Per la Commissione Europea l’Italia non sta spendendo il 2% del Pil in armi, ma «solo» l’1,3%, nel 2024 e nel 2025. Lo si legge nel «Pacchetto di Primavera» del semestre europeo 2025 che non è un viaggio vacanze, ma il diario delle cose da fare per una gestione economica del malessere generale.
La differenza tra le due percentuali è sostanziale: sono più di dieci miliardi di euro all’anno in cannoni, aerei, soldati e tutto il resto. Ed è una questione politica, non algebrica. Mentre Bruxelles pubblicava questi dati ieri il ministro della difesa Guido Crosetto ha confermato il trucco contabile con il quale il governo intende dimostrare di avere raggiunto il 2% in armi. «Lo abbiamo raggiunto – ha detto Crosetto – grazie a una ridefinizione dei parametri di calcolo concordata con la Nato».
Oltre agli attuali 32 miliardi annui, un record, Crosetto ha sostenuto di avere calcolato «una parte dei Carabinieri, della Guardia di finanza, della Guardia costiera e alcuni investimenti in infrastrutture satellitari usate anche a scopo militare. È una cosa che hanno fatto già , o che faranno, altri Stati».
Crosetto ha anticipato che oggi ci sarà a Bruxelles un confronto con i suoi colleghi Nato sulla percentuale di soldi pubblici da erogare alle lobby militari. Bisognerà che lui, o Giorgetti, prendano appuntamento anche con la Commissione. Da quelle parti non hanno ancora ricevuto notizie di quanto sarebbe stato concordato con la Nato.
Non è nuovo il valzer sulla spesa militare italiana. Si è intensificata da quando la Nato pretende di finanziare l’industria armata chiedendo il 3 o addirittura il 5% del Pil. Ieri, la follia è stata rilanciata dall’ambasciatore Usa alla Nato Matthew Whitaker.
Il governo Meloni non ha i soldi, si è impiccato all’accordo capestro con la commissione Ue sul patto di stabilità , fa resistenza passiva sul piano di riarmo Ue. Ed è stato confermato ieri che, con Francia e Spagna, non ha fatto richiesta dell’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale, passo propedeutico all’accesso al programma «Safe» da 150 miliardi. Altri 600 dovrebbero arrivare dai bilanci, compreso quello italiano.
Ma il governo non vuole aumentare il deficit e il debito. Da questo si capisce l’altra idea di Crosetto che ha detto di spalmare la spesa militare su «20-30 anni e non 4» come richiesto da Bruxelles. Quando dall’Aja, tra pochi giorni, arriverà la richiesta della Nato del 3 o del 3,5% del Pil in armi, dove il governo troverà i soldi? Forse da sanità , scuola, università , pensioni o Welfare?
Per la Commissione Ue Meloni & Co. stanno facendo i compiti a casa. Tagliano, per esempio, 12 miliardi di euro a ministeri e enti locali bloccando la spesa sociale. È uno dei modi per rientrare dalla procedura per deficit eccessivo e rispettare il patto di Stabilità Ue: ora è al 3,4% deve arrivare addirittura all’1,5% sul Pil. A Roma sono stati così avveduti – «padri di famiglia» direbbe Giorgetti – da avere fatto di più. È spuntato un «tesoretto» teorico di 4,38 miliardi di euro derivato da risparmi superiori a quelli chiesti da Bruxelles.
Restano le questioni di sostanza,tutte inevase: l’«alto debito» pubblico, la frammentazione dei contratti di lavoro, i bassi salari, la produttività a singhiozzo. Bisogna fare la riforma del catasto, fare meno condoni, diminuire il costo dell’energia. E accelerare sul Pnrr perché il rischio è perdere i soldi. Mancano ancora il 57% degli obiettivi da raggiungere. E manca un anno dalla fine del piano. Non ci sarà alcun rinvio.
ROBERTO CICCARELLI
Foto di Polina Tankilevitch