Da quando ero ragazzo non ho mai smesso di fare “La pista cifrata” su “La Settimana enigmistica“. Confesso che ho fatto anche quelle che si trovavano sugli innumerevoli tentativi d’imitazione della storica rivista fondata ormai quasi un secolo fa. La tentazione, infatti, era troppo grande: ma l’originale, senza dubbio, aveva una quintessenza di fascino che mi ha sempre accompagnato nello sviluppare sempre più la mia passione per enigmi, giochi, cruciverba, rebus, eccetera, eccetera.
Unendo quei puntini con una linea pressoché continua, appariva, alla fine, una vignetta, una figura. Si è trattato di una buona metafora che, nella sua piccolezza, mi ha insegnato, al pari dei puzzle, che se vuoi avere una chiara visione di insieme di ciò che ti sta davanti non puoi mai azzardare di sapere con compiutezza quello che accade se non dopo aver fermato la tua matita sull’ultimo puntino da unire agli altri.
Però, è anche vero che, sovente, vista la fretta con cui oggi siamo un po’ tutte e tutti portati ad assimilare notizie ed informazioni, capita che i giudizi affrettati vengano dati con un un pressapochismo che disarma, che non lascia spazio a nessun richiamo alla ponderazione e alla valutazione oggettiva con un discernimento proprio di una analisi ragionata e non sulla base di mere sensazioni o percezioni, il più delle volte, altamente preconcettuali.
Primi puntini…
Da tre anni a questa parte, oramai, il governo Meloni ha messo tanti di quei puntini e di quei numeri da unire con una linea spezzettata e continua al tempo stesso, da poter conclamatamente affermare che il quadro, pur essendo in evoluzione costante, è più che sufficientemente chiaro sul dove voglia andare a parare la politica delle destre che non amministrano grazie al potere, ma che amministrano il potere e lo fanno proprio.
Facendolo proprio, lo separano da un contesto costituzionale dato; per cui vale praticamente l’interpretazione che la maggioranza dà e si operano in questa direzione una serie di forzature che non giovano alla tenuta del regime democratico ma che, visto che questa è la programmazione del percorso di attuazione degli intenti più conservatori possibili, vanno nell’esatto orientamento (si prenda questo termine come un eufemismo non voluto) del superamento di una buona parte dell’architrave repubblicano così come lo abbiamo conosciuto.
La decretazione d’urgenza non è ovviamente una scoperta di questa legislatura e nemmeno si può affermare che sia una peculiarità dell’estrema destra che siede a Palazzo Chigi. Ma tutto dipende dal contenuto del decreto e dall’urgenza che vi si pone sopra, come bollo di ceralacca per sancire l’emergenzialità del provvedimento. Il disegno di legge sul pacchetto sicurezza, emendato dai suggerimenti del Capo dello Stato, si sta avviando alla conclusione del suo iter parlamentare.
Ma ecco che, forse, anzi sicuramente, per evitare che sia troppo edulcorato, il colpo di spugna del governo arriva con la proposta di un decreto governativo d’urgenza che scavalca la procedura di discussione ultima e di approvazione da parte della Camere riguardo quello che ormai è definibile come “il vecchio testo“. Il Colle aveva eccepito sulle SIM non acquistabili da parte dei migranti, sulle rivolte carcerarie considerate peggio di eversione contro i poteri dello Stato anche se in forma di resistenza passiva e su altre misure che alteravano l’uguaglianza in tema di diritti.
Il governo pareva essere arrivato ad una sostanziale condivisione sul recepire queste puntualizzazioni, così da rendere il testo del DDL almeno “non palesemente incostituzionale“. Ma, a due settimane dall’approvazione comunque di una norma irricevibile per la salute della democrazia propriamente detta e intesa, il colpo di mano arriva pronto e non smentisce il carattere prettamente autoritario delle destre molto poco “post” e ancora molto fasciste che si sono reinventate e ringiovanite con l’era meloniana.
Il Parlamento viene completamente esautorato con la scusa di una urgenza decretativa che non ha nessuna ragione d’essere. Ma ce lo ha insegnato Esopo che ogni pretesto è buono per chi vuole o non vuole fare una cosa. Dunque, nessuna meraviglia in merito, ma una necessaria opposizione politica, sindacale e sociale per evitare che, se oggi diviene possibile evitare la discussione nelle Camere e il loro voto conseguente su temi così dirimenti per la libertà di espressione, di riunione, di critica e di manifestazione, non è così balzano pensare che diventi una sorta di prassi.
La pista continua…
Ma proviamo ad unire i puntini. Questo era quello di partenza. Il successivo riguarda le leggi elettorali e i ballottaggi. Che cosa succede? È piuttosto semplice: la Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica sta in questi giorni esaminando un decreto sulle prossime elezioni amministrative e sui referendum. Consuetudine: si tratta di organizzare le tornate elettorali e quindi le Camere approntano sempre un decreto in questi frangenti.
Non ci dovrebbero, a rigor di logica, essere grandi problemi perché si discute di tempistiche, di modalità e non vi è, nel concreto, un reale dibattito politico su questi contrapposte, su interpretazioni non condivise. Un emendamento firmato dai capigruppo della maggioranza, tuttavia, dispone che la soglia percentuale di voti per eleggere i sindaci nei comuni con oltre quindicimila abitanti, passi da un normale 50% più uno al 40%, rendendo così l’eventualità dei ballottaggi del tutto superflua e trascurabile.
