Saranno anche “episodi“, “casi isolati“, “goliardie” cameratesche ma, comunque le si voglia chiamare, restano delle gran schifezze quasi predatorie. Mani morte, tentate slinguazzate, approcci sessuali più o meno spinti.
Diviene tutto lecito solo perché il numero grande di partecipanti al raduno degli alpini a Rimini rimpicciolisce quello di chi si è dato ai bollenti spiriti in bar, ristoranti, per strada?
Le donne che denunciano vengono naturalmente processate prima dei loro molestatori: accusate di essere troppo esigenti, petulantemente pedanti… Noiose, insomma. Incapaci di stare allo scherzo. Perché sarebbero scherzi, sarebbero facezie e niente di più.
E magari questi imbolsiti o nerboruti rappresentanti di un corpo militare che vanta più ubriacature patriottarde a litri di grappa sarebbero pure contenti di sentire le mani di una donna sul loro pene o sul loro culo. Sarebbero probabilmente eccitati da una bocca femminile che tenta un approccio con la loro.
Non respingendo quegli atti, potrebbero considerarsi non predati – come invece le donne si sentono… – ma lusingati dal riconoscimento della loro virilità, del loro sex appeal e quindi concedersi a quelle che molta trogloditissima e moderna scuola di commento pubblico potrebbe definire delle “baccanti“.
Così, se tutto è un gioco, alla fine perché prendere sul serio atti che sono invece violenze? Il tentativo di sottrarsi alla proprie responsabilità, da parte di questi maschioni con il pene sul cappello, è equiparabile alla volgarità delle loro avances (eufemismo che potete eliminare e sostituire con “mascalzonate” o, meglio ancora, “tentati abusi“).
Già le penne sul cappello non mi sono mai piaciute, visto che a qualche povero animale le avranno pure strappate per poterle mettere sopra i copricapi militari… Ora, i peni sul cappello mi fanno veramente schifo. Senza mezze parole, così, molto semplicemente ed esplicitamente.
(m.s.)
11 maggio 2022
foto: screenshot