La beffa di Meloni: dice di tagliare le tasse, in realtà le aumenta

Il meccanismo diabolico del "fiscal Drag" è stato descritto nella relazione dell'ufficio parlamentare del bilancio (Upb) e danneggia i dipendenti. Più che imperizia, o propaganda, è un progetto classista. I dilemmi della spesa militare al 2%: si dovrà scegliere se tagliare i servizi o aumentare le tasse. Giorgetti: "La credibilità sta nel tenere in ordine i conti". Ma la credibilità e meno credibile quando ci si trova in un vicolo cieco

Doveva tagliare le tasse al «ceto medio», ha finito per aumentarle e neutralizzare i pochi aumenti dei salari che ci sono stati. Si annuncia il contrario di quello che fa, sapendo che i suoi disastri non produrranno effetti politici significativi. Quelli li ottiene annunciando deportazioni in Albania. È la parabola di Giorgia Meloni, al di là delle chiacchiere di giornata dei suoi alleati al governo.

Lilia Cavallari, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), ha presentato ieri in Senato il Rapporto sulla politica di bilancio e ha spiegato come funziona il meccanismo diabolico presentato dal governo come un successo a spese però dei soggetti che avrebbe voluto beneficiare. Questo è stato il risultato del caos prodotto dalla stabilizzazione degli effetti della decontribuzione per i lavoratori dipendenti (il cosiddetto «taglio del cuneo fiscale», l’unica politica economica attiva dell’esecutivo); delle detrazioni per il lavoro dipendente; dell’accorpamento delle aliquote Irpef prevista dall’esecutivo e, infine, dell’inflazione al 2%.

Tutti insieme questi fattori hanno «dato maggiore stabilità al sistema» ma, dall’altro lato, hanno aumentato le tasse personali sul reddito soprattutto per i lavoratori dipendenti. Così il governo è riuscito nell’impresa di aumentare la pressione fiscale su questi ultimi del 13%.

Questo non sembra essere propriamente un «fallimento» del governo Meloni, né solo il risultato di una propaganda sbilenca, come dicono le opposizioni. Il boomerang del «fiscal drag» descritta dall’Upb è il risultato di un progetto classista che contrappone lavoratori dipendenti a quelli autonomi. Il progetto intende sfruttare le risorse drenate ai primi per finanziare l’evasione e l’elusione fiscale di una parte dei secondi. è un progetto politico, la base del consenso, anche di chi vota contro i propri interessi.

È quanto emerge dall’analisi che ha fatto ieri il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari che sta denunciando da mesi il misto di imperizia e classismo del governo «Questo dipende – ha spiegato ieri Ferrari – sia dal meccanismo scelto dal governo per fiscalizzare il cuneo contributivo, che ha ridotto il netto in busta paga di gran parte dei lavoratori, sia dalla mancata restituzione del drenaggio fiscale. Da un lato, il governo ha fatto subire ai lavoratori dipendenti un prelievo di circa 18 miliardi dalla loro tassa Irpef, e 7 miliardi dai pensionati; dall’altro lato, ha fatto una ventina di condoni, poi fallimentari concordati preventivi, infine la flat tax».

L’Upb ha ricordato che c’è «il rischio significativo di non realizzare interamente il Pnrr entro il termine del 2026». È ancora limitata la quota di progetti nella fase conclusiva (32,4 per cento per 26,8 miliardi su 194 miliardi), serve intervenire su sanità e asili nido, al lumicino. Potrebbero «permanere divari significativi nonostante il raggiungimento degli obiettivi del Piano». Tutti sanno che andrà a finire così.

Per l’Upb l’aumento della spesa militare al 2%, dato per già assodato da Meloni in accordo con la Nato ma non con la Commissione Ue, imporrà «una scelta difficile»: tagliare la spesa sociale, dunque i servizi già in crisi, oppure aumentare le tasse. Cosa che sta già avvenendo, in realtà. Dare più soldi ai militari «rinvierebbe di un anno la discesa del deficit sotto il 3%. L’incremento della spesa per la difesa potrebbe generare un effetto espansivo sul Pil, ma comporterebbe una riduzione dell’avanzo primario e un peggioramento della dinamica del debito pubblico. A quel punto Bruxelles potrebbe intervenire e sanzionare il governo.

Tutto questo avrà un impatto sulla prossima legge di bilancio. Meloni ha quasi del tutto consumato gli spazi fiscali disponibili e, «a meno di miglioramenti della dinamica della spesa netta», eventuali nuovi interventi dovranno essere coperti con «aumenti di entrate o riduzioni di spese strutturali».Il ministro dell’economia Giorgetti si è detto consapevole dei rischi creati dalle pretese della Nato e del piano di riarmo Ue. «Senza credibilità dei conti non ci può essere un taglio delle tasse». La credibilità non è molto credibile quando ci si trova in un vicolo cieco.

Mentre l’Upb esponeva la relazione, il Senato ha approvato un decreto legge sugli acconti Irpef, varato dal Cdm il 23 aprile scorso nel tentativo di fare altra cassa sui dipendenti. C’è stata una marcia indietro perché Cgil e Caaf li hanno presi con le mani nella marmellata.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

Foto di Mikhail Nilov

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Economia e società

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