Piuttosto curioso il fatto che un emendamento di questa portata si tenti di inserirlo in un decreto parlamentare che riguarda tutt’altro: che cosa abbiano a che vedere le convocazioni dei comizi elettorali, l’allestimento dei seggi e le disposizioni conseguenti con una norma che modifica le Legge elettorale è tutto davvero da capire… Solo per questo fatto, il testo proposto dai capigruppo della maggioranza è palesemente inammissibile. Ma quello che davvero risulta poco chiaro è la ratio della norma nel contesto attuale.
Perché il governo, attraverso i suoi senatori, in questo momento opera quella che, a tutti gli effetti, è una oggettiva forzatura delle procedure che, se introdotte nel decreto sulle elezioni, metteranno il Presidente della Repubblica davanti alla responsabilità di rinviare il decreto alle Camere per una rilettura capace di estromettere ciò che di palesemente incostituzionale vi si trova scritto? Nel caso della decretazione d’urgenza sulla sicurezza si scavalca il Parlamento da parte del governo, qui la maggioranza del Parlamento tenta un colpo nei confronti del Quirinale.
Questa lotta intestina tra i poteri dello Stato, pare evidente a tutte e tutti, è tanto anomala (per usare un altro eufemismo…) quanto nociva alla salute democratica della Repubblica. Unendo i puntini si inizia a vedere qualcosa e proseguendo la pista cifrata il quadro si fa sempre più chiaro e, proprio per questo, abbastanza allarmante. La ricerca dello scontro tanto istituzionale quanto con la piazza sembra voler dimostrare che l’attitudine di governo da parte dell’esecutivo si produce nel comando e non nella gestione.
Vecchie ruggini
Anche questa non è una novità: se ne è già detto e scritto abbondantemente. Ma è bene sottolinearlo sempre e comunque. Perché occorre avere chiaro il fatto che la destra lavora per sovvertire la democrazia con la democrazia: quanto meno la destra che ha trascorsi a-democratici perché proviene da una lunga storia di ostilità nei confronti dell’arco parlamentare costituzionale di cui non poteva, in tutta evidenza, fare parte. La questione dei “poteri speciali” è venuta fuori non soltanto quando il terrorismo era la cifra dello scontro anche parlamentare ed influenzava la formazione dei governi.
La riscrittura della Costituzione è una ambizione di un neoautoritarismo che, purtroppo, ha avuto anche qualche possibilità di affermazioni dalle parti di un centro che cercava di attrarre persino la sinistra dalla sua parte. La crisi economica e la fase bellicista in cui siamo immersi pongono la questione di un differente rapporto del potere con la popolazione: esiste, infatti, una buona metà di cittadine e cittadini che disapprovano questo governo e che, di più ancora, sono ostili alla guerra come metodo di uniformità rispetto all’atlantismo imperante.
Nella natura di un governo risiede la tentazione di tenere a bada il dissenso e non di accettarlo come forma democratica di espressione delle critiche legittime e, in questo caso, costituzionalmente previste. Continuando a tracciare la pista cifrata, si può convenire sul fatto che il tratto comune di tutti questi passaggi è la compressione del dibattito, della discussione, del confronto. L’esecutivo non intende confrontarsi, ma solamente scontrarsi con le opposizioni e redarguire i sostenitori delle ragioni alternative alle politiche di Palazzo Chigi, riducendoli a pericolosi sovversivi.
Il punto principale della questione sta nella concezione tipica delle estreme destre neo e post-fasciste di un potere dello Stato che sovraintende i cittadini e che li considera quindi dei sudditi senza re e senza regno; persone che devono obbedire e non partecipare alla costruzione dei percorsi di condivisione delle scelte. Mettiamo un altro puntino, l’ultimo ma non ultimo, purtroppo, nella sequela già abbondante qui esposta.
A seguito di una perquisizione degli uffici comunali, in quello del Sindaco di Venezia, Luigi Brunaro, è stato ritrovato un elenco dettagliato con nomi, cognomi, (presunte) offese ricevute da giornalisti, titoli degli articoli, siti web da cui erano tratti, commenti sui social e altro ancora. Una vera e propria lista di proscrizione in cui sono catalogati coloro che hanno osato biasimare o disapprovare questo o quel provvedimento della giunta e, più in generale, della maggioranza che regge la Serenissima.
Caso meno grave rispetto all’autoritarismo di governo? Non c’è dubbio, ma siamo comunque sempre in presenza di un mancato rispetto della libertà di espressione, di stampa, perfino di satira. Ma, se uniamo i puntini, la figura dell’aspirante regime antidemocratico e autoritario emerge con nettezza. Se fosse il contrario non staremmo qui a scriverne. Lo facciamo perché l’emergenza non è quella securitaria, immaginata, propagandata e voluta dall’esecutivo meloniano. L’emergenza è antidemocratica ed è proprio il governo ad esserne l’espressione prima e incontestabile.
MARCO SFERINI
4 aprile 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria