si mostra preoccupato per il silenzi di CISL e UIL sui 4 referendum sul lavoro. «Non lo sono». E insiste sui salari: «Deve essere chiaro a tutti che aumentare i salari oggi è un elemento anche per far crescere il nostro paese e questo tema lo deve assumere anche il governo. E quando dicono dove si vanno a prendere i soldi rispondo: facendo pagare le tasse, combattendo l’evasione fiscale, facendo tassare davvero la rendita e i profitti, mentre gli unici che pagano le tasse sono i lavoratori dipendenti e i pensionati». «Bisogna cambiare il modello di fare impresa. Negli ultimi anni, si è consolidato un modello basato sullo sfruttamento e sulla precarietà».

In casa PD i referendum sul Jobs continuano ad essere un punto dolente. Schlein ha annunciato che farà la sua parte per trainare i sì, ma i moderati non ci stanno. Graziano Delrio, promotore del convegno dei cattolici dem sabato scorso a Milano (con Prodi e Ruffini) mette a verbale la sua contrarietà «a titolo personale» (che è maggioritaria tra chi non ha sostenuto la segretaria al congresso): «Legittima la posizione di Schlein, ma noi abbiamo approvato il Jobs Act per il superamento di diverse carenze nella difesa diritti dei lavoratori: le dimissioni in bianco, i cocopro, la precarietà. Sui punti specifici ci possono essere differenze ma non rinnego quello che facemmo, perché mandò avanti il Paese. Non approvo il referendum, troveremo una sintesi tra tutti, ma non mi pare che il complesso del Jobs Act meriti una battaglia politica di cancellazione», dice a Rainews24.

Sulla stessa linea anche l’eurodeputata Elisabetta Gualmini: «Chiedere un plebiscito su una riforma di 10 anni fa è assurdo: oggi le questioni sono altre, il salario minimo, la sottoccupazione, la fuga dei cervelli, il caporalato digitale, nulla di ciò si risolve con un sì o un no. Parliamo di futuro e non del passato». Ma il gruppo dirigente vicino alla segretaria resta schierato per il sì. «Io andrò a votare e sosterrò l’abolizione di quelle norme», dice Sandro Ruotolo. E Arturo Scotto: «Quella legge non la votai, ho firmato i quesiti referendari e voterò per cancellarla».

ANDREA CARUGATI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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