Il laboratorio della società militarizzata

L’appoggio incondizionato alla distruzione deliberata di Gaza, il «lavoro sporco» che fa Israele per conto nostro, ha annullato le pretese di superiorità morale dell’Occidente. La repressione politica e la censura culturale della protesta per ciò che sta realmente accadendo in Palestina stanno rivelando la rovina delle nostre democrazie

Non è inappropriato parlare della questione della Palestina e dell’attuale stato di Israele come di un laboratorio della modernità. Nel senso più ovvio, ciò si riferisce al modo in cui, nel Mediterraneo orientale, la retorica della democrazia e dei diritti si scontra con la dura roccia del colonialismo odierno. E lì, pubblicamente, si frantuma.

Questo è ciò che viene trasmesso in diretta streaming dal genocidio e dal campo di sterminio di Gaza e dalla violenza della pulizia etnica in corso in Cisgiordania. È ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi 20 mesi, sebbene sia una storia molto più lunga. Tuttavia, questo laboratorio, apparentemente distante dalla nostra vita quotidiana, situato su una piccola striscia di terra nel sud-ovest dell’Asia, si è profondamente infiltrato anche nel nostro ordine politico. Anche noi siamo diventati parte di questo laboratorio.

Protestare contro i massacri indiscriminati di civili e l’orgogliosa testimonianza omicida degli soldati israeliani si sta rivelando un atto criminale nella maggior parte dei Paesi occidentali. Il crimine è la protesta, non il genocidio. Il recente fracasso nel Regno unito, con la Bbc che ha cancellato due programmi su Gaza e pubblicamente censurato i gruppi musicali che suonavano al Glastonbury Festival (Kneecap e Bob Vylan) per aver chiesto di porre fine all’uccisione dei palestinesi – un appello che viene automaticamente considerato antisemita – cerca di imporre una narrazione unilaterale.

A quanto pare solo Israele, con il suo «esercito morale», ha il «diritto di difendersi». Perché un esercito coloniale di occupazione abbia il diritto di difendersi contro la popolazione indigena che resiste alla colonizzazione non viene mai spiegato, se non nella retorica messianica dell’etnonazionalismo – un concetto difficilmente accettabile nel lessico moderno della democrazia politica.

Dietro a tutto questo c’è la mancata assunzione di responsabilità da parte dell’Europa per l’Olocausto. Come ha suggerito provocatoriamente di recente lo storico Ilan Pappe, nel 1945 gli Alleati avrebbero dovuto offrire una parte della Germania per il nascente Stato di Israele, invece di costringere i palestinesi a sopportarne il peso. Comunque sia, gli Stati uniti e l’Unione europea sostengono solo la versione israeliana dei fatti: il potere parla al potere.

Per sostenere questo asse, che è davvero un asse del male, la protesta popolare, effettivamente motivata dai fatti sul campo e testimone dell’uccisione a sangue freddo di tutti coloro che sono nel mirino dell’Idf, sarà perseguita e porterà all’incarcerazione. Questo, per il momento, nel Regno unito, ma la recente legge sulla «sicurezza» in Italia e i preparativi in corso nella legislatura statunitense vanno tutti in questa direzione. Anche questo fa parte dell’esperimento che ci prepara a vivere in regimi autoritari.

Con l’Europa che si riarma e parla di arruolamento di massa, ci avviamo verso le coordinate della società militarizzata che domina il Medio oriente. Si inventano nemici e scenari apocalittici: la popolazione ebraica di Israele spinta nel Mediterraneo dal mondo arabo, le truppe russe che arrivano a Lisbona, l’Iran nucleare…

Con l’eccezione di Irlanda, Spagna e Slovenia, non c’è alcuna reazione istituzionale a questo folle scenario di leader ubriachi di potere. E poi c’è sempre la minaccia dei migranti. In fila per attraversare il Mediterraneo, ammassati lungo il confine messicano e sbarcati sulle spiagge del Regno unito. Sembra che tutti siano disposti a seguire le allucinazioni del pifferaio magico di Washington, a tagliare le spese sociali, a pompare l’industria delle armi e a far crescere l’economia americana.

Nel frattempo, la protesta viene classificata come terrorismo. Abbiamo governi in tutta Europa, dall’estrema destra al centrosinistra, che sono tutti chiaramente complici del genocidio nelle loro parole e nelle loro azioni, nel loro sostegno al terrorismo dello Stato israeliano. Mentre l’appoggio incondizionato alla distruzione deliberata di Gaza – il «lavoro sporco» per conto dell’Occidente secondo il cancelliere tedesco – ha chiaramente annullato le pretese di superiorità morale dell’Occidente di fronte al resto del mondo, la repressione politica e la censura culturale della protesta per ciò che sta realmente accadendo in Palestina sono tornate a rivelare la rovina della democrazia proprio nel cuore dell’Occidente.

Qui i governi sono impegnati ad approvare misure e legislazioni autoritarie e anticostituzionali, e a prendere tutti i provvedimenti necessari per fermare delle proteste per i palestinesi di avere il diritto di aver diritti. Israele non ha semplicemente dimostrato tutti i limiti della parabola del «progresso» occidentale, ma ha stabilito anche le condizioni per smantellare la sua impalcatura politica liberale e schiacciare la libertà di parola. Quanto ho appena detto sarà certamente accusato di antisemitismo. Ma a questo punto non ha più importanza.

Qualsiasi pedagogia critica che avrebbe potuto trarre profonde lezioni storiche e politiche dalla Shoah e dalla costituzione coloniale del presente è ora in completo disfacimento. Messo a tacere nelle mute torri del potere.

E così arriviamo alla politica della cultura popolare, in cui le pop star richiamano le ipocrisie politiche: ormai tocca a loro farci da bussola morale.

IAIN CHAMBERS

da il manifesto.it

Foto di hosny salah da Pixabay 

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