L’onda arcobaleno fin dentro il cuore di Budapest, della capitale di uno degli Stati più conservatori e reazionari d’Europa. Una marea di persone, qualcosa di più di duecentomila corpi che si sono proposti come manifesto della civiltà contro la recrudescenza della bigotteria associata ad una voglia di autoritarismo nemmeno poi tanto strisciante come qualcuno vorrebbe far credere.
Non servono poi tante analisi, tante ricerche dei “veri motivi” per cui Orbán fa quello che fa: ossia reprimere il dissenso interno, anatemizzare le differenze umane, civili, sociali e trattare i cittadini a seconda dei paradigmi di una destra fanaticamente aggrappata ad un identitarismo senza il quale è priva di qualunque presupposto tanto politico quanto pseudo-culturale. Esistono a questo mondo intolleranti, vigliacchi che agiscono solo mediante la brutalità della forza e anche tanti, tanti, tanti ignoranti.
Leggasi però bene quest’ultima parola: ignoranti non per colpa ma per scelta. Quelli della superficialità come elemento discriminante di ogni questione. Ciò che appare appena oltre il pelo dell’acqua, è ciò che è. Pazienza se l’iceberg che ha affondato il Titanic pareva quasi piccolo vedendolo appena una manciata di secondi dopo che le vedette del transatlantico lo scorgessero dalla coffa là in alto…
Il sommerso era molto più inquietante e la sua massa, difatti, ha prodotto uno squarcio di oltre sessanta metri che ha fatto affondare quello che veniva chiamato “L’Inaffondabile“. Orbán farebbe bene a non sottovalutare quei duecentomila che sono scesi in piazza contro la sua visione iper-religiosa dell’esistenza, ultrafamilistica ed eterosessualissima. Nel Pride ormai ci sono tutti: etero, omo, bisex, transex, intersex, asexual e quel plus che rappresenta tutto ciò che l’acronimo – di per sé già abbastanza lungo – non può dire…
Per quanto la destra possa rialzare la testa, è la scoperta di poter avere dei diritti che, sebbene questi possano patire delle stagioni di flessione dovute ad attacchi delle peggiori forze reazionarie moderne, non potrà essere mai messa da parte e dimenticata. Nessuno ci potrà mai impedire di amare chi vogliamo, di provare sentimenti liberamente, senza preconcetti, senza precondizioni religiose, dogmi, imposizioni di qualunque tipo.
Da Stonewall in avanti, abbiamo scoperto un po’ tutte e tutti che i diritti civili, tal pari di quelli sociali del mondo del lavoro e del non-lavoro, bisogna prenderseli e non solo reclamarli. Bisogna, quindi, saldare le lotte e mettere insieme movimento e istituzioni, larga base spontaneista e organizzazione politica che rappresenti per l’appunto tutte le istanze possibili. Per questo, in particolare nel perimetro della sinistra di alternativa, va superato il preconcetto sull’inadeguatezza della democrazia rappresentativa come forma anche di affermazione delle lotte.
Non tutto può passare dalle istituzioni, ma è dalle istituzioni che molti condizionamenti si ripercuotono nel vivere civile e anche in quello sociale. Proprio per questo una sinistra matura deve avere contezza del fatto che quando si parla di “giustizia sociale” non si può pensare a compartimenti stagni ad una rivendicazione esclusivamente materiale: i lavoratori e le lavoratrici sono uomini, donne, persone più che altro che hanno la necessità di vedere soddisfatti tutti, ma proprio tutti i loro diritti di esseri viventi.
Nuovi autoritari, despoti del millennio appena iniziato vorrebbero una uniformità in cui l’uguaglianza fosse, come sempre l’ha interpretata il conservatorismo della destra, un livellamento e non, invece, l’esaltazione di tutte le particolarità e le differenze. L’uguaglianza dei diritti deve presupporre il rispetto di tutte le esistenze, qualunque forma prendano istintivamente, senza dover obbedire a percorsi tracciati da qual si voglia forma di potere e di autorità, laica o religiosa che sia.
L’Unione Europea vive una contraddizione in questo senso tanto grande da sembrare quasi non rimarginabile come ferita sul piano dei diritti fondamentali dei suoi cittadini: c’è un errore di fondo che risiede nell’anomalia rappresentata da questo aggregato di ventisette paesi con culture molto differenti fra loro che non si sono uniti sulla basa della confederatività complessiva, ma solo esclusivamente per fare fronte alla concorrenza del multilateralismo di un tempo e, oggi, disperano quasi di rimanere uniti davanti alla prorompenza del multipolarismo globale.
Non si dovrebbe nemmeno trattare di discutere se debba prevalere la concezione ipercattolica (o comunque confessionalissima) della famiglia oppure quell’invenzione tutta politica delle reti di associazioni straconservatrici che è la “teoria gender“. Una amnesia storico-filosofico-politica è volutamente preda di chi ha l’interesse ad affermare una saldatura tra la repressione delle coscienze e l’aumento dei diritti tutti. Civili, sociali, umani.
