Il potere. Come usarlo con intelligenza

Ci sono grandi domande per le quali è difficile anche solamente immaginare delle minuscole risposte, tanta è la possibilità interpretativa dei concetti che sono così estesi, di proporzione davvero...

Ci sono grandi domande per le quali è difficile anche solamente immaginare delle minuscole risposte, tanta è la possibilità interpretativa dei concetti che sono così estesi, di proporzione davvero universale, da lasciare interdetti quando si tenta una riduzione piuttosto soggettiva dei medesimi e di ciò che concretamente esprimono nella realtà. Viene un po’ platonicamente da pensare al mondo delle idee, ad un iperuranio in cui sono collocate le primordialità concettuali che, poi, si riversano nella nostra quotidianità spezzettandosi, atomizzandosi in molte, forse anche troppe, mutazioni o, se vogliamo, adeguamenti caso per caso.

Per cui, alla fine, la soggettività prende il sopravvento e le verità su cosa davvero significhi una parola che ha in sé i caratteri dell’universalità pare evanescente, imprendibile, addirittura impercettibile. La sfida è ambiziosa, non c’è che dire. E per questo la può tentare chi ha, non tanto l’ambizione personale di scalare la vetta di una presunta onniscienza, anche se su un singolo, dato termine; quanto, semmai, chi vorrebbe regalare ad una umanità scomposta e, tuttavia, aggrappata con la disperazione malinconica dell’incoscienza giornaliera ad una prospettiva di certezza che non riesce ad intravedere.

James Hillman, junghiano psicoanalista, saggista e filosofo americano, autore di famosissimi saggi ed opere che, naturalmente, indagano l’inconscio, il non emerso, ciò che ci abita e ci rende ogni giorno ciò che realmente siamo, è altresì il padre di un testo scritto circa una trentina di anni fa, edito in Italia solamente un decennio dopo la sua comparsa: “Il potere. Come usarlo con intelligenza” (Biblioteca Universale Rizzoli, 2003), recuperato alle stampe dopo un periodo di temuto fuori catalogo ed esaurimento nelle librerie nonché nelle biblioteche italiane. La struttura del testo è già di per sé avvincente perché è scritta per offrire un strumento anche conoscitivo ma, anzitutto, elaborativo del comportamento che possiamo adottare nei confronti degli accadimenti degli ancora più moderni tempi chapliniani.

Si tratta, infatti, di una divulgazione attenta, etimologicamente meticolosa di tutti quei concetti cui siamo abituati nell’ascolto e nella considerazione del termine più latamente universale qui sotto esame: non “un” potere fra tanti, uno in particolare, ma quello per antonomasia. “Il” potere, per l’appunto. La domanda relativa alla sua essenza, alla sua ragione d’essere qui nel mondo, ieri, oggi e domani, non è risolvibile mettendo in fila la parole che ne danno una definizione da vocabolario. Per quanto sia importante capirne anche l’origine, ciò che per Hillman risulta molto più accattivante è la sua sostanziazione nel presente in cui scrive e in cui si pone in rapporto al lettore per metterlo nella condizione di considerare il potere come qualcosa di utile e non di dannoso.

Se oggi parliamo di “potere“, siamo istintivamente portati a sentirlo feralmente lontano da noi, come una sorta di dio laico che ci sovrasta, che ci circonda, che non ci lascia in pace, che pretende, che impone, che reprime, che esercita quel controllo che, forse un po’ troppo consciamente, noi vorremmo avere tanto su noi stessi quanto su ciò che ci sta intorno e ci condiziona al punto da modificare, almeno in parte, il corso degli eventi. Il potere è, dunque, non solo possibilità, ma disposizione al superamento delle proprie capacità che, con la protesi del comando, mediante l’autorevolezza, il carisma o altre virtù da esibire platealmente, divengono un elemento congeniale alla ramificazione strutturale dello stesso. Hillman fa anche una breve storia del potere stesso, ma più di tutto gli interessa la sua dimensione moderna.

