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Stati Uniti d'America

Il 18 ottobre contro l’autoritarismo di Donald Trump

L’espressione “la ribellione ai tiranni è obbedienza a Dio” è un motto, di dovere morale e persino divino, dei primi anni dell’Ottocento. Uno dei fondatori degli Stati Uniti, Benjamin Franklin, voleva utilizzarla come sigillo della Nazione e infine restò come motto personale di Thomas Jefferson. Ovviamente, la ribellione degli schiavi neri di quasi tutti i Padri Fondatori degli USA non era prevista. E non lo è oggi da parte dell’amministrazione Trump, che sta scaricando sulla Nazione una quantità di provvedimenti che contrastano coi diritti costituzionali di parola, di associazione, di resistenza ai soprusi.

Col licenziamento di migliaia di lavoratori federali delle agenzie in cui è articolato lo Stato, onde arrivare alla riduzione, se non alla sostanziale abolizione, dei loro compiti, Trump applica ciò di cui già nel 2017 si era lamentato: il fatto che il suo potere presidenziale fosse limitato da altri poteri compensatori. Aveva così prefigurato l’applicazione della cosiddetta teoria esecutiva unitaria, che avoca al “capo supremo” il controllo totale delle decine di agenzie federali e delle migliaia di loro dipendenti, a cui il presidente dovrebbe, nella sua interpretazione, poter personalmente dare ordini e licenziare a volontà, senza alcun controllo parlamentare.

Una recente messa in pratica di tale linea politica è stato l’allontanamento del direttore della FBI, James Comey, incriminato per avere a suo tempo indagato sulle presunte interferenze russe in appoggio alla campagna presidenziale del 2016 di Trump. O anche la dichiarazione di Trump che il sindaco di Chicago, il democratico Brandon Johnson (e anche il Governatore dello Stato dell’Illinois) “dovrebbe essere in prigione per non aver protetto l’attività dei raid della polizia dell’immigrazione (ICE)” nel corso di alcuni scontri con la popolazione che difendeva i migranti durante l’“Operazione Midway Blitz”.

Il sindaco Johnson aveva vietato all’ICE di utilizzare le proprietà pubbliche di Chicago nell’operazione anti-immigrati: un’occupazione della città da parte di truppe della Guardia Nazionale del Texas che ha portato a più di 1.000 arresti e a manifestazioni contro i raid illegali con veri e propri rapimenti di persone, che ora sono stati per 2 settimane bloccati da un giudice distrettuale. Interventi simili sono in corso a Los Angeles e a Washington, mentre a Portland un giudice federale ha bloccato (per ora) il dispiegamento delle truppe.

Si abbina in questi casi, sia la storica propensione di Trump a minacciare di arresto i propri avversari politici sia l’invio nelle città amministrate dal Partito Democratico di truppe provenienti dagli Stati governati dal Partito Repubblicano (evidenziando un latente pericolo di spaccatura della Nazione).

Non sono solo singoli rappresentanti dello Stato ad essere messi sotto processo o minacciati di andare in galera. Con Trump è la resistenza al suo progressivo autoritarismo che diventa reato. Ad inizio settembre è toccato ad Antifa. Che non è nemmeno un’organizzazione strutturata ma piccoli gruppi sparsi e non coordinati tra loro che cercano di opporsi alla crescita di organizzazione fasciste. Le quali sono utilizzate dal potere (alcune di esse erano attive nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e i loro membri amnistiati da Trump appena tornato alla presidenza), mentre ora Antifa è stata inserita nella lista delle “organizzazioni terroristiche interne”.

La recente adunata di tutti i generali statunitensi dislocati a livello mondiale, organizzata dal Ministero, che era denominato “della Difesa” e che ora è “della Guerra”, è stata il segnale che Trump intende trasferire all’interno del Paese le guerre esterne, prodotte in gran numero dagli USA negli ultimi 70 anni. Trump ha dichiarato che “l’America è in invasione dall’interno” e ha detto ai generali che dovrebbero “usare le città americane come terreni di addestramento”. Sta in sostanza andando in guerra contro gli statunitensi che non la pensano come lui, quelli che definisce il “nemico domestico”.

Per questo ha firmato il memorandum NSPM-7 sulla politica di sicurezza nazionale, intitolato “Contro il terrorismo domestico e la violenza politica organizzata”. Una forma di diktat meno comune degli ordini esecutivi che, emessi a centinaia dal presidente in questi 10 mesi, dirigono le operazioni governative quotidiane. Il memorandum imposta nuove politiche delle forze armate e dell’ordine pubblico (che con Trump tendono a diventare cose collegate); e anche dell’intelligence.

Lo scopo è di fornire un quadro utilizzabile per individuare “indicatori” di futura violenza politica. Vi sono elencate come propensione alla violenza le idee di antiamericanismo, anticapitalismo, anti-cristianesimo e di sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti, le “opinioni di estremismo” in merito alle migrazioni, alla razza, al genere e quelle di ostilità verso coloro che hanno “opinioni tradizionali americane” sulla famiglia, sulla religione, sulla moralità.

Non è difficile comprendere che l’obiettivo è quello di sorvegliare e di soffocare la libertà di parola su tutto ciò che non piace alla presidenza, considerando estremista professare una delle suddette opinioni; peggio ancora se le si organizza politicamente con iniziative di massa. Fattore non secondario, ciò potrebbe anche essere uno spunto per il padronato, che ha già innumerevoli possibilità per reprimere i tentativi di organizzazione sindacale, per licenziare i lavoratori sulla base del memorandum.

Per fortuna ci sono milioni di statunitensi che si oppongono alla deriva antisociale, reazionaria e bigotta della Nazione che Trump sta cercando di plasmare a immagine e somiglianza dei settori più inquietanti del suo elettorato: il 18 ottobre torna infatti in campo il movimento di massa statunitense non violento “No Kings” – “Nessun re” (negli USA). Il quale afferma sul suo sito: “Nato nelle strade, portato avanti da milioni di persone con canti e manifesti, riecheggia dai quartieri cittadini alle piazze rurali, unendo le persone di tutto il Paese per combattere insieme la dittatura. Il presidente pensa che il suo potere sia assoluto.

Ma in America non abbiamo re e non ci tireremo indietro di fronte al caos, alla corruzione e alla crudeltà”. No Kings rivolge anche ai partecipanti delle prossime iniziative un invito tipicamente statunitense, visto il contesto violento che ancor più oggi vive un Paese dove circolano 390 milioni di armi individuali a fronte a fronte di 330 milioni di cittadini; quello che “armi di qualsiasi tipo, comprese quelle legalmente consentite, non devono essere portate agli eventi”.

Il 18 ottobre il movimento antigovernativo sarà dunque nuovamente nelle piazze; come il 14 giugno scorso, quando lo fece in contemporanea con l’assurda parata militare organizzata da Trump a Washington, costata dai 25 ai 40 milioni di dollari (alla faccia dei massicci tagli sociali della legge di bilancio). In città grandi e piccole degli Stati Uniti, 5 milioni di persone parteciparono a 1.800 cortei, manifestazioni, raduni, organizzati da una coalizione di più di 150 organizzazioni, ambientaliste, sindacali e dei diritti civili.

Manifestazioni di espatriati avverranno anche in alcune città del mondo. Tutte per contrastare la repressione della libertà di parola, il silenziamento del dissenso, la deportazione in altre Nazioni compiacenti e a Guantanamo di persone senza documenti, le politiche governative che danno soldi ai milionari, riducono le spese sociali (tra cui le coperture sanitarie “Medicare” e “Medicaid”. da cui è stato tagliato 1 trilione di dollari) e vessano i lavoratori e l’ambiente.

Il precedente movimento di base 50501 aveva organizzato manifestazioni di massa il 17 febbraio, il 4 marzo, il 19 aprile. E il 5 aprile una concentrazione di associazioni e di sindacati aveva indetto “Hands Off” (“Giù le mani”, declinata contro tutti gli attacchi di Trump) con 1.400 raduni e/o cortei in tutti i 50 Stati degli USA che avevano portato nelle piazze di 700 città ben più di mezzo milione di persone (100.000 solo a Washington).

Da allora, l’amministrazione Trump ha intensificato gli attacchi alla democrazia e ai diritti sociali; a cui fa sponda la Corte Suprema, a maggioranza reazionaria. Come dice sul proprio sito Sierra Club, una delle associazioni organizzatrici, “nell’ultimo anno, Trump ha adottato misure senza precedenti per smantellare l’assistenza sanitaria, la tutela ambientale e l’istruzione. Facciamo fatica a pagare le bollette, ad accedere ai trasporti, a mettere il cibo in tavola e a risollevarsi dai disastri “naturali”, mentre lui distribuisce enormi omaggi agli alleati miliardari che lo hanno fatto eleggere. Il disprezzo dell’amministrazione per lo stato di diritto mette a rischio tutti gli americani, rendendo più difficile lottare per il nostro ambiente e per il nostro futuro”

La seconda puntata di “No Kings”, il 18 ottobre, ha l’obiettivo di essere la più grande mobilitazione di massa nella storia recente degli USA, articolata in 2.200 eventi in tutti i 50 Stati dell’Unione. Sul sito organizzativo si vede una cartina degli USA affollata di punti che segnalano manifestazioni, incontri, comizi, cortei.

