Mentre Benjamin Netanyahu parla all’ONU e mostra cartelli con l’asse del male, con sopra tutti i nomi dei nemici di Israele e degli Stati Uniti d’America, mentre fa l’apologia di sé stesso, del suo governo e, quindi, nega qualunque atto genocidiario nella Striscia di Gaza, sostenendo addirittura di fornire ad ogni palestinese ben tremila calorie al giorno in derrate alimentari, in Italia il dibattito si concentra sulla rotta della Global Sumud Flotilla.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella interviene nel merito e lo fa anche con i consueti toni istituzionali, ma vi aggiunge un che di personale, da buon democristiano di vecchia data, tentando una mediazione per tutelare le vite di chi è a bordo delle imbarcazioni che veleggiano nel mare greco e puntano verso Gaza. La proposta è, oggettivamente, sensata se la si osserva dal punto di vista dell’impegno umanitario massimo coniugato con il minimo rischio possibile vista la situazione e visto che Israele colpisce chiunque osi mettersi sulla sua strada.
Ma, come rispondono dalla Flotilla, qui il punto è semmai persuadere il governo di Netanyahu a lasciar passare gli aiuti e, questo è il vero nocciolo della questione, consentire così di dare alla Palestina e al mondo un messaggio: il blocco navale dello Stato ebraico, illegale dal 2007, quando è stato istituito in spregio ad ogni norma del diritto internazionale e di quello marittimo, va tolto e va permessa l’apertura di canali di rifornimento regolari e costanti di cibo, medicinali, indumenti, strutture di primo soccorso e di accoglimento dei profughi che vagano per la Striscia da nord a sud.
La cricca criminale di Tel Aviv, perché di questo si tratta e non di un governo democratico di uno Stato raccontato ancora come democratico che è invece uno Stato oggettivamente terrorista e genocidiario, non permetterà mai che tutto questo si possa realizzare: le barche e le navi della Flotilla rischiano davvero di essere attaccate e affondate e i loro equipaggi tratti in salvo soltanto per essere arrestati e portati nelle prigioni israeliane alla stregua dei terroristi di Hamas.
Dunque una riflessione in merito al proseguimento della missione è dovuta, ma la decisione è solo e soltanto di chi sta mettendo i propri corpi di fronte alla prepotenza di un potere che non risponde a niente e nessuno: né al proprio popolo che protesta, né ai parenti degli ostaggi ancora in mano alla jihad gazawita, né alle Nazioni Unite che sono accusate, ogni volta che obiettano criticamente qualcosa, di essere un coagulo di inveterato antisemitismo. Un risultato la Flotilla l’ha già ampiamente ottenuto: ha fatto parlare di sé e del problema degli aiuti umanitari a Gaza in tutto il mondo.
In Italia in questi giorni sembra veramente riemerso un grande movimento di coscienze che non intendono stare a guardare, che non si accontentano della propria singola indignazione, ma che, invece, si uniscono, chiamate dai sindacati e dalle associazioni per la pace e il disarmo, in una innumerevole catena di mobilitazioni di massa che sono trasversali rispetto al colore politico e che, quindi, riuniscono chiunque voglia protestare col governo italiano per la sua inadempienza, per il suo silenzio per la sua inazione durata a lungo.
Durata almeno fino a quando, appunto, sollecitato dalle centinaia di migliaia di cittadini scesi in piazza da nord a sud della Penisola, spinto da un sentimento popolare palpabile e non circoscrivibile al capriccio antigovernativo evocato dalla Presidente del Consiglio, rivolto per lo più alla Flotilla stessa, il ministro Crosetto non ha deciso di inviare due navi a supporto delle imbarcazioni minacciate dai droni israeliani e da attacchi sempre più frequenti. L’illusione di un vero e proprio sostegno è comunque durata poco: il tempo di rendersi conto che le regole di ingaggio non prevedevano di scortare la Flotilla, ma seguirla da decine di miglia di lontananza.
Un effetto di deterrenza che, nonostante tutto, non va disprezzato. Forse il primo vero atto politico che questo governo fa nei confronti della tragedia palestinese e dei due anni di massacri che Israele perpetra a Gaza, oltre al sostegno alle azioni dei più fanatici coloni in Cisgiordania. Netanyahu, non lascia spazio a nessun margine di trattativa: le operazioni militari continueranno fino alla completa distruzione di Hamas, al rilascio degli ostaggi. Questi sarebbero, in teoria, i due punti su cui si fonda il nulla osta di Giorgia Meloni al riconoscimento dello Stato di Palestina.
Ma il premier israeliano ribadisce anche al Palazzo di Vetro: nessuno Stato palestinese, mai e poi mai. La Cisgiordania va annessa, Gaza affidata ad una amministrazione militare e civile che non sia nemmeno quella dell’ANP, troppo corrotta e compromessa. In quanto a corruzione, Netanyahu ne parla con contezza di causa, visto che la sua permanenza al potere è data soprattutto dal rischio di dover affrontare il carcere per via dei processi che tutt’ora ha in corso. Anche questo aspetto un giorno sarà vagliato dagli storici e potrà, forse, essere descritto come uno dei motivi o uno dei pretesti che hanno sostenuto il piano di eliminazione della popolazione palestinese da Gaza.
La Flotilla ha, quindi, aperto un varco in un muro di omertà che i governi hanno costruito per difendersi dall’accusa di correità nel genocidio: lo negano tutti di avere a che fare con le azioni criminali di Israele nella Striscia. Lo negano pur continuando a non mettere il briciolo di una sanzione economica contro lo Stato ebraico, vendendogli sempre più armi e sostenendo le ragioni della “reazione” rispetto al 7 ottobre 2023. L’Italia è fra questi paesi, complici di uno sterminio di massa. Non direttamente, ma, giorno dopo giorno, visto che le armi non sono noccioline, i morti che vengono causati dal commercio bellico sono sempre più numerosi e pesano sulle incoscienze di chi permette tutto questo.
Bene, dunque, il fatto che Crosetto mandi le navi, ma contemporaneamente, per sostenere ancora di più l’azione della Flotilla (deprecata e disprezzata dal governo per bocca della Presidente del Consiglio) e tutte le azioni umanitarie che sono già in atto e incontrano l’ostacolo israeliano sulla loro strada, la nostra Repubblica deve sanzionare Israele e promuovere una unità europea su questo punto che non è affatto di secondo piano. E poi, ci si domanda… Che cosa succederà non appena la Flotilla avrà lasciato le acque internazionali e lambirà quelle controllate illecitamente da Israele?
Gli scenari probabili non sono poi così tanti: il primo è che vengano fatti passare, approdare a Gaza per lasciare gli aiuti e poi liberamente tornare indietro per la rotta stabilita. Il secondo è che siano fermati dalla marina israeliana, abbordati e bloccati in parte, con qualche tentativo di altre imbarcazioni di sfuggire al blocco per romperlo in qualche modo, per mandare al mondo un segnale in questo senso. Il terzo è che siano prima attaccati e poi fermati con tutte le conseguenze del caso: arresti, detenzioni e conseguenti campagne internazionali per liberare gli attivisti dalle carceri israeliane.
Nemmeno a dirlo, ci si augura lo scenario meno cruento possibile, più fattibile con gli scopi della missione: portare aiuti e portare un messaggio di speranza dato dall’infrangimento del blocco navale, permettendo così ai gazawi e a tutti i palestinesi di confidare nell’apertura dei corridoi umanitari tanto dal mare quanto da terra. Il governo di Giorgia Meloni asserisce di essere in grado di portare a Gaza gli aiuti in breve tempo e non poi così difficilmente. Perché non lo fa? Anche attraverso il Patriarcato Latino di Gerusalemme, attraverso l’azione del cardinale Pizzaballa, ma perché non lo fa?
Non lo fa perché il ricatto israeliano è forte e si può affermare un po’ di ipocrita solidarietà con i gazawi solo fino dove è consentito da Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir. L’azione della Flotilla ha avuto il merito di compattare una grande massa critica di persone che provano indignazione per quanto sta avvenendo e che non si riconoscono in un partito soltanto, in un sindacato o in una associazione, ma che fanno prima di tutto riferimento alla loro coscienza, ad un livello empatico che si è alzato nonostante le crisi economiche che viviamo e lo stato di dimagrimento sociale continuo.
Dopo tante disillusioni, questo vastissimo “equipaggio di terra” che sostiene la Flotilla ridà speranza ad un’Italia frustrata, irta di pregiudizi e prevenzioni, obnubilata dalla propaganda delle destre sulle minacce rappresentate dalle migrazioni, dalle differenze, dalle culture laiche e non ostinatamente devote ad un religiosismo fanatico, tipico ormai delle estremizzazioni autoritarie di governi sovranisti e nazionalistissimi: Orbán, Meloni, Fico, Trump, Milei… Per la prima volta dopo anni, è il governo che ha paura di un movimento che cresce e che può davvero bloccare il Paese nel nome dell’umanitarismo, di un ritrovata e recuperata coscienza civile e morale.
Il canale saudita Al Hadath e il quotidiano progressista israeliano Haaretz affermano che il piano di Donald Trump in ventuno punti per fermare il conflitto di Gaza sarebbe stato accettato in linea di massima da Hamas: comprenderebbe il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani (con la consegna anche delle salme), il disarmo totale dei combattenti jihadisti, il ritiro parziale e continuo dell’esercito di Tel Aviv dalla Striscia, il rilascio di migliaia di detenuti palestinesi (anche di centinaia di ergastolani) e l’invio di aiuti illimitati alla popolazione civile.
Nei prossimi giorni ne sapremo di più. Per ora, purtroppo, l’azione genocidiaria continua e le parole di Netanyahu all’ONU non lasciavano margine ad alcuna ipotesi di accordo per una tregua o, addirittura, per il superamento delle ostilità criminali contro i palestinesi di Gaza. Trump lo conosciamo: oggi afferma e domani è pronto a smentire. Soprattutto non fa niente per nulla e quindi la trappola sarà bella e pronta dietro agli eventuali accordi per porre fine al conflitto. Concedere la buona fede a questi infedeli della coscienza e dell’umanità è chiedere troppo. Davvero troppo.
MARCO SFERINI
27 settembre 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria









