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Marco Sferini

La pace bugiarda e cinica di Trump e Netanyahu

Dal punto di vista di Trump è un viatico per il Premio Nobel per la pace. Da quello di Hamas non è una resa, ma un modo per riprendere fiato e continuare nella gestione politica della Striscia e, quindi, anche nella lotta contro Israele. Dal punto di vista di Netanyahu è l’uscita da un ginepraio oramai divenuto insostenibile per sé stesso, per il suo governo, per l’intero Stato ebraico. Dal punto di vista dei palestinesi è una pace senza pace vera, perché questa si realizza nel momento in cui finisce non solo il conflitto genocidiario attualmente ancora aperto e in corso, ma in cui si concretizzano le condizioni affinché la vita a Gaza e in Palestina possa essere garantita nel solco dell’autodeterminazione, nell’indipendenza tanto della Striscia quanto della Cisgiordania in uno Stato entro i confini decretati nel 1967.

Primum vivere, certo. Non c’è dubbio alcuno su questo. Se almeno tacessero le armi, sarebbe già un risultato di un gran conto. Ma Trump tutto è tranne che un benevolo pacificatore: al punto 2 dell’accordo promosso dagli Stati Uniti d’America si legge: «Gaza sarà riqualificata e ricostruita a beneficio della popolazione di Gaza, che ha già sofferto fin troppo». Lascerebbe ben sperare questa riqualificazione, così anche la ricostruzione: se non fosse che quello che si prospetta, dietro la direzione del Board of Peace presieduto dallo stesso Trump e di cui farà parte Tony Blair, è in pratica un mandato amministrativo di vecchia conoscenza che, seppure aggiornato in termini e competenze, presuppone una gestione altra rispetto a quella che invece sarebbe potuta essere gestita dall’ONU.

In questo piano di presunta pace per Gaza si parla delle Nazioni Unite per la distruzione degli aiuti umanitari. La partita politica la gestiscono il presidente-magnate e altri leader occidentali e arabi pronti a spartirsi l’affare-Gaza. Sarà interessante seguire l’evolversi della faccenda in seno al governo supersionista in cui certamente i falchi Smotrich e Be-Gvir minacceranno la caduta dell’esecutivo… Il ritiro dell’IDF dalla Striscia è ammissibile anche solo ipoteticamente dopo oltre settecento giorni di avanzata bellica, di bombardamenti che hanno raso al suolo Gaza, Khan Younis, Rafah e le altre città? Dopo sessantasettemila morti, quasi duecentomila feriti e tanti scomparsi, come è possibile pensare che Israele si ritiri da quella che è una preda di guerra, una conquista, un predominio indiscusso?

Il governo di Netanyahu era ed è ad un bivio: continuare il conflitto senza il rilascio degli ostaggi, oppure ottenere – come prevede il piano Trump ai punti 4 e 5  – il rilascio di tutti loro in cambio della liberazione di quasi duemila palestinesi detenuti nelle carceri israeliane (tra cui millesettecento abitanti di Gaza, duecentocinquanta ergastolani e anche molti ragazzi). Se per Netanyahu può essere un prezzo pagabile in cambio della reciproca amnistia per i crimini contro l’umanità, per Smotrich e Ben-Gvir sarà forse uno dei punti meno accettabili insieme al ritiro dell’esercito dalla Striscia. Il piano parla di un periodo di amministrazione transitoria da parte del Board of Peace e in seguito la cessione della stessa all’Autorità Nazionale Palestinese riformata e avrà accettato il piano di pace trumpiano del 2020.

La drammatica situazione umanitaria impone anzitutto un cessate il fuoco permanente e non temporaneo. Solo con questa premessa gli aiuti umanitari potranno entrare nella Striscia (Trump garantisce oltre quattrocento camion al giorno in sostegno della popolazione gazawi) e dare sollievo a quel milione e mezzo di sopravvissuti che oggi vive sfollato in campi improvvisati, fino a ieri ancora sotto il tiro dei cannoni e dei droni delle IDF. Al punto 13 si precisa che Hamas non avrà più alcun ruolo politico in merito alla gestione del potere. Si parla di una “Nuova Gaza” da rendere accogliente, in cui «nessuno sarà costretto ad andare via»; chiunque potrà rimanere e costruire quella che viene descritta al punto 10 come una nuova città-perla del Medio Oriente.

Il piano Trump per Gaza

Leggiamo, dunque, questo decimo punto: «Un piano economico di sviluppo, ideato da Trump, per ricostruire e rilanciare Gaza sarà elaborato convocando un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di alcune delle moderne “città miracolo” fiorenti in Medio Oriente. Saranno prese in considerazione le numerose proposte di investimento già avanzate da gruppi internazionali, allo scopo di integrare sicurezza e governance e di attrarre questi investimenti, creando posti di lavoro, opportunità e speranza per il futuro di Gaza». L’affare è messo nero su bianco. Come prospettava anche Smotrich in una intervista apertis verbis. Visto che dovrebbe diventare una sorta di Monte Carlo della Palestina, quali e quante potranno mai essere le possibilità per un popolo affamato e privo di qualunque risorsa di potervi rimanere e avere un posto in mezzo ad alti palazzi pieni di una ricchezza tutta di altri?

Mappa di Gaza: il ritiro delle truppe israeliane. [Clicca sulla mappa per ingrandirla]

L’impressione prima che se ne ricava, provando a non considerare i video generati con l’Intelligenza artificiale pubblicati da Trump stesso su “Truth“, è che il piano sia impregnato di un cinismo bieco, tutto volto a speculare sulle macerie di Gaza, sulle decine di migliaia di morti e su una condizione del popolo palestinese che, nella migliore delle ipotesi peggiori, rimarrà prigioniero di un contesto che non gli apparterà in nessun modo. La pace di Trump è ipocrita e finta: non darà ai gazawi la libertà di decidere del proprio destino, ma gli imporrà, mediante il mandato americano-britannico, col sostegno di altri paesi arabi amici (o meno nemici) di Israele, la scelta se rimanere in una Striscia completamente strutturalmente stravolta o andarsene “spontaneamente“.

L’auspicio è che ci si sbagli, ma si può avere fiducia di Trump che sogna di espandere il prestigioso dominio americano nel mondo con una nuova forma di imperialismo, oppure di un criminale come Netanyahu che, fino ad oggi, ha fatto massacrare i palestinesi per sostenere il progetto di un’espansione israeliana di natura supernazionalista, mantenendo ogni condizione di apartheid i Cisgiordania, negando l’identità stessa dei palestinesi come popolo e sostenendo che non esisterà mai uno Stato palestinese? Delle due l’una: o Netanyahu ha mentito fino ad oggi o sta iniziando a mentire ora. Infatti, il piano Trump recita al punto 19: «Mentre la ricostruzione di Gaza avanza e il programma di riforma dell’Autorità Palestinese viene applicato con serietà, potrebbero crearsi finalmente le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese, che riconosciamo come aspirazione del popolo palestinese».

La stradestra sionistissima di Smotrich e Ben-Gvir accetta questo punto? Molto probabile che il governo cada proprio su un punto come questo. Ma il presidente americano ci ha abituato a considerare le sue parole delle iperboli poco credibili e facilmente smentibili a stretto giro di posta. Dunque, davvero è molto difficile poter attribuire anche un briciolo di buona, umanitaria fede a questi venti punti che terminano con l’impegno a promuovere la convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi. Se gli oltre settecentomila coloni israeliani rimarranno nella West Bank, quale potrà mai essere la pace vera dopo la lunga serie di omicidi perpetrati a Gaza in questi due anni? Se Gaza stessa diverrà un resort di lusso o qualcosa di simile, tanto da assumere i connotati di altro dalla cultura palestinese, che posto potranno avere i suoi autoctoni abitanti in questo immediato futuro di finta prosperità per tutti?

Un piano di pace può mai essere stilato da chi ha alimentato fino ad ora la guerra e l’omicidio come cifra del conseguimento dei propri obiettivi imperialisti, espansionisti? Israele ha riscritto la geopolitica del Medio Oriente attaccando tutti i suoi nemici: Hezbollah, palestinesi, siriani, iraniani, Houthi. Ha quindi reinvestito militarmente su una concezione politica intrisa di offensivismo chiamato “difensivimo” per meri effetti propagandistici. Ha praticato un genocidio e ora con questo finto piano di pace vorrebbe blandire una comunità internazionale che è disposta ad accettarlo nel nome della fine dei combattimenti e dello sterminio, dell’inedia in cui è stato scaraventato il popolo palestinese.

Nel piano di Trump, poi, mancano le tempistiche certe: non ci sono date assegnate ad esempio all’uscita delle truppe israeliane da Gaza e dalla Striscia. Del resto l’alternativa paventata dalle minacce del magnate-presidente era: o il piano viene accettato da Hamas o per l’organizzazione terroristica sarà l’inferno. Il che vuol dire che quell’inferno sarebbe stato per la popolazione civile. I venti punti sono dunque quello che, ad un occhio mediamente critico, dovrebbero apparire: la spartizione economica di ciò che rimane dopo (?) un genocidio, un esilio forzato dalle città, una riduzione dei palestinesi in reietti da cacciare con le buone (!) o con le cattive… E il diritto internazionale che fine ha fatto? Nel trump-piano quanto fatto da Israele non è menzionato minimamente: non vi è alcun cenno critico a quanto avvenuto fino ad ora.

Ma del resto, come sarebbe possibile se uno di coloro che hanno collaborato (senza ombra di dubbio alcuno) alla stesura dello stesso piano è il criminale governo israeliano? Un piano di pace dovrebbe essere stilato da una parte terza e gli Stati Uniti, tanto più Donald J. Trump, sono parte in causa diretta del genocidio e delle disgrazie dei palestinesi. Questo non è un piano di pace ma una dichiarazione di resa non solo per Hamas, quanto più per i gazawi oggi e i Cisgiordani domani. Ammesso che un domani possa ancora essere veramente immaginato viste queste premesse ipocrite e false. L’unica speranza è che per lo meno tacciano i cannoni, non volino i droni e il cessate il fuoco sia permanente. Il prezzo del nuovo regime d’apartheid di Gaza è il baratto con la vita, con la sopravvivenza… Un livello di cinismo maggiore è pensabile?

MARCO SFERINI

9 ottobre 2025

foto: screenshot ed elaborazione propria

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