Due sono gli errori da evitare quando si tratta di fascismo. Il primo è quello di chi ne individua con fin troppa facilità i sintomi ovunque, trascurando la dimensione storica a favore di uno spesso indefinito giudizio politico. L’altro errore è quello di far coincidere la categoria teorica con la sua manifestazione storica più eclatante, impedendo l’astrazione delle trame concettuali e il loro riconoscimento in altro contesto: si trascura l’aspetto teorico relegando il fenomeno in una rassicurante storia lontana.
Sono due errori che nel suo nuovo libro Claudio Corradetti (Stato, psiche, società, Firenze University Press, pp. 230, euro 17) ci permette di riconoscere, proponendoci una ricchissima ricostruzione, filosofica e d’archivio, della critica del fascismo avanzata un secolo fa dalla Scuola di Francoforte.
Nonostante i francofortesi avessero annunciato nel 1939 la pubblicazione di un libro volto all’estensione di una «teoria del fascismo», questo non vide mai le stampe: forse l’impresa si rivelò irrealizzabile, data la complessità, storico-politica e psico-sociale, del fenomeno. Corradetti si incarica di collezionare gli elementi elaborati in quel contesto intellettuale, anche prima degli anni Quaranta, per ricostruirne a posteriori i lineamenti.
Si tratta di un’iniziativa stimolante, considerato il destino comune all’autoritarismo degli anni Trenta e a quell’odierno capitalismo ultraliberale che pure si era proposto, decenni fa, come argine all’espansionismo indefinito delle prerogative dello Stato (salvo poi funzionalizzarne le strutture come ambiente d’esercizio di una competizione selvaggia). Un destino avverso ai principi liberaldemocratici, che la teoria critica può riconoscere nei suoi elementi essenziali, oltre le sole coordinate storico-politiche degli autoritarismi europei del secolo scorso.
Al fondo di questa proposta teorica c’è l’intuizione che il fascismo abbia una componente intimamente psichica, la quale ha trovato, certo, terreno di coltura in corrispondenza di specifiche forme di produzione materiale, ma che paradossalmente permane nei successivi contesti democratici dell’Occidente libero.
Non solo, dunque, il fascismo come tendenza insita e ricorrente nel paradigma strutturale, ma anche, a livello sovrastrutturale, come correlato di una figura antropologica, matrice dell’organizzazione sociale e della produzione culturale, in un inevadibile rimando tra produzione materiale e dimensione psichica, struttura e sovrastruttura, solo implicito nei testi della teoria critica.
Mediante una strumentazione anche psicoanalitica tipica della sinistra freudiana, si collocano al centro le domande intorno alla facilità con cui le classi subalterne si affidano a poteri forti che le soggiogano, e intorno alla possibilità di produrre processi emancipativi, considerato il diffondersi di una vera e propria connotazione masochistica dell’esercizio dell’autorità. Una domanda attuale, non solo nelle fasi regressive e reazionarie della nostra storia, ma anche in corrispondenza dell’efficientismo della cultura manageriale.
CARLO CROSATO
Foto di Paolo San