Va da sé, ormai, che senza una vera progressione all’unisono di tutti questi presupposti di vivibilità dell’esistenza in una cornice di qualcosa di più della sopravvivenza, della decenza e della tolleranza (tutti e tre concetti profondamente ipocriti e negativi al tempo stesso), non può registrarsi nessun avanzamento in termini di vera e propria giustizia sociale. C’è chi pensa che, siccome i Pride sono sponsorizzati anche da multinazionali e grandi aziende, per questo siano divenuti il contrario di quello che erano e per cui sono nati.
Se anche così fosse e, francamente, non è, a maggior ragione vi si dovrebbe partecipare reclamando un ritorno alla genuine origini dell’indipendenza del movimento per i diritti delle persone tutte, smettendola di etichettare e di etichettarci noi stetti tra etero, omo, bisex, transex, eccetera, eccetera. Siamo individui, animali umani che vivono insieme al resto dell'”animalità” che abbiamo dimenticato come contesto della nostra prima origine. Mi rendo conto che questo concetto è difficile che Orbán lo possa capire.
Andrebbe già di lusso se riuscissimo a fare comprendere al leader magiaro che gli esseri viventi hanno e devono poter avere uguali opportunità e non invece a seconda di dove nascono, di che colore è la loro pelle o del fatto se vogliono amare un uomo, una donna, o una persona che non si definisce in nessun modo ed è quindi – come si dice oggi – “fluida“. Impresa impossibile: i leader della destra europea, quella illiberale e ostinatamente ademocratica (compresa quella di casa nostra proveniente dai rimasugli del Movimento Sociale Italiano) sono irrecuperabili.
Così come lo sono Trump e anche Putin. Così pure gli ayatollah e gli sceicchi dei paesi arabi pieni di petroldollari. L’Unione Europea avrebbe potuto essere un trampolino di lancio per una riproposizione della modernità del Vecchio Continente anche in questo frangente: non solo la conquistatrice coloniale del mondo, ma anche l’esportatrice dell’antica teorizzazione del rispetto delle differenze, della separazione dei poteri, della laicità degli Stati, della solidarietà piuttosto che della tolleranza.
Invece la UE di oggi che non dovrebbe permettersi di avere in seno la serpe dell’autoritarismo orbaniano, finisce per subirlo, non osteggiandolo più di tanto, altrimenti andrebbe in pezzi tutto il settore Est dell’Unione. Siamo ostaggi di una proposta autoritaria di democrazia: il che fa già sorridere nell’enunciarla. Ma, purtroppo, c’è poco da stare allegri, perché, visti i disastri economici globali, la crisi dell’asse Washington-Bruxelles e l’apertura della nuova Via della Seta all’espansionismo imperialista asiatico, i diritti civili rischiano di venire vissuti come residuali, di vera poca importanza.
C’è chi si permette anche di irridere chi pone il problema della sopravvivenza delle api: che volete che sia se scompaiono…! Provate a pensare a come sarebbero i prati senza le api: a quanti fiori in meno vi sarebbero, a come sarebbe condizionato l’ecosistema… Circa il 70% delle colture odierne, potrà anche sembrare strano ma è così, dipende dall’impollinazione dei fiori fatto proprio dalle piccole amiche di Maia e Willy.
Questo per dire che se trascuriamo ciò che riteniamo irrilevante nel nome dell’enormità dei poteri e dei loro condizionamenti nelle vite di tutti i giorni, facendo la classifica davvero nociva dei diritti, finiamo col danneggiarci tutte e tutti e col consentire che a vivere beatamente siano i grandi magnati che controllano l’economia, i loro servitori di destra nei vari governi nazionali, le banche e i centri dell’alta finanza. Per ostacolare le manovre di questi “poteri forti” (che in realtà, invece, sono estremamente fragili), le rivendicazioni sociali, civili ed umane devono essere una sola lotta.
Nel momento in cui sfiliamo per reclamare la fine del genocidio a Gaza, dobbiamo avere la piena consapevolezza che quell’atto serve a reclamare non solo la fine della omicidiaria occupazione israeliana, ma anche condizioni di esistenza di un popolo oggi ridotto ad uno stato larvale, alla consunzione di sé stesso, alla fine davanti al procedere della ignobile storia dello Stato ebraico dal 1948 in avanti. Israele potrà anche essere considerato una democrazia perché ha un parlamento, perché il suo governo ha un’opposizione di contro, perché il Pride si può fare a Gerusalemme e Tel Aviv.
Ma nel momento in cui stermini un altro popolo, il riconoscimento dei diritti della tua gente non vale davvero un soldo di cacio e, infatti, viene oppresso dal peso della guerra permanente, della vita in casa e nei bunker sotterranei. Così, pace, libertà, solidarietà, giustizia sociale e diritti civili e umani sono una sola cosa, un tutt’uno che non è scindibile e affrontabile pezzo per pezzo.
I movimenti devono saldarsi, compattarsi, collaborare e guardare al superamento di questa economia criminale che produce tutte queste ingiustizie, differenze stigmatizzate, precondizionamenti, pregiudizi, razzismi, neoultrafascimi dai tanti nuovi volti e dalle tante nuove parole d’ordine. La marea dei duecentomila di Budapest non è soltanto uno schiaffo ad Orbán. Prima di ogni altra cosa è un appello all’Europa e al mondo: non siamo soli e non siamo così deboli come vogliono farci credere.
MARCO SFERINI
1° luglio 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria