La notizia riguardante l’invio della fregata Fasan in soccorso della Global Sumud Flotilla è parsa per alcuni istanti rassicurante: toh!, mi sono detto, anche il governo Meloni, come un orologio più rotto di quelli normalmente rotti, segna una sola volta ogni tanto un’ora giusta. Mi ero sbagliato. La fregata della nostra Marina Militare andrà incontro alla carovana pelagica, ma si terrà a debitissima distanza, per non prendere contatto alcuno con la GSF e quindi esercitare un pattugliamento molto alla lontana. Niente di più. L’operazione, quindi, si scopre per quello che realmente è: un cercare di blandire la pubblica opinione, irritata per l’inazione del governo di fronte agli attacchi israeliani alle barche della flottiglia e per il completo silenzio sul dramma genocidiario di Gaza.
Da questi sovranisti neonazionalisti da operetta ci si può attendere solo un bluff dopo l’altro, un barare cinico e anche un po’ barbaro, visto che l’accusa rivolta al governo, da parte di molti parlamentari delle opposizioni, di essere complice dello sterminio che sta avvenendo in Palestina non è una boutade, un’iperbole buttata lì per ingigantire le responsabilità, perché l’esecutivo meloniano non fa niente di niente per ostacolare le operazioni militari israeliani (come ad esempio mettere delle sanzioni economiche sui prodotti dello Stato ebraico) e, anzi, continua a vendere armi a Tel Aviv con una sfacciataggine degna di chi pensa di più ai quattrini e al potere rispetto alla vita delle persone.
La Flotilla veleggia verso Gaza sotto l’attacco continuo di droni che lanciano sostanze urticanti, bombe sonore e che si schiantano come kamikaze sulle fiancate o sugli alberi delle imbarcazioni. Tutto ciò, secondo degli argutissimi commentatori, dovrebbe rivelare l’estremissima ingenuità degli organizzatori e dei partecipanti a quella che, quindi, non è una missione umanitaria e simbolica al tempo stesso per cercare di forzare il blocco navale israeliano su Gaza, ma un avventurismo senza quartiere che, l’ha detto Giorgia Meloni, mette in seria difficoltà il governo italiano. Bene, se è così; perché lo scopo della GSF era e rimane anche quello di dare una smossa proprio ai governo che sono inattivi di fronte alla tragedia che da due anni si consuma nella Striscia.
Una inattività che si registra, ovvio, sul piano del contrasto alle politiche espansioniste portate avanti dal trio omicidiario Netanyahu – Smotrich – Ben-Gvir che teorizzano e praticano l’annessionismo tanto di Gaza quanto della Cisgiordania per dare vita al “Grande Israele” di cui in pochi parlano, considerando tutto ciò una illazione complottistica, mentre è il chiaro intendimento del governo dello Stato ebraico che, così, viola all’ennesima potenza il diritto internazionale, si fa beffe delle Nazioni Unite e ha nei confronti del resto del mondo un atteggiamento di assoluta prepotenza che non può più essere tollerata. Questo per quanto concerne i sentimenti che ci può provocare la vista del genocidio perpetrato contro il popolo palestinese.
Ma, al lato pratico, che cosa si può fare? Se la GSF è un marina di sognatori, può essere invincibile sotto questo punto di vista, ma al lato pratico, che fare? Innanzi tutto va preso atto che Israele non li sta ignorando come se si trattasse di piccoli moscerini da poter schiacciare in ogni momento. Il timore di Netanyahu deve risiedere certamente nell’attenzione che questa piccola flotta della pace e della solidarietà attira su di sé con un’azione non violenta e che, per essere smitizzata, deve essere inevitabilmente coperta di calunnie ridicole («La flottiglia di Hamas»!) agli occhi di una comunità internazionale che, al netto del governo trumpiano e di pochi altri fanatici dell’estremismo sionista, non raccoglie nell’interezza del pianeta grandi consensi.
La Flotilla contribuisce all’isolamento di Israele e lo costringe a fare i conti con una oggettiva, disarmata e disarmante presa di posizione che nessuna istituzione ha avuto il coraggio di animare. Il ministro Crosetto, riferendo in Parlamento, ha affermato che invierà ancora un’altra nave a protezione della GSF, ma che, nel momento in cui le barche entreranno nelle “acque israeliane” non potranno più avere alcun tipo di tutela da parte italiana. Ma quali sono queste acque israeliane? Quelle di fronte alla Striscia di Gaza? Se il ministro si riferisce a quello spicchio di mare è evidente che, legalmente, non solo acque dello Stato di Israele ma dell’Autorità Nazionale Palestinese. Il blocco navale israeliano, antecedente ai fatti del 7 ottobre 2023, è un blocco tutt’ora illegale.
Ora, che sia lo Stato ebraico a non tenere in considerazione l’interezza del diritto internazionale è ormai una prassi consolidata. Ma che l’Italia si adegui a questi standard è francamente irricevibile e dimostra, caso mai ve ne fosse ancora bisogno, la sudditanza nostra nei confronti di Tel Aviv che deve avere qualche potere ricattatorio, altrimenti non si spiega tanta devozione. L’ONU ha, dal 1947 con la risoluzione 181 (il “Piano di partizione della Palestina” disatteso fin dal principio e ostacolato anche da numerosi paesi arabi che hanno creato le premesse di un nocumento non di poco conto per il popolo palestinese), sancito che le acque territoriali andavano divise tra i due Stati ipotizzati: ebraico ed arabo.
