Gkn, ecco il piano per farne una «fabbrica socialmente integrata»

Contro le delocalizzazioni. Il Collettivo e un gruppo di docenti hanno lanciato la loro proposta di reindustrializzazione. Salvetti: «Un polo pubblico di mobilità sostenibile con i lavoratori coinvolti nelle decisioni»

La fabbrica ha un ruolo sociale e come tale dev’essere una «fabbrica socialmente integrata». Questa l’idea cardine del piano di reindustrializzazione della Gkn di Campi Bisenzio, esposto domenica scorsa presso lo stabilimento in assemblea permanente da cinque mesi. Volto a contrastare il tentativo di delocalizzazione e il conseguente licenziamento collettivo, il piano è frutto della collaborazione tra i metalmeccanici e un gruppo di universitari loro solidali, composto in prevalenza da ricercatori in economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e da dottorandi in ingegneria delle Università di Siena e Firenze.

Un piano «accademico e di lotta – riassume Dario Salvetti, Rsu Fiom Cgil – a cui siamo costretti dalla dismissione della produzione che Stellantis sta attuando sul territorio nazionale e con cui ci prefiggiamo due obiettivi: stabilità occupazionale dei lavoratori e continuità produttiva del sito». Come conseguirli? Nell’immediato, attraverso «tavoli di contrattazione in cui i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo Economico ottengano da Stellantis la garanzia di continuità delle commesse», illustra Marica Virgilito, ricercatrice in economia politica del Sant’Anna. Un passo necessario a riportare l’attenzione sul carattere strutturale della crisi dell’automotive, dovuta all’assenza di una politica industriale. Soprattutto, un passo preliminare a riconvertire la produzione, per realizzare un polo pubblico di mobilità sostenibile.

Produrre semiassi per automobili elettriche assicurerebbe sì una continuità reddituale ai lavoratori – la cassa integrazione per riorganizzazione aziendale resta un’ipotesi di ultima istanza. D’altronde, «l’auto privata per noi non rientra nel concetto di mobilità sostenibile», chiarisce Salvetti. La vera sfida si gioca allora su un altro core business da affiancare e poi sostituire a quello attuale. «Gkn potrebbe entrare nella filiera italiana di autobus – suggerisce Andrea Croce, dottorando in ingegneria di Firenze – una filiera corta, dunque, ma anche pubblica, perché posseduta al 70% da Leonardo-Finmeccanica e Invitalia». Oppure, dotando di pannelli solari il tetto del capannone, si potrebbe produrre idrogeno verde (attraverso elettrolisi dell’acqua) per i settori in cui è più arduo abbattere le emissioni.

Un’altra traiettoria di riconversione – anch’essa in linea con gli obiettivi del Pnrr – punta allo sviluppo di tecnologie per l’industria 4.0. In Gkn fino a oggi non si sono prodotti solo semiassi, ma anche celle automatiche, quindi ci sarebbero già le competenze utili a implementare robotica e sensoristica. Nello specifico, gli ingegneri solidali propongono di digitalizzare la raccolta di dati da parte delle macchine, costruire esoscheletri che rendano meno usurante la movimentazione di carichi pesanti e far sì che la componente di automazione sia davvero funzionale all’organizzazione del lavoro.

Oltre a ciò, il piano si pone un traguardo più ambizioso: tracciare «un percorso politico, sindacale e di metodo replicabile in altri stabilimenti», spiega Salvetti. Non si tratta solo di realizzare un altro prodotto, bensì di trasformare il modo in cui si è prodotto finora, a partire da un ruolo diverso dello Stato in economia che non si limiti a fungere da spettatore del mercato e bancomat dei privati.

Data questa condizione, si aprirebbe in primo luogo la strada a un assetto proprietario compartecipato da pubblico e privato, ma irriducibile alle modalità oggi note.

In secondo luogo, si potrebbero sperimentare forme innovative di gestione, dirette a un maggior coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori nella tutela di salute e sicurezza, nell’adozione di nuove tecnologie e nella strategia aziendale. Per la Gkn di Campi Bisenzio vorrebbe dire attribuire al Collettivo di fabbrica poteri di pianificazione e controllo superiori a quelli previsti dalle ricette di cogestione tedesche o toyotiste.

capitalismInfine, il piano multilivello elaborato da tute blu e ricercatori delinea un nuovo rapporto tra fabbrica e università, basato sulla condivisione dei saperi e finalizzato a dare risposte congiunte ai bisogni del territorio. La palazzina nord potrebbe diventare un «distretto della conoscenza»: sede di sperimentazione e brevettazione, nonché luogo in cui tenere corsi di formazione per operai, laboratori, percorsi di avviamento al lavoro per l’istruzione secondaria o terziaria.

ARIANNA LONGO

da il manifesto.it

foto: screenshot

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