Il destino segnato di una norma liberticida

Centoventinove pagine. Tante, per significare che il Decreto Legge Sicurezza è sostanzialmente un pasticciaccio brutto che andrà incontro al destino che merita: uno o più ricorsi davanti alla Corte...

Centoventinove pagine. Tante, per significare che il Decreto Legge Sicurezza è sostanzialmente un pasticciaccio brutto che andrà incontro al destino che merita: uno o più ricorsi davanti alla Corte Costituzionale dopo la bocciatura di quella di Cassazione. In sintesi il provvedimento madre-di-tutte-le-leggi del governo Meloni è disomogeneo nei contenuti, mette insieme ciò che non dovrebbe essere accomunato, prevede sanzioni e pene sproporzionate e non rispetta il criterio dell’uguaglianza davanti alla Legge stessa.

Obiezioni nette di merito ma anche di metodo, perché la suprema Corte evidenzia anche che la trasformazione in norma da parte del Parlamento è avvenuta con un voto unico su materie profondamente differenti fra loro: la Costituzione prevede la votazione articolo per articolo più il voto complessivo e finale. L’urgenza del governo era tanta da scavalcare sia la Carta fondamentale della Repubblica, sia le Camere medesime.

C’è poi un altro problema. All’articolo 77, secondo capoverso, la Costituzione recita: «Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni». Il “giorno stesso“. Non c’è interpretazione possibile. Cosa che il governo Meloni non ha fatto.

Conta tutto nei rilievi mossi dalla Cassazione ma, principalmente, è il contenuto della Legge Sicurezza che risulta di difficile applicazione proprio perché le tipologie di reato inventate dall’esecutivo non corrispondono ai princìpi di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla giustizia e distinguono per tipologie e persino per luoghi in cui si possono commettere dei presunti reati. La Corte ravvisa quindi il «rischio di colpire eccessivamente gruppi specifici, come minoranze etniche, migranti e rifugiati» e sulle potenziali «discriminazioni e violazioni di diritti umani»

In molti punti della Legge Sicurezza, poi, i giudici riscontrano che si manifesta la possibile incostituzionalità in materia di libera espressione del pensiero, di manifestazione, di riunione in pubblico, di esercizio di quelle che sono le garanzie per l’esercizio della propria facoltà di partecipazione alla vita sociale, politica e culturale del Paese. Un reato è un reato a prescindere dal luogo in cui viene a tenersi: invece il governo considera più grave se una molestia, uno scippo, una violenza avviene in una stazione piuttosto che in un parco pubblico.

Oppure se a commettere ciò è un detenuto piuttosto che un libero cittadino. Più inquietante ancora è quella finalità “preventiva” di infiltrazione degli 007 in organizzazioni (come “Potere al popolo“?, per fare un clamoroso esempio proprio di questi giorni…) per evitare atti di eversione e terrorismo; un precetto che non può lasciare indifferenti e che, del tutto evidentemente, è un carico non di poco sulla finalità vera della Legge Sicurezza: limitare il dissenso e la critica nei confronti del governo e della maggioranza.

Si è detto bene quando la definizione di “madre di tutte le leggi” del governo è stata definita quella sulla sicurezza. Nel parapiglia normativo che ne è venuto fuori c’è tutta l’ansia endogena, proveniente dal passato post e neofascista, di sottoporre la nazione ad una stretta repressiva che contenga le manifestazioni di opposizione, la libertà di pensiero e di espressione dello stesso, la spontaneità popolare che, nove volte su dieci, esprime una istintiva avversità nei confronti degli abusi del potere.

Le destre-destre vorrebbero invece un’Italia in cui a valere sia soltanto il punto di vista della maggioranza, mantenendo solo formalmente la centralità tanto del Parlamento quanto della Costituzione repubblicana. L’antico sogno dei pieni poteri e del governissimo di un Presidente-Premier non è poi così andato in soffitta: la presunta modernità in cui oggi si cullerebbero gli eredi del MSI e di tanti gruppuscoli reazionari e neofascisti, è più che altro uno specchietto per le allodole.

L’asse portate del decreto prima e della Legge Sicurezza poi è stato il binomio inscindibile tra inasprimento delle pene e creazione di tutta una fattispecie di nuovi reati volti a colpire il disagio sociale proprio là dove era già ampiamente diffuso: tossicodipendenze, accattonaggio, povertà endemica, detenzione carceraria, periferie sconvolte, consumo di droghe leggere, occupazione delle case sfitte e abbandonate… La logica delle destre ci dice che all’aumento della pena dovrebbe corrispondere la messa in campo di un deterrente tale da disincentivare il potenziale reo dal commettere il potenziale reato.

Non è così. Basterebbe rileggersi Cesare Beccaria per comprendere che a pena maggiorata non corrisponde reato minormente commesso. L’intervento è sempre e soltanto sociale, perché i problemi che fanno sorgere tutta una serie di reati “minori” affondano le loro radici in una depressione economica che è all’origine della disperazione in cui sono costretti a sopravvivere coloro che, alla fine, senza risposte da parte dello Stato e delle amministrazioni locali, si rifugiano nel grande ufficio di collocamento alternativo a quelli ufficiali: la malavita più o meno organizzata.