Senza scomodare Marx, che comunque è fondamentale per la comprensione dei rapporti che intercorrono tra economia, politica, società, cultura e, quindi, relazioni vicendevoli singole e ragione, sentimento e intellettuale collettivo, il filosofo e psicoanalista statunitense mette al centro della sua analisi proprio l’elemento economico in quanto cardine attorno a cui ruotano le più che moderne forme di potere: tanto nella sovrastrutturazione delle organizzazioni statali, quanto in quella di una comunità di popolo che aderisce quasi dogmaticamente alle ispirazioni merceologiche, al fatto che l'”amministrazione della casa” (questo vuol letteralmente dire il lemma greco οἰκονομία (“oiconomia“) è un po’ il senso dell’esistenza di oggi.

Se tutto si risolve nell’economia, nulla al di fuori di essa pare avere un significato compiutamente aderente ad una prospettiva di immediato o lontano futuro. Se la gestione delle cose che ci riguardano è essa stessa il fondamentale costrutto di un micromondo in cui noi sembriamo riconoscerci, perché tutto ha un matematico, preciso, corroborante e rassicurante senso e ci regala la percezione del nostro ruolo esistenziale, qui ed ora, sulla Terra come nell’Universo, ogni altra domanda pare, se non proprio perdere qualunque significato, quanto meno impallidire davanti alla sicurezza del potere che ci avviluppa benevolmente grazie ad una economia che è, quasi per definizione, buona a prescindere.

In realtà – avverte Hillman – non si deve dare nulla per scontato; mentre noi tendiamo sovente ad affidarci a verità assolute che abbiamo generato e contribuito a diffondere, anche con la nostra cieca obbedienza, figlia di un tradizionalismo che diventa anche legge sociale e civile, morale, etica non scritta proprio perché nipote e pronipote del tempo che fu. Per certi versi siamo già inclusi in una serie di processi di potere che, seppure partiti da ristrette comunità originarie, divengono globali nel momento in cui gli assi di diffusione dei commerci e, quindi, dei mezzi per sostenerci in vita, si fanno transcontinentali e vanno molto oltre gli oggettivamente ristretti, insufficienti confini nazionali.

L’economia moderna è, quindi, il cuore dell’analisi di Hillman riguardo un potere che si fonda sulla struttura individuata da Marx come elemento condizionante tutto ciò che di materialmente e immaterialmente esiste oltre essa ma non separatamente da essa stessa. Il Moro, all’epoca della stesura del primo libro de “Il Capitale“, non inizia ma continua a porsi, in parallelo con al disarticolazione del funzionamento del sistema di produzione capitalistico, il tema non dell’acquisizione del potere soltanto, ma semmai della sua controversa gestione. Il passaggio, essenzialmente, da un tipo di amministrazione ad un’altra è, secondo Marx, uno degli elementi controversi su cui concentrare lo studio antropologico dello sviluppo umano (e naturale) per comprendere le dinamiche singole e sociali e la nascita del potere medesimo.

La comparsa del “sovraprodotto sociale” è l’attimo iniziale, il big bang per così dire veramente “economico” e, dunque, strutturale, di una nuova era umana in cui qualcuno, avendo più di altri, ha di per sé un potere, anche se non è immediatamente riconoscibile in quanto tale, perché già in allora si è troppo abituati a considerare il potere come sinonimo esclusivo di “comando” e di “sovranità“. Ma qui, re e imperatori hanno un ruolo da comprimari. La concezione moderna di potere è affidata, quindi, come puntualizza molto bene Hillman, ad una imprescindibile dualità tra economia personale ed economia globale. Il rapporto tra il nostro modo d’essere, quindi di avere, possedere o di essere posseduti e utilizzati da altri, fa la differenza anche, se non soprattutto, per quell’interiorità inesprimibile consciamente che è il mondo dell’essenza vera di noi stessi.

L’economia è qualcosa di più di un sinonimo di potere: ne è la base fondante, il terreno fertile su cui nascono intere nuove aggregazioni comunitarie che le si afferiscono quasi naturalmente, perché la gestione dei rapporti sociali è anzitutto amministrazione dei rapporti su larga scala, ben oltre le nazionalità propriamente intese. La fase liberista del moderno capitale globalizzato ha, del resto, messo in pratica la premessa espansionistica di un potere ben più granitico e pressante di quello immaginabile soltanto nella delega popolare alle istituzioni. Qui la fase imperialista si esprime in tutta la sua dirompente energia e mostra come il potere significhi anzitutto, oggi, intromissione economica (e militare) negli affari di Stati altri rispetto al proprio.

La riflessione più complessiva di Hillman, tuttavia, riguarda la nostra essenza entro i cardini di un’economia che deve poter essere riconosciuta per quello che è: un ammasso di potere che si esprime in molteplici direzioni. Noi, consapevoli dei nostri limiti singolari, possiamo fare delle scelte per essere una parte condizionante del tutto: l’intelligenza nell’adoperare il potere risiede essenzialmente nel conoscerne tanto le potenzialità migliorative delle esistenze di ciascuno e di tutti, quanto quelle negative, ossia le ripercussioni che determinate scelte possono avere sia sulla materialità delle nostre esistenze, sia sugli aspetti e negli ambiti più reconditi della nostra interiorità. Non di meno, Hillman indaga le ripercussioni che l’inconscio ha sui ruoli di potere.

Se fosse ancora vivo, avrebbe molto materiale da cui attingere per nuove ricerche, partendo proprio dalla trasformazione del suo “grande paese“, gli Stati Uniti d’America: forse noterebbe, prima di ogni altra cosa, che il potere politico e quello economico vivono una commistione tale da risultare difficilmente separabili nel rapporto tra struttura e sovrastruttura. Per quanto le categorie interpretative marxiane siano attualissime, la torsione conservatrice e ultraliberista delle istituzioni della Repubblica stellata mostra al mondo una sorta di innovazione (tutt’altro che rassicurante in termini di stabilità sociale, civile ed anche morale…) dal retrogusto di un antico bonapartismo: lì dove, quindi, il potere dello Stato (e dell’economia che lo determina e ne fa il suo corifeo) è universale, su tutto e tutti.

Il racconto dei giornali e delle televisioni può raffigurarci il potere di oggi come in mano ad un presidente che è una sorta di decisore quasi unico, al di sopra della spartizione del potere costituzionalmente intesa, ma il fattore economico è e rimane strutturale, per cui le vere scelte le fa una economia capitalistica che ha trovato nuovi rappresentanti nazionali in un multipolarismo che ridefinisce gli assetti globali. Hillman considera non di meno il fattore emotivo come uno degli agenti condizionanti le scelte e, quindi, anche le economie che sono un prodotto umano che, purtroppo, si riversa malevolmente sull’ambito naturale e, quindi, su ogni essere vivente.

La resistenza dell’economia al cambiamento sociale, in quanto punta estrema, cuneo alterante dei rapporti di classe, è un altro tema importante che nel saggio si affronta. Non con le parole di Marx, è ovvio, ma con una analisi circostanziata tra traumi personali e traumi collettivi, tra inconscio singolo e inconscio collettivo, per l’appunto. Tutto viene compreso in una dimensione definibile come “politeistica” dell’economia e del mondo moderno. Non esiste un solo punto di riferimento per l’umanità priva di senso che quel senso ricerca e trova nella precisione trigonometrica della geometria tanto delle misure dei lati del potere quanto dei numeri delle borse. Gli dei, come al tempo dei greci antichi, sono tanti: borsa, finanza, mercato, merci, impresa, accumulazione, profitto.

Ed hanno dei corrispettivi sotterranei che sono i timori più ancestrali che si riverberano in quelli evidenti dettati da una materialità dell’esistenza che nega l’essenza animistica di fenomeni che l’essere umano percepisce come “anima del mondo” e, quindi, anche di sé stesso, ma a cui si sottrae per avere certezze più matematicamente algebriche da conto corrente e da biglietto della lotteria dove, grattando, forse ci si aspetta un po’ di quella serenità che questa società tutta economica non riesce, per quanto ricca mostri d’essere, a regalare, ad elargire alla maggioranza assoluta degli esseri viventi e molto, molto poco esistenti.

IL POTERE. COME USARLO CON INTELLIGENZA
JAMES HILLMAN
BUR, RIZZOLI, 2003
€ 12,00

MARCO SFERINI

5 febbraio 2025

foto: particolare della copertina del libro


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