Non è andata così, lo si sa; in più dal 2007 Israele impone ai gazawi un blocco navale che impedisce anche le attività più consuete di approvvigionamento di acqua e cibo. La proposta del governo di guerra alla Flotilla è chiara: vi concediamo di attraccare nel porto di Ashqelon (a poche miglia dalla Striscia di Gaza) per consegnare i materiali umanitari e poi rotta verso i propri paesi di provenienza. Considerato il genocidio in corso, c’è proprio da fidarsi: quegli aiuti verrebbero certamente distrutti o accaparrati dalle forze israeliane e i palestinesi non vedrebbero nemmeno un chicco di riso o un briciolo di galletta. I bene informati sostengono che la sola idea di rompere il blocco navale è una follia. Ed è vero. Anche solo figurativamente, che una sessantina di imbarcazioni, per lo più a vela, possano infrangere il muro di navi da guerra della marina israeliana è impensabile.
Ma questo è razionale su un piano di logica bellica, di contrapposizione sempre e comunque. La Flotilla vuole mandare un segnale all’intorpidimento, alla sedentarietà istituzionale dei governi del mondo: si deve fare qualcosa per fermare il genocidio in corso, si deve penetrare nel muro di rimbalzo messo da Israele nei confronti di Gaza, della Cisgiordania (dove peraltro un muro di cemento esiste eccome lungo la linea pressapoco di confine stabilita nel 1967) e la reazione israeliana nei confronti delle barche che veleggiano nel Mediterraneo, ormai al largo di Creta, la dice piuttosto lunga sulla presunta inutilità della missione. L’Italia potrebbe, al pari della GSF, fare un gesto simbolico (e fino ad un certo punto tale…): riconoscere lo Stato di Palestina, così come è stato fatto da moltissime nazioni tra cui Regno Unito, Francia, Spagna, Australia, Canada…
Meloni pone due condizioni: che siano rilasciati gli ostaggi e che Hamas non abbia alcun ruolo nel futuro governo dello Stato in questione. Siamo d’accordissimo su tutti e due i punti. Ma ipotecare il riconoscimento dello Stato di Palestina oggi a questi due presupposti vuol dire non voler riconoscere lo Stato stesso, visto che questa azione politica è ovvio che deve avere un carattere di premessa a tutto ciò che seguirà e che, quindi, è prima di ogni altra cosa una forzatura nei confronti di Israele, una leva per provare a muovere in senso opposto rispetto alla pratica genocidiaria, al massacro quotidiano del popolo palestinese, così da arrivare alla fine dei combattimenti e ad un dopo che abbia già un terreno internazionale favorevole per la creazione della Repubblica che dovrà comprendere Gaza e Cisgiordania.
Non basta l’intenzione, bisogna anche metterla in pratica per poter dire veramente di avere a cuore le sorti di un conflitto che dura da troppi decenni e che il governo di Netanyahu è riuscito ad estremizzare al punto da farlo divenire una lotta tra due terrorismi (quello di Hamas e quello dell’esecutivo sionista) sfociata in una pulizia etnica che rimanda ai peggiori scenari della Storia novecentesca e anche del nuovo millennio e secolo. La sproporzione tra legittima rappresaglia contro il gruppo jihadista che governava Gaza e sterminio sistemico di un popolo ha impedito, alla fine, anche a governo ideologicamente simili a quello di Netanyahu, come il governo di Giorgia Meloni, di negare apertamente i fatti che, nonostante le centinaia di giornalisti uccisi da Tsahal, sono venuti alla conoscenza quotidiana dell’opinione pubblica mondiale.
Il fatto che il governo italiano non senta di avere «nessuna corresponsabilità» con quanto sta avvenendo a Gaza è emblematico e ci dice che i ministri meloniani sentono il peso delle montagne di cadaveri provocate da Israele e tentano di smarcarsi dal giudizio etico di oggi e da quello della Storia domani. Se davvero non vogliono essere correi in questo epocale dramma moderno, devono mettere fine alla vendita di armi allo Stato ebraico, varare sanzioni come quelle imposte alla Russia per la guerra in Ucraina e mettere fine al doppiopesismo ancora in essere e che è il vero volto dell’ipocrisia di un Occidente che vede il nemico soltanto ad Est e non lo vede, invece, in Medio Oriente dove fa profumati affari con Israele e con i paesi arabi moderati.
Rimane quindi una domanda pratica: chi difenderà la Flotilla dagli attacchi dei droni israeliani? Chi fermerà la manu militari di Tel Aviv contro un potente simbolo di solidarietà, di pace e di giustizia per il popolo palestinese? Non la fregata Fasan che, pure equipaggiata per poterlo fare, non ha ricevuto ordini di tutela delle imbarcazioni con a bordo anche molte italiane e italiani, civilissimi e armati solo della volontà di gridare al mondo lo sdegno per la criminale condotta del governo israeliano. Non lo faranno altri Stati dell’area: non la Turchia, non la Siria, non il Libano dove i conflitti con Israele sono tutt’ora apertissimi. Non lo farà l’Egitto che sta approntando dei piani di difesa dalla fuga eventuale dei palestinesi verso sud.
Dunque la Flotilla è sola? Non lo è, perché ha tutte e tutti noi. Dobbiamo continuare a scendere in piazza per difenderla, per accelerare la fine del conflitto. La pressione delle manifestazioni di queste settimane qualcosa ha già smosso. Ma non è sufficiente. Bisogna dimostrare pacificamente non regalare alcun pretesto alle destre per sminuire il portato delle rivendicazioni di massa, imponendo così al governo di ogni nazione una politica differente verso la Palestina e, quindi, verso Israele.
MARCO SFERINI
25 settembre 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria







