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Esteri

Il moderatismo non fa da argine all’ultradestra

Il maledetto imbroglio orchestrato da Emmanuel Macron che accreditandosi come invalicabile argine contro l’estrema destra aveva invece finito col varare un governo interamente dipendente dai capricci e dalla volontà del Rassemblement national è rapidamente andato incontro alla sua inevitabile fine. Era prevedibile.

Malgrado le sue corde profondamente conservatrici e non poche concessioni alla destra, il primo ministro Michel Barnier non è riuscito in nessun modo ad accontentare Marine Le Pen e la sua gente. Per una ragione assai semplice: un partito in ascesa e che punta ai vertici del potere, ossia alla presidenza, guarda più agli umori eccitati del suo elettorato che non al bon ton della responsabilità istituzionale.

Un elettorato che, inoltre, per nulla turbato da un voto di censura strumentalmente condiviso con la sinistra, tenderà a considerarlo con sufficienza come un astuto espediente per sgombrare il campo da soluzioni provvisorie e ambigue che, pur dipendenti dall’estrema destra, non ne riconoscono ufficialmente il peso politico.

È lo stesso problema che tutte le forze politiche del centro liberal-conservatore in Europa condividono in termini più o meno incalzanti: la sponda di destra estrema, in costante e generale crescita in molti paesi, esercita una attrazione fatale, nonché l’occasione di liberarsi degli ultimi lacciuoli keynesiani accuditi dalle socialdemocrazie.

Ma al tempo stesso quella destra, ancor prima che un alleato possibile, è un agguerrito e insidioso concorrente. Non più o meno blandamente alternativo come la sinistra, non complementare come lo desidererebbe il centro, ma baldanzosamente sostitutivo come ormai punta a rappresentarsi.

Per queste ragioni la destra radicale non può permettersi oltre un certo limite di assecondare di fatto, restando nell’ombra, le politiche impopolari di un governo centrista e tecnocratico. Meno che mai in Francia dove una forte reattività sociale è sempre in agguato. E, infatti, su un tema socialmente caldo e politicamente combattuto come l’adeguamento delle pensioni all’inflazione il tacito patto con Barnier è rovinosamente franato.

Lo stesso o ancora maggiore pegno pagherebbe una sinistra socialista, già punita per i suoi peccati di moderatismo, alla quale il centro conservatore concederebbe ancora meno di quanto, per intima affinità, fosse disposto a concedere al Rassemblement national.

Difficile cambiare rotta, dopo avere insistentemente mantenuto la barra a destra. Per ora nell’oscurità si intravede solo la caparbia presunzione dirigista del detestato Emmanuel Macron e la sua spregiudicatezza.

L’acutizzarsi della crisi francese (iniziata però nel luglio scorso) si somma alla caduta della coalizione di governo in Germania, dove si procede speditamente verso le elezioni anticipate che rischiano di sancire l’ennesima sconfitta di Spd e Verdi e una ulteriore avanzata dell’estrema destra dell’Afd, nonché l’inseguimento dei suoi temi e dei suoi elettori da parte del grande centro democristiano.

L’incertezza che grava sullo storico asse franco-tedesco in Europa potrebbe infine minare anche l’equilibrio faticosamente conseguito dall’opportunismo di Ursula von der Leyen con la sua Commissione che tiene insieme socialisti, liberali e Verdi dentro una tendenza che scivola progressivamente verso destra. E verso un acutizzarsi delle divisioni sulla guerra in Ucraina.

MARCO BASCETTA

da il manifesto.it

foto: screenshot tv

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