Nessun istinto preveggente, nessuna atavica predisposizione alla percezione extrasensoriale riguardo il futuro dell’umanità e dell’animalità più generalmente intesa. Soltanto un trarre le dovute considerazioni oggettive dopo una vita trascorsa a studiare il comportamento di tutti gli esseri viventi, fondando quindi la moderna etologia. Questo è “Il declino dell’uomo” di Konrad Lorenz (Piano B edizioni, 2017, collana “La mala parte“): un po’ il seguito di un’altra opera, scritta dieci anni prima, nel 1973, e precisamente “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà“.
In entrambi questi pressoché testamenti del grande scienziato austriaco si delinea non tanto lo scetticismo nutrito da una copiosa dose di rassegnazione verso il destino dell’umanità, quanto semmai una sorta di avvertimento: nel disumanizzarci attraverso le conquiste tecnologiche e uno sviluppismo incontrastato, incontrollabile e irrefrenabile, stiamo perdendo il significato stesso che ci riguarda e che ci pone in interazione con il resto del pianeta, della Natura in quanto madre (e matrigna).
Una malinconica vena di stupore si alterna ad una forte, determinata presa di consapevolezza del fatto che gli ecologisti e gli studiosi dei fenomeni naturali sono dei preconizzanti anticipatori di quello che potrebbe avvenire se non li si ascolterà: la tecnocrazia che Lorenz denuncia, unitamente alla manipolazione della maggior parte delle ricchezze a scapito della naturalità di tanti ambiti di vita e di sopravvivenza (non solo umana), è soltanto uno di quei peccati capitali ultramoderni che sono vissuti come un incentivo sempre più conveniente a miliardi di persone altrimenti afflitte dallo sforzo, dal duro lavoro…
Ma, osserva Lorenz, questa impostazione tecnocratica, perché si tratta di un vero e proprio potere della tecnologia, non fa che servirsi di una oggettività scientista di cui fruisce il capitalismo che dispiega il suo dominio globale e lo fa, proprio negli anni in cui l’etologo scrive questi suoi ultimi lavori, portando a compimento la nuova fase liberista, la più violenta e nefanda intromissione degli affari mercatisti in ogni ambito naturale ed esistenziale. Il processo di alienazione qui prende corpo proprio nella spersonalizzazione dell’individuo che, astratto dal suo contesto caratteriale, emotivo, propriamente sensibile, diviene una appendice del processo produttivo e del sistema.
Lorenz si accorge della (negativamente) straordinaria velocità con cui lo sviluppo scientifico accelera senza sosta: non c’è l’attimo in cui ci si ferma a riflettere collettivamente sui pro e sui contro delle scoperte, sull’introduzione di nuove tecnologie che sostituiranno il lavoro umano, che costringeranno gli animali non umani ad essere oggetti di una massificazione delle stesse produzioni di fette di mercato che incentivano l’allevamento intensivo così come la coltivazione altrettanto intensiva. Lo sfruttamento diviene così la misura di tutte le acquisizioni profittuali: il capitale esige che la Natura si metta al suo servizio. Senza alcuna obiezione, senza alcuna critica.
Scrive Lorenz: «L’esempio della mia stessa evoluzione scientifica dimostra che fino a poco tempo fa neppure uno studioso abituato a pensare in termini biologici aveva chiari in mente i pericoli che ci minacciano». Quando si intuisce un pericolo, si cerca di renderne edotti coloro che non hanno questa percezione, questa visione premonitrice fondata però su dati clamorosamente di fatto. Ma l’etologo viene, così, quasi deriso e trattato come oggi si trattano molti ecologisti: dei teneri sognatori che non hanno veramente chiare le dinamiche con cui procede l’economia globale e, quindi, rimangono nel loro mondo fatto di studi, di cifre, di calcoli e di tanta osservazione.
C’è una via di uscita da questa cortocircuitazione degli interessi esclusivi del profitto che si ritorcono contro quelli dell’individuo in sé e per sé, delle masse e della Natura? Lorenz prova ad individuarla e propone…: «…la migliore scuola nella quale un giovane possa apprendere che l’Universo è dotato di senso è la pratica diretta con la natura». Un senso dell’Universo riscontrabile nel meccanicismo materialista inteso come cambiamento costante della materia medesima e della sua trasformazione perenne (o per lo meno ipotizzabile in quanto tale), capace di arrivare alla forma-sostanza dell’autocoscienza animale umana (e forse, in parte, anche animale non umana).
Il contatto diretto con le esperienze naturali, con la cura di un giardino, con un bosco in cui entrare e perdersi per qualche istante, con gli stessi animali che possiamo imparare a conoscere in tutti i loro comportamenti che, pure, ci paiono a volte singolari e strani, quel contatto per l’appunto diretto, immediato e costante ci consente di recuperare un rapporto veramente ancestrale e primigenio con l’ambito di cui noi stessi siamo parte. Sebbene ci si sia progressivamente allontanati dalla capacità di comprendere tutto ciò, antropocentrizzando ogni luogo e ogni altro essere vivente, un recupero in tal senso è possibile.
Nell’immediato, Lorenz paventa che solo una rigidissima “statalizzazione” dei rapporti economici può frenare il declino umano verso un abisso in cui è destinato a precipitare se continuerà a permettere lo sfruttamento predatorio di ogni foresta, di ogni mare, di ogni lago e fiume nel nome del profitto e dell’accumulazione dello stesso da parte di un numero sempre minore di persone a scapito della stragrande maggioranza dell’umanità. Potrebbe apparire una critica marxista, ma lo è solamente in superficie e, tuttavia, è un’espressione meticolosa di biasimo, tutt’altro che moralistico, nei confronti di una propensione umana per il possesso, per la proprietà e l’acquisizione a nocumento del resto della vita sul pianeta.