Il movimento di protesta ha assunto nuova urgenza con lo shutdown del governo iniziato ad inizio ottobre e ancora in vigore il 15.10. Coi parlamentari del Partito Democratico che si sono rifiutati di votare un disegno di legge dei repubblicani (che potrebbero non avere la maggioranza necessaria in Parlamento) a meno che non includa una conferma degli sconti, che sono in scadenza, dei costi della copertura sanitaria dell’epoca covid (la caduta degli sconti comporterebbe un aumento medio del 75% della spesa dell’assistenza sanitaria per 22 milioni di persone) e anche la cancellazione di tagli già effettuati col cosiddetto One Big Beautiful Bill di luglio, che colpiscono 14 milioni di persone indigenti.

Il non inconsueto blocco delle attività amministrative quando il Congresso non riesce ad approvare la legge di bilancio è diventata cioè un’altra mossa autoritaria da parte di un’amministrazione che intende usarla anche, cosa in passato mai avvenuta, per licenziare altri 4.200 lavoratori federali per ridurre ancora il ruolo e l’organico del settore pubblico federale.

Trentacinque sindacati a vari livelli del settore federale avevano firmato il 29 settembre una lettera aperta per esortare i parlamentari del Partito Democratico a combattere i tagli dell’amministrazione Trump, anche al prezzo di una chiusura del governo, che blocca, così come previsto negli USA, le attività federali, e le retribuzioni degli impiegati federali, finché non vengono rifinanziate. Intitolata “No Bad Budget in Our Name”, tali sindacati, che rappresentano decine di migliaia di lavoratori federali, dicono che “i lavoratori federali rinunceranno volentieri alle buste paga (per un certo periodo) nella speranza di preservare i programmi sociali a cui dedichiamo il nostro lavoro”.

In questi giorni il Sindacato AFGE (American Federation of Government Employees), che rappresenta un milione di dipendenti pubblici federali, e la Federazione americana dei dipendenti di Stato, contea e municipali (AFSCME), hanno richiesto sia un cosiddetto ordine restrittivo temporaneo per impedire all’amministrazione Trump di effettuare riduzioni di personale (che definiscono illegali) durante il blocco degli stanziamenti pubblici sia la conferma che gli stipendi persi per la “chiusura” siano poi pagati.

Lavoratrici e lavoratori pubblici sono stati i primi nel mondo del lavoro ad essere attaccati, con 200.000 licenziamenti già avvenuti, dall’offensiva reazionaria trumpiana, e in questi mesi hanno prodotto molte iniziative (manifestazioni, lettere aperte, una tendopoli a Washington), accusando l’amministrazione Trump di ostacolare o di smantellare le loro attività a servizio della popolazione. Ed è giunto pure a sostituire il testo dei messaggi e-mail automatici di essere “fuori sede” dei dipendenti del Ministero dell’Istruzione (in via di smantellamento) con una frase che attacca il Partito Democratico perché non vota la legge finanziaria proposta dal governo.

In questo contesto, il movimento No Kings ha segnalato il pericolo di un aumento della tensione politica col dispiegamento di una presenza militare in vista delle manifestazioni del 18 ottobre e ha organizzato riunioni per prepararsi con la non violenza a difendersi da aggressioni che potrebbero verificarsi.

Il capogruppo del Partito Repubblicano alla Camera, Mike Johnson, un cristiano ultraconservatore, ha prefigurato “Remove the Regime”, una delle manifestazione No Kings che si svolgerà a Washington come un “raduno dell’America dell’odio” che attirerà “l’ala pro-Hamas” e “il popolo Antifa”. Il movimento ha risposto che Johnson “invece di riaprire il governo, preservare l’assistenza sanitaria a prezzi accessibili e abbassare i costi per le famiglie che lavorano, sta attaccando milioni di americani che si stanno unendo pacificamente per dire che l’America appartiene alla propria gente, non ai re”. Un responsabile delle organizzazioni dei veterani militari, in grande numero tra gli assistiti indigenti, ha affermato: “250 anni fa, gli americani si opposero a un re tiranno, generazioni dopo i nostri bisnonni sconfissero il fascismo all’estero. Ora sta a noi sconfiggere il fascismo in patria”.

EZIO BOERO

15 ottobre 2025

foto: screnshot tv ed elaborazione propria


Fonti:
https://www.nokings.org/
https://actionnetwork.org/forms/civil-servants-coalition
J.Brown, ‘Willingly Forgoing Paychecks’: Federal Workers Support Shutdown Fight, Labor notes, 1.10
B.Burgis, Trump classifies “anti-capitalism” as a political pre-crime, Jacobin, 2.10
Trump-Vance Administration’s Use of Employees’ Emails to Send Partisan Political Messages Challenged by Largest Federal Worker Union, AFGE, 3.10
G.Dodds, The Supreme Court is headed toward a radically new vision of unlimited presidential power, The Conversation, 7.10
J.McShane, As Troops Invade Chicago, Trump Threatens to Jail the Mayor and Governor, Mother Jones, 8.10
G.Svirnovskij, Johnson describes planned No Kings rally as ‘hate America,’ ‘pro-Hamas’ gathering, Politico, 10.10

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