La cattiveria ha voce ferma, l’umanità può anche balbettare

Si dice, anzi si sa scientificamente parlando che siamo degli esseri “abitudinari“, che pertanto le ripetitività ci fanno non solo adeguare alle situazioni ma che, di più ancora, ci...
Sergio

Si dice, anzi si sa scientificamente parlando che siamo degli esseri “abitudinari“, che pertanto le ripetitività ci fanno non solo adeguare alle situazioni ma che, di più ancora, ci fanno sentire a nostro agio, magari parte proprio di quella società che a poco a poco, quasi uniformemente si adegua alle novità che si stabilizzano e diventano consuetudine.

E’ una abitudinarietà comportamentale che, di conseguenza, diventa anche cognitiva ed esclude qualunque altra forma di ricezione delle informazioni; che privilegia determinati canali di apprendimento e ne relega altri nell’angolino più recondito della dimenticanza perché, altrimenti, si creerebbe una “alternativa” di usi, costumi e – o nostro immenso terrore – di idee…

Così, ai tempi delle tentazioni sovraniste, quelle che sembrano dilagare un po’ ovunque, che paiono conquistare le vuote menti di milioni di persone che si estraniano dalla necessità del sapere critico, della coscienza altrettanto critica e quindi evitano la coltivazione del “dubbio“, accade che Sergio, durante una manifestazione delle sardine, venga ripreso mentre parla ai cittadini radunati in piazza. Incespica nel parlare, manca di fluidità e così, senza volerlo, diventa oggetto di dileggio, di ridicolizzazione e anche di disprezzo da parte del mondo leghista che lo consegna al fiero pasto dei coltivatori di odio su Facebook e quanto d’altro vi sia per dimenticarsi dei rapporti umani.

Sergio ironizza sulla sua parlata, crea empatia con chi lo ascolta e lo applaude, ma indispettisce i sovranisti. Qualcuno certamente, partendo dalle considerazioni fatte al vertice e messe lì come marchio suggellante il giudizio del tutto impolitico sul ragazzo, arriva a deriderlo senza alcun filtro, alcuna tiepida morale del rispetto dei difetti, degli handicap altrui (comunque li si voglia definire).

Sergio ha una ventina di anni: è dislessico. Affermerà in seguito di essere gay e di comprendere bene cosa vuol dire essere discriminato, vilipeso, insultato. Questa è ancora una società che ritiene di potersi dividere tra “naturali” e “innaturali” o altrimenti tra “dalla sponda giusta” e “dalla sponda sbagliata“, per cui storie di pregiudizi e di violenze omofobe se ne contano purtroppo a centinaia ogni anno in Italia (a centinaia di migliaia nel resto del mondo…).

Conosco ragazzi dislessici, discalculici, disortografici (per i sovranisti che magari hanno qualche difficoltà con la comprensione della lingua italiana si consiglia l’utilizzo del dizionario, magari anche l’ottimo Treccani su Internet) e, a quel che vedo, sovente sono più intelligenti di quelli “normali” perché , così come accade per gli omosessuali in tema di affettività e sensibilità, occorre un impegno maggiore nell’apprendere le scienze matematiche, la lingua italiana, la sua scrittura e la sua lettura.

Una sera al cinema, guardando il penultimo episodio di “Star wars“, avevo accanto a me due di loro. Saprete, se avete visto almeno una volta nella vita un episodio della saga di Lucas, che principia con il famoso riassunto che procede in prospettiva lungo lo schermo scomparendo nello spazio infinito. Nel mentre leggevo, sento sussurrarmi: «Cosa c’è scritto?».

Nella frazione di pochi secondi sono passato dal dubbio sul perché mi si chiedeva ciò alla consapevolezza che forse un dislessico e disortografico fa fatica a leggere un testo in rapido movimento e peraltro non scritto normalmente in piano, ma obliquo…

Così gliel’ho letto. La stessa cosa ho provato a fare una volta con un film d’inizio ‘900, uno di quelli che hanno giustamente fatto la storia del cinema: era pieno zeppo di scritte – essendo un film muto – pure sovrapposte l’una all’altra per via della traduzione dei testi dall’inglese all’italiano. Ho fatto fatica io a star dietro alla velocità con cui si susseguivano le frasi… figuriamoci una persona che comprende le parole solo dopo aver messo ogni lettera una accanto all’altra mentalmente, facendo molta fatica e sforzandosi però nel farlo, per vivere come gli altri, per riuscire a partecipare come tutti ad una vita comune. Verrebbe da dire “normale“.

Io penso di comprendere molto bene Sergio: io non sono dislessico (almeno credo), ma a volte mi inciampo nelle parole grazie ad una balbuzie che mi è sorella da molto tempo, da quando era giovanissimo. Si dice che sia un fattore nervoso, frutto magari di qualche spavento o disagio infantile. Non saprei risalire al perché di questo. Per me, ormai, è una caratterizzazione del personaggio che recito ogni giorno «in questa commedia chiamata vita» (Svetonio, “Vite dei Cesari“, vita di Augusto, 99): siccome ho avuto a che fare per tanti anni con persone che soffrivano di una balbuzie davvero imponente, penso che anche i miei amici, chiunque mi conosce, sia abituato a sentirmi parlare così e a “rappeggiare” ogni tanto con alcune sillabe. Fa parte di me, è una mia “caratteristica” e mi dispiacerebbe persino che scomparisse così da un giorno all’altro.

Del resto mi ha aiutato anche nella espansione della mia cultura: meglio di un dizionario di sinomini e contrari. Eh sì, perché il balbuziente, di solito, mentre parla sente quando sta per arrivare a pronunciare una parola per lui insidiosa e, pertanto, fa una rapidissima ricerca mentale del sinonimo che più gli viene a tiro per evitare il disagio, per continuare il discorso senza inciampi di sorta.

Quindi è stato un esercizio quotidiano, un confronto serrato con la lingua italiana parlata, mentre per quella scritta non sussistono problemi.

Forse Sergio avrebbe potuto stupire Salvini e cantare quanto stava dicendo e non avrebbe balbettato: non è un prodigio magico, ma semplicemente – come dimostra la scienza – la zona del cervello che ospita la nostra parola “parlata” è quella dell’emisfero sinistro, mentre l’emisfero destro genera i suoni melodici, il canto. E’ una questione anche di respirazione: quando si canta si respira diversamente rispetto a quando si parla.

Credo che il punto dirimente di tutto questo ragionamento alla fine sia questo: la barbaricità dell’odio, del disprezzo, veicolo presunto di critica politica e che invece è soltanto cattiveria gratuita che viene espansa tramite i social, fatta dilagare e legittimata come comportamento eticamente sostenibile, socialmente accettabile e civicamente includibile nel contesto di vita quotidiana.

Questo Paese, e tanta altra parte del mondo, non solo sta perdendo il gusto della dialettica e della retorica dal sapore antico e dall’impiattamento moderno composto dalle nuove tecniche di divulgazione del pensiero. Questo Paese sta retrocedendo pericolosamente in un Medioevo culturale (con tante scuse al Medioevo, epoca in cui la cultura veniva invece preservata con scrupolo e dovizia), in una incapacità di ascolto, di elaborazione delle differenze tanto politiche quanto sociali e civili.

La derisione del diverso è stata una costante della storia umana: claudicanti, mendicanti, sordi, ciechi, muti, grassi, nani, bassi o troppo alti… i tanti “freaks” creati dall’altezza di chi si è sempre percepito come “normale” hanno popolato i secoli, anzi i millenni.

Ma se ci vantiamo di vivere in un’era tecnologicamente avanzata, possiamo dire altrettanto per quanto riguarda la morale?

Indubbiamente determinate circostanze, certi imbeccamenti da parte di sapienti dirigenti politici (per favore… “sapienti” lo si legga con la dovuta, giusta e misurata ironia del caso) sono nuovi punti di partenza di vergogne ogni tanto messe da parte, chiuse dentro un conscio che riesce a distrarsi dal lato oscuro dell’animo umano e trovare ragione di vita nella ricerca – ad esempio – di una solidarietà di classe, del sentirsi tutti uguali ed uniti in una lotta visto che, probabilmente, si patiscono le medesime pene.

Questi nuovi punti di partenza sono un pericolo per la democrazia rappresentativa, perché vogliono creare una società dove la diversità sia “tollerata” e non vissuta come ciò che è e deve poter essere: normalità frutto della natura dell’esistente.

Capovolgendo la frase e ripetendo un concetto che mi è caro: tutto ciò che è presente in natura non può non essere considerato naturale. La diversità può far ridere perché non vi appartiene o non ci appartiene. Così come fa ridere Charlot che cade ruzzoloni e fa mille capriole che invece dovrebbero suscitare pena. Ma un conto è la finzione che vuole provocare la risata; un altro conto è al realtà dove la sofferenza di per sé già esiste e dove viene amplificata da coloro che aspirano ad una supremazia del maggioritario rispetto al proporzionale. In tutti i sensi possibili. Anche sul terreno elettorale, sul quale, per fortuna, sono stati al momento sconfitti e fermati dalla Corte Costituzionale della Repubblica.

Caro Sergio, hai fatto bene nel continuare a parlare, nel riprendere il discorso e nel dire a chi ti ascoltava. «Ricominciamo?». Perché alla fine la piazza ti ha detto di sì e per una volta plaudo alle sardine, di cui non condivido la striminzita critica politica che si ferma solamente al salvinismo, mentre dovrebbe essere più coraggiosa e abbracciare grandi ragioni sociali.

La risata è tutta nostra e non dei sovranisti. E’ sempre la stessa, è la lunga risata che alla fine li seppellirà, perché non conta come ci si esprime ma ciò che si dice. E in quanto a questo, le parole di Sergio inframezzate da pause non volute o magari cantate sono umane. Le altre, proprio no.

#iostoconSergio #maiconSalvini

MARCO SFERINI

17 gennaio 2020

foto: screenshot

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