L’Europa si adegua al clima, nel senso trumpiano del termine, e aggiusta al ribasso i suoi obiettivi nella lotta al riscaldamento globale. Sulla carta, il target rimane lo stesso: entro il 2024 l’Unione europea si impegna a ridurre le emissioni del 90 percento rispetto al livello del 1990.
In realtà , come viene specificato nella proposta di modifica dell’attuale regolamento, le emissioni prodotte dall’Ue dovranno essere abbassate solo dell’87% e il restante 3% potrà essere «acquistato» all’estero con il meccanismo dei crediti di carbonio: invece di decarbonizzare in Europa, gli stati membri potranno investire all’estero in progetti «green» e sottrarre dal conto delle emissioni europee le tonnellate di anidride carbonica risparmiate in loco.
Un’altra «flessibilità » proposta dalla commissione riguarda i settori: i crediti acquistati in un settore economico potranno essere usati per compensare le emissioni di troppo provocate da un altro settore. Per capirci: i governi potranno scegliere se chiudere una centrale a carbone o piantare alberi dall’altra parte del globo.
Il 3% può sembrare poca roba ma equivale a rinviare di almeno due anni il traguardo del 90% “veroâ€, cioè raggiunto con una reale transizione ecologica. È il compromesso proposto dalla Germania. La proposta presentata ieri sarà adesso discussa dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo, dove sono rappresentati tutti i governi dell’Ue, e dunque potrebbe essere ulteriormente ammorbidita.
Non è un mistero che altri governi (compreso il nostro) lavoreranno per alzare la soglia dei crediti di carbonio. La Francia, ad esempio, secondo il sito Politico.eu punta a conquistare almeno il 5%: sarebbe come rimandare di quattro anni la decarbonizzazione. Altri ancora vorranno riscrivere direttamente la scadenza del 2040.
Lo scetticismo ambientalista di fronte alla proposta di Bruxelles si fonda sulla pessima reputazione del cosiddetto mercato dei crediti. L’inefficacia delle compensazioni è dimostrata da un’ampia letteratura accademica e da numerose inchieste giornalistiche. Piantare alberi, una delle forme di compensazione più diffusa e più adottata dalle aziende energivore, è un’ottima idea sulla carta ma nella maggior parte dei casi il risultato non coincide con i calcoli a tavolino.
Uno studio recente della rivista Science applicato a 26 progetti di riforestazione in giro per il mondo ha mostrato che il risparmio reale in termini di emissioni è stato inferiore del 94% rispetto alle promesse iniziali.
Diverse testate, poi, hanno documentato l’esistenza di ramificate organizzazioni internazionali dedite alle truffe sui crediti, facilitate dall’assenza di reali controlli su ciò che viene realmente realizzato in loco: per esempio, nel 2024 l’Agenzia tedesca per l’ambiente ha certificato progetti del valore di oltre seicento milioni di euro dichiarati – e mai realizzati – da aziende cinesi utilizzati per compensare le emissioni di società tedesche.
Un’altra incognita riguarda le tecnologie. Il regolamento cita l’energia nucleare come strumento per ridurre le emissioni. Al di là del reale impatto ambientale è molto difficile che da qui al 2040 anche un solo nuovo reattore veda la luce sul suolo europeo. I lavori per il reattore di terza generazione di Flamanville (Francia) inaugurato a dicembre 2024 erano iniziati nel 2006. Nella sua proposta la Commissione europea enfatizza anche il ruolo delle tecnologie per la «cattura e il deposito» dell’anidride carbonica.
Servono a assorbire la CO2 prodotta dalle industrie prima che essa venga immessa in atmosfera. Ridurre le emissioni senza decarbonizzare gli impianti che le producono abbatterebbe il costo economico della transizione, per questo le lobby imprenditoriali europee ci puntano molto.
Ma si tratta di tecnologie ancora assai immature e inefficienti e il loro potenziale potrebbe essere largamente sopravvalutato dall’Unione. Il think tank Bruegel, che da Bruxelles analizza periodicamente il mercato dell’energia dell’Ue, calcola che per rispettare gli scenari europei la loro efficienza dovrebbe diventare 100-150 volte superiore a quella odierna. Meglio ridurre le emissioni che acchiapparle al volo.
Se la spinta della politica viene meno, la lotta al riscaldamento globale continua a contare sulla sincera preoccupazione dell’opinione pubblica che spinge ancora consumi e investimenti green, facendo scendere i prezzi di auto elettriche e pannelli solari. Secondo l’Eurobarometro, che sonda periodicamente le opinioni degli europei, fermare il cambiamento climatico è una priorità per quattro persone su cinque.
Non sorprende, con le capitali europee trasformate in tante Dubai vivibili solo nei centri commerciali climatizzati. Ma tra chi governa, e l’aria condizionata ce l’ha già , la preoccupazione è assai più bassa.
ANDREA CAPOCCI
Foto di Rosy / Bad Homburg / Germany da PixabayÂ