Il popolo di sinistra è già pronto, e non fa sconti

Se le opposizioni di questo paese avessero chiamato una manifestazione nazionale sei mesi fa, un anno fa, è molto probabile che avrebbero ricevuto una risposta identica

La grande piazza romana di ieri, la massa di centinaia di migliaia di persone di diverse età, provenienze, classi sociali, dice due cose che dovrebbero apparire banali a chi fa politica di mestiere e a chi la vive come impegno quotidiano: che il coraggio paga e che le “basi” sono sempre un passo avanti, e un livello di radicalità oltre, le dirigenze.

Se le opposizioni di questo paese avessero chiamato una manifestazione nazionale sei mesi fa, un anno fa, è molto probabile che avrebbero ricevuto una risposta identica. Le persone vedono cosa accade in Palestina, l’hanno compreso da tanto tempo e sono pronte a reagire per camminare insieme e per condividere il senso di impotenza e la vergogna, quel dolore lancinante che per tante e tanti ormai occupa i pensieri perché ha scavato un buco, dentro.

Erano pronte a farsi massa umana, lo hanno dimostrato nel corso di venti mesi e di innumerevoli iniziative, ognuna e ognuno con i propri mezzi e nei propri spazi sociali, di lavoro, di strada.

La sinistra partitica ha faticato a cogliere e intercettare la mobilitazione dal basso, nelle varie forme che ha assunto, tende di protesta, cortei, raccolte firme, sit-in, presentazione di libri, proiezioni di film. Una “fatica” che ha permesso al governo e a un pezzo importante di stampa compiacente di procedere spediti nella criminalizzazione del dissenso, nell’oscuramento mediatico (di Gaza in primis, delle piazze poi) e nelle accuse strumentali e insensate di antisemitismo.

La criminalizzazione della protesta ha avuto effetti concreti: colleghi si sono autocensurati, giovani studenti sono stati manganellati, persone hanno visto messo in pericolo il posto di lavoro e l’Italia è stato uno dei pochi paesi occidentali in cui non si è riusciti a costruire una mobilitazione il più possibile larga, capace di portare in strada così tanta gente.

Ieri quella piazza, nel suo melting pot di colori e di appartenenze, ha apertamente contestato i ritardi dei partiti di opposizione, le mezze parole, i tentennamenti di questi mesi infiniti e la paura di dare un nome alle cose. Però c’era. Nonostante i ritardi, le mezze parole e la paura delle dirigenze, la piazza c’era insieme al senso di urgenza perché di fronte ai nostri occhi Israele sta compiendo un genocidio e un’ingiustizia lunga un secolo.

E proprio perché la “base” sta un passo avanti, e un livello di radicalità oltre, lo slogan più gridato lungo tutto il corteo romano era «Palestina libera». Che non è né un’altra banalità né nostalgia di antiche militanze: è il cuore del problema e la chiave alla soluzione.

Gridavano la fine di una forma prolungata e feroce di colonialismo e la giustizia insita nel riconoscere alle e ai palestinesi il diritto alla propria terra e a decidere per sé. Non gridavano Stato di Palestina, gridavano libertà. I partiti, dunque, abbiano il coraggio. Il popolo variegato della sinistra di questo paese è già pronto da un pezzo.

CHIARA CRUCIATI

da il manifesto.it

foto: screenshot tv

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