Le forze di maggioranza sono incostituzionali per vocazione storica, altre per origine padronal-imprenditoriale, altre ancora per aver abbandonato il primo istinto popolare per abbracciare quello più convenientemente populista, xenofobo, omofobo e degno della peggiore delle formazioni ultraconservatrici. Non stupisce che non badino ai più importanti cardini di rispetto dell’equipollenza dei poteri e, quindi, anzitutto alle prerogative del Parlamento. La presentazione in aula del decreto per la sua conversione in Legge aveva lasciato un po’ tutti basiti: una norma omnibus.

Dentro c’era tutto e il suo contrario. Luciano Canfora in un dibattito televisivo chiamò alcune delle norme contenute nel decreto delle vere e proprie “gride manzoniane“, ossia dei coloriti tentativi di mostrare l’iperdecisionismo del governo ad esempio nel perseguire i consumatori di cannabis leggera; il tutto condito con inasprimenti di pene per chi truffa gli anziani o occupa abusivamente delle case. Pare del tutto evidente che nessuno di noi è favorevole a che si truffino gli anziani. Anzi.

Tipico di una maggioranza populista e reazionaria è confondere le acque, mostrando come utile alla popolazione nel suo insieme ciò che invece colpisce proprio i settori più duramente prevaricati, privi di diritti sociali e civili, vessati da una disoccupazione e da una precarietà del mondo del lavoro e del non-lavoro che non lascia nessuna tregua. Ma le destre hanno questa connotazione irreversibile, incontrovertibile: il tema della sicurezza per loro non è gestibile con interventi strutturali sul piano della giustizia sociale, ma solo con un taglio securitario.

Più polizia, più militarizzazione dei territori, più controlli per chi si mostra non allineato al lavoro dell’esecutivo. Non è la falsariga che premette (e promette) una torsione autoritaria nell’Italia del 2025. Ci troviamo proprio sul viatico esatto delle prove non di un regime fascista come, caricaturalmente, vorrebbero provare a dipingere le critiche delle opposizioni dalle parti della destra, bensì di un deperimento della democrazia, di una sua lenta consunzione sostanziale. Il tutto, come già scritto e detto, dovrebbe avvenire con l’introduzione di normative e riforme (in)costituzionali atte a dare a Palazzo Chigi un ruolo sempre più centrale nelle istituzioni.

Nei fatti il Parlamento e la Magistratura vengono tollerati soltanto se non danno noia al manovratore. È sufficiente leggere i titoli dei giornali di destra per avere chiaro il pericolo che l’Italia democratica, repubblicana e parlamentare sta correndo: «Assalto giudiziario. Immigrazione e sicurezza, i giudici ci riprovano. La Cassazione contro il giro di vite alla criminalità e il “modello Albania”». I giudici all’attacco del governo, quindi nuovamente la riproposizione del teorema vittimistico, così da tentare la distrazione dell’opinione pubblica dalle vere responsabilità dell’esecutivo.

Quando la Cassazione fa riferimento all’utilizzo spropositato della decretazione non esprime un giudizio politico; semmai mette in luce un fatto che rischia di squilibrare i rapporti tra i poteri dello Stato proprio in materia di formazione delle Leggi. Dall’inizio della Legislatura, nell’ottobre 2002, ad oggi, il governo di Giorgia Meloni ha emanato cento decreti-legge. Praticamente tre al mese. Un unicum nelle esperienze delle ultime presenze a Palazzo Chigi, il cui paragone è possibile solo se ci si rapporta all’emergenza Covid-19.

Non risulta che oggi si sia, per fortuna, in uno stato di nuova pandemia. Semmai di economia di guerra. Il Parlamento è stato davvero ridotto al rango di ratificatore degli ordini del governo: i disegni di Legge vengono approvati a colpi di fiducia, escludendo così la discussione delle e nelle Camere e qualunque possibilità di emendabilità dei testi. La “straordinarietà” dei decreti-legge, prevista dalla Costituzione, diviene così uno degli strumenti per imporre e non disporre, per esercitare il potere e non per gestirlo unitamente agli altri organi dello Stato.

La logica della prevaricazione di una volontà che non è mai buona, che non è democratica in nessun modo e che sta stretta entro i cardini di una Repubblica invece fondata sulla dialettica e sul confronto continuo delle assemblee legislative, delle commissioni, di tutti quelli che sono i consigli in cui il rapporto anche aspro tra le parti è il sale del mantenimento concreto dell’equilibrio egualitario tanto istituzionale quanto civile. Questa destra è intrinsecamente allergica alla democrazia. La utilizza per i suoi scopi ma, nell’intimo, la disprezza e la considera un impiccio.

La consapevolezza di questo “non detto” è necessaria per non lasciarsi blandire dalle lusinghe di chi vorrebbe concedere ai postfascisti e ai populisti di casa nostra una patente di legittimità. Magari proprio per consentire loro di occuparsi ancora di premierato, di autonomia differenziata, di una mutazione radicale dello spirito egualitario della Repubblica verso una direzione tutta privata, in cui il privilegio è la cifra dominante e i diritti sono degli accidenti da tenere a bada. Una alternativa vera a queste destre è urgente. Ma vera. Non un accrocco elettoralistico. Il che è davvero una impresa…

MARCO SFERINI

28 giugno 2025

foto: screenshot ed elaborazione propria

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