L’antropocentrismo è, sostanzialmente, il precursore fondante di un potere smisurato che, nell’esaltazione delle proprietà esclusivamente umane (a partire dall’intelligenza autocosciente), rischia di essere all’origine di una «atrofizzazione progressiva di ciò che rende “uomo” l’uomo stesso». Qui entra in gioco una schizofrenia comportamentale tipicamente nostra: ultraumanizzare tutto e trascendere tanto dal dato naturale che ci comprende da artefare contesto di nascita, crescita e persino di morte dell’individuo. Si muore sempre meno per cause, per l’appunto, “naturali” e sempre più per conseguenze derivate da prodotti chimici creati nel nome della vita “smart“: la plastica anzitutto.
Lorenz scorge la possibilità dell’estinzione umana non soltanto dovuta al prodursi delle guerre, della rincorsa all’atomica, della contrapposizione fra quelli che in allora erano i blocchi opposti occidente versus oriente, nord versus sud del mondo. Il declino dell’umanità è propriamente rintracciabile nell’esaurimento delle qualità umane: prima fra tutte quell’empatia endogena che dovrebbe provare nei confronti dei propri simili così come degli altri esseri viventi. Può esistere – si domanda il premio Nobel per la medicina – un rapporto di afferenza tra scienza ed emozioni, tra studio dell’esistente ed empatia verso lo stesso?
La risposta che si dà è provvisoria perché, più forte di tutto, è la convinzione che il mutamento costante dell’essere è in qualche modo anche un mutamento altrettanto tale dell’esserci qui, in un presente che è però anche assenza di noi stessi: tanto più nel momento in cui determiniamo le pre-condizioni per un ridimensionamento, sempre più constatabile date le sue proporzioni, del ruolo che dovremmo avere nel contesto globale naturale e di quanto invece questo sia negato dal regime economico strutturale che ispira tutti gli altri comportamenti ed azioni. Produzione, accumulazione, profitti, capitali e deterioramento progressivo delle risorse naturali.
L’insostenibilità di questo sistema è per Lorenz evidente. Non ne discende una teoria economico-politica, ma un importante ammonimento: continuando così l’essere umano rischia di esasperare la Natura che si ribellerà alle violenze che le vengono imposte. Là dove per “violenze” si deve intendere tutte le forzature che le sono imposte nel nome dell’antropizzazione dei territori, dell’antropocentrismo a tutto tondo per quanto concerne gli altri aspetti dell’esistenza nostra e dell’esistente in quanto tale.
C’è, per Lorenz, una sorta di “svuotamento di senso” dell’essere umano nel contesto in cui vive, dato essenzialmente dallo scientismo fine a sé stesso e non messo al servizio del progresso universale. La scienza come insieme di dati di fatto, essenzialmente piegata al solo miglioramento delle esclusive condizioni di vita umane, è vissuta nell’ultima parte della vita del grande etologo come una «rinuncia coatta alla comprensione» vera e propria. Dovrebbe invece essere «nella sua essenza, una parente altrettanto stretta dell’arte quanto il comportamento curioso è parente stretto del gioco». Il rischio è lo smarrimento della curiosità come gioia, come parte del nostro carattere fatto di dubbi che anelano alle certezze.
La rincorsa al miglioramento delle tecnologie non ha come obiettivo complessivo il benessere altrettanto tale per tutti gli esseri viventi e per la casa naturale in cui abitiamo. Qui trova spazio quella rinuncia alla comprensione appena citata: si intuisce, si apprende, si sa e si produce non per un fine comune ma per una competizione concorrenziale finalizzata esclusivamente al profitto. E quest’ultimo tutto è tranne che “naturale“. In fondo, l’accumulazione capitalistica è innaturale tanto quanto un pezzo di plastica. La differenza sta nel fatto che la plastica è almeno riutilizzabile, il capitale pare proprio di no.
Una riflessione compiuta e attenta sulle problematiche inerenti la sostenibilità di questo declino progressivo e inarrestabile dell’uomo, dell’essere umano in quanto tale, dovrebbe essere fatta senza scadere nell’eticismo, convinti che si possa cambiare il sistema appellandovisi e contando su una riformabilità del medesimo. La considerazione della straordinarietà della Natura, dei processi di evoluzione nel loro insieme e nelle singole particolarità, non è delegabile a coloro che la stanno negando nel nome della preservazione dei privilegi privati. Lorenz non sottovaluta nulla, ma evita una postura che, del resto, non gli è propria: quella sociologico-politica.
A chi gli ha domandato il senso dell’esistenza, che sembra prescindere, ma non è così…, dalle problematiche di cui qui si è scritto, ha risposto così nei suoi scritti ultimi: «ogni persona che si rallegra alla vista della natura e della sua bellezza è vaccinata contro il dubbio che tutto ciò possa essere privo di senso. La domanda sul significato della creazione organica le sembrerebbe incomprensibile, come la domanda sul significato della Nona sinfonia di Beethoven rivolta ad una persona che ama la musica».
IL DECLINO DELL’UOMO
KONRAD LORENZ
PIANO B EDIZIONI
€ 16,00
MARCO SFERINI
7 maggio 2025
foto: particolare della copertina del libro
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