Le considerazioni di Dario Franceschini circa il futuro dell’opposizione al governo Meloni e il ruolo di eventuale, auspicabile maggioranza dopo le prossime elezioni politiche, sono realistiche e pertinenti. Le forze della sinistra moderata e del centro, compreso l'”indipendentismo progressista” del Movimento 5 Stelle, ancora oggi sono molto, davvero molto lontane fra loro nella definizione di un programma complessivo di governo dell’Italia.
Soprattutto di un Paese post-meloniano che è ancora tutto da ricostruire, visto che siamo in pieno melonismo e che la singola incrinatura nel governo per questo o quel ministro imputato di qualche gaffes o, peggio, di qualche reato, non genera un corto circuito tale da mandare a casa né il singolo, né la maggioranza di destra-centro.
Subito potrà essere parsa una provocazione: marciare divisi per ottenere migliori risultati rispetto all’unirsi in coalizione. Ma non lo è. Anzitutto è un messaggio al suo partito, al PD: la corrente cattolica parla ai democratici tutti per parlare ad Elly Schlein. Non vi sono le premesse per una riedizione ulivista di un moderno centrosinistra. Le distanze sulla politica estera, così come quelle sui diritti sociali (meno su quelli civili), sono evidenti.
La sinistra di alternativa, nemmeno a parlarne, quando non è considerata minimamente per sostenere lo sforzo della cacciata delle destre da Palazzo Chigi e la loro riduzione a riedizione del vecchio MSI extra-costituzionale, tenta ostinatamente degli arroccamenti preventivi, degli abbarbicamenti solitari e ragiona settariamente su un lungo termine che, intanto, ci lascia in brache di tela e avvolti dal manto nero delle destre estreme di governo.
Tuttavia, se le ragioni edotte da Franceschini hanno una punta di ragionevolezza, di pragmatismo, di capacità di osservazione dei reali rapporti di forza esistenti, non va dimenticato che una presa di posizione di questa natura avrebbe una sua fondatezza, o per meglio dire può averla, nel caso in cui la legge elettorale fosse un proporzionale puro e non riguardasse soltanto il 61% dei seggi parlamentari.
Stando, per ora, su un piano meramente tecnicistico-politico, con il Rosatellum bis si dovrebbe invece cercare una quadra per avere il maggior numero di candidati comuni nel 37% di collegi uninominali, lasciando libere le forze politiche di correre per il restante assegnamento degli scranni della Camera e del Senato. Ciò, non è difficile comprenderlo, avvantaggerebbe senza ombra di dubbio le formazioni maggiori e, come è nell’intenzione della legge varata nel 2017, creerebbe comunque delle polarizzazioni interne.
Avremmo quindi Fratelli d’Italia da un lato e il PD dall’altro con intorno i loro satelliti più o meno grandi, più o meno piccoli. Se questo meccanismo sia in grado di battere le destre è, oggi più che nell’autunno del 2022, difficilissimo poterlo dire. Non c’è nessun dubbio sul fatto che allora l’attuale maggioranza ottenne, col 43,8% dei consensi 114 seggi nella quota proporzionale, mentre tutte le altre formazioni ebbero, col 45,9% 130 posti a sedere nelle Camere.
Ma nel maggioritario la situazione fu nettamente opposta: 122 seggi alle destre, 22 soltanto a tutti gli altri. Quindi, la proposta di Franceschini parte azzoppata se si pensa che, in questo momento, le percentuali sondaggistiche danno Fratelli d’Italia in leggera crescita, sostanzialmente una tenuta di Lega e Forza Italia e, quindi, il potenziale esprimibile dalla maggioranza di governo nei collegi uninominali non lascerebbe scampo al Resto del mondo politico italiano.
Ma, probabilmente, una minore litigiosità di coalizione, in assenza di una coalizione stessa ed in presenza, invece, di un cartello elettorale, infonderebbe nell’elettorato una percezione di maggiore coerenza con i princìpi di ciascuno, non barattati, non costretti a cessioni e a rinunce, apprezzando l’unità laddove è possibile e la differenza laddove rimangono punti di non incontro tanto su questioni internazionali quanto su problematiche interne.
Toccherebbe alla sinistra di alternativa, e nello specifico a Rifondazione Comunista, insieme ad altre forze come AVS e anche in Cinquestelle, riproporre quella connessione che deve poter necessariamente esistere tra la difesa e la riforma dello Stato sociale con il rilancio dell’essenza democratica della Repubblica. Giustizia ed uguaglianza sociale nel perimetro in costante espansione delle libertà tutte.
Anche i più ostili a qualunque forma di dialogo con le forze progressiste, devono riconoscere che è proprio da qui che riparte un tentativo di incisività della politica nel sociale: l’utilità del ruolo dei comunisti e delle comuniste oggi sta nel sapersi confrontare con una fase di sconfitta da cui può emergere un nuovo protagonismo delle istanze del mondo del lavoro anche grazie a partiti storici e dimenticati come Rifondazione Comunista.
È ovvio che la riproposizione della critica senza appello al capitalismo non può essere recepita dai nostri eventuali compagni di strada nella rimodulazione di una cultura della politica davvero alternativa all’attuale governo e all’attuale conservatorismo reazionario della maggioranza melonian-salviniana. Noi siamo e rimaniamo comunisti, ma questo non deve essere un impedimento nella ricerca di una convergenza su singoli punti sui quali possiamo essere magari utili a battere le destre.
E sconfiggere le destre politicamente è possibile se, per esempio, saranno capovolte una serie di norme come il Jobs act con i referendum promossi da CGIL e UIL e che, a differenza di quello sull’autonomia differenziata, non sono stati cassati dalla Corte Costituzionale e che, dunque, saranno oggetto di consultazione nella prossima primavera. Una grande campagna il più unitaria possibile per un successo su questo piano dirimente è il presupposto per la formazione di una unità di intenti.
Una prospettiva, quindi. Un inizio di dialogo che non vuol dire convergenza a tutto tondo, non vuol dire alleanza, ma vuol dire accordo sui punti su cui potrà esservi un incontro sincero e non solo una mera utilità elettorale. Abbiamo bisogno di tornare in Parlamento, per riportarvi la voce delle lavoratrici e dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati e di tutti coloro che patiscono la crisi sociale indotta ferocemente dall’economia di guerra.
Ma abbiamo bisogno pure di ricostruire il Partito, di ridare alla sinistra in Italia una forza di alternativa che rimetta in essere una sana competizione con il progressismo moderato ed anche con quello “indipendente” di Conte e del suo rinnovato Movimento 5 Stelle. L’errore da non fare è riconfigurare le due sinistre come nemiche fra loro. Conosciamo le differenze: noi non saremo mai il PD e il PD non sarà mai Rifondazione.
Ce lo dice la storia ultra trentennale del PRC e ce ne parla quella della trasmutazione del PDS in DS e poi dall’Ulivo nell’anomalo bicefalo veltroniano – come spesso mi è capitato di scrivere e dire – un unicum tutto italiano nel panorama tanto europeo quanto mondiale. Tanto che la riflessione di Franceschini su “la Repubblica“, tra una domanda e l’altra, lascia intravedere la possibilità che quella parte di mondo cattolico che sta nel PD possa anche fare altre scelte un giorno.
Ma, per ora, rimane lì dov’è, seguendo l’insegnamento di Zaccagnini. Dunque, rassereniamo gli animi di coloro che pensano che una parte di Rifondazione Comunista sia ostile alla formazione di un polo della sinistra di alternativa. Nessun progetto è aprioristicamente valutabile come inutile, inefficace o, peggio ancora, di nocumento per il PRC. Quello che proprio non va è la presenza dell’apriorismo nella proposta fatta da Ferrero nell’attuale fase congressuale.
Sbagliano tanto quelli che escludono preventivamente un dialogo con Rifondazione e con la sinistra di alternativa dalle parti della sinistra moderata e riformista; quanto quelli, come l’ex ministro del governo Prodi, che pensano di poter fare a meno del confronto con il resto del mondo politico progressista italiano, provando la rieditazione di aggregazioni che non hanno funzionato nel recente passato.
Se il centrosinistra ammette di non poter essere del tutto centro e nemmeno del tutto sinistra, di non poter essere sul piano programmatico e su quello numerico una alternativa alle destre se non qualificando di più le differenze che intercorrono tra i singoli soggetti, noi possiamo ammettere di non essere in grado di costruire nell’immediato e anche nel lungo periodo una altrettanto simile alternativa e, per giunta, di classe.
Il problema della sinistra moderata è che tende sempre, per natura e per missione, a cancellare il connotato sociale nel nome delle compatibilità di sistema. Noi, invece, privilegiamo il nostro appartenere ad una precisa parte, ad un mondo del disagio, dello sfruttamento, del lavoro e non a quello del furto profittuale e delle imprese. Questa divaricazione rimarrà. Perché è un tratto culturale, ideologico e, quindi politico-sociale della nostre formazioni.
Ma ciò non impedisce di guardare alle problematiche almeno del presente e lavorare per liberare il Paese dalla torsione autoritaria del melonismo, dalla svolta retrive del peggiore conservatorismo di destra che sta portando la Repubblica oltre sé stessa e la Costituzione ad essere un sembianza di sé medesima. