Per essere una prima assoluta nella storia della Repubblica, la destra di governo parte secondo il costume antico, colluttando sulle poltrone. Dal totopresidenti sono usciti La Russa (FdI) e Fontana (Lega), eletti con 116 e 222 voti.

Persino a destra si poteva trovare di meglio. In specie, spetterà a La Russa sostituire il Presidente della Repubblica in caso di assenza o impedimento. Auguriamo all’occupante del Quirinale di godere ottima salute, e gli chiediamo di viaggiare il meno possibile, magari curando di esercitare le funzioni in remoto.

Il momento più alto di questo avvio di legislatura è stato il discorso di Liliana Segre. Le sue parole ci hanno fatto intravedere l’Italia che avremmo voluto. I nomi dei neo-eletti ci danno la misura di quanto ne siamo oggi lontani, e di quanto può essere difficile ritrovarla. Un obiettivo affidato alle opposizioni, che fin qui non hanno dato prova di esserne all’altezza.

I discorsi di investitura dei presidenti sono stati in ampia parte, e fisiologicamente, scontati: centralità del parlamento, rapporto maggioranza-opposizioni, ruolo di chi presiede l’assemblea, emergenze da affrontare. Ma qualche punto va sottolineato.

Fontana ha parlato in pieno stile leghista, per di più in salsa veneta. Parte con un “ringraziamento personale” a Bossi, che già può considerarsi inappropriato per un presidente di assemblea, ed è particolarmente significativo venendo a valle del “comitato del Nord”.

Ha poi insistito fortemente sulle autonomie, ricchezza dell’Italia “da valorizzare nelle modalità previste e auspicate dalla Costituzione”. Il riferimento all’art. 116.3 e all’autonomia differenziata è trasparente. L’omologazione – leggi il potere nazionale che limita l’autonomia – è espressione di totalitarismo. L’Italia non deve omologarsi a realtà estere più monolitiche e a culture che non diversificano.

Tanto valeva far parlare Zaia. Il discorso di Fontana è palesemente squilibrato e di parte. Colpisce poi che la sola diversità che riconosce ed esalta è quella territoriale. Altre diversità, non meno importanti e costituzionalmente protette, non contano. Il cattivo giorno si vede dal mattino.

E trova almeno in parte conferma nel discorso di La Russa. Per un verso scontato, come quello di Fontana, e invece significativo sulle riforme: modificare la Costituzione nella seconda parte, mentre la prima viene definita intangibile (tesi che i legami tra le due parti dimostrano infondata); assemblea costituente o commissione bicamerale; volontà politica di riformare.

Anche La Russa meglio avrebbe fatto a tacere. Probabilmente pensa al presidenzialismo, ma non nega l’autonomia differenziata. E qui gioca anche il modo in cui è stato eletto.

La non partecipazione dei forzisti al voto in Senato per l’errore di Berlusconi, sconfitto e colto nel vaffa, può solo indebolire la capacità contrattuale di Forza Italia nella rissa sui ministeri che ora è in agenda, consolidando la posizione della Lega. Poi, contano i nomi. Se ne parla molto con riferimento ai ministeri economici, cui guardano l’Europa e i mercati. Ma ci sono anche altri fronti.

Tra questi, si fa il nome della Stefani – leghista – per il ministero delle autonomie, che poco servirebbe pudicamente ribattezzare come ministero per gli affari regionali. Sarebbe grave se il ministro venisse da un partito che esplicitamente riprende come priorità la tutela degli interessi del Nord e la questione settentrionale.

Preoccupazione accresciuta, nella specie, perché proprio la Stefani ha espresso la stagione peggiore dell’autonomia differenziata, ponendosi dichiaratamente al servizio delle pulsioni separatiste di Zaia & Co.

Le parole di La Russa e Fontana confermano che la Costituzione è gravemente a rischio. Magari anche con il concorso di quei 17 voti già andati in aiuto a La Russa. Renzi nega che ci siano anche i suoi, ma nessuno gli crede, anche per qualche segnale già dato alla destra. Sbaglia Cassese quando afferma che sono sufficienti gli argini posti alla revisione. E vorremmo poter essere d’accordo con Segre quando afferma che “Il popolo italiano ha sempre dimostrato grande attaccamento alla sua Costituzione, l’ha sempre sentita amica”.

Purtroppo, non è così. È almeno dal 1994 e dal I governo Berlusconi che una parte significativa del paese poco si riconosce nella Costituzione, cui paga un omaggio puramente verbale. Il voto del 25 settembre ne dà conferma. La Costituzione è oggi vicina più che mai ad essere stravolta.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

Foto di Pedro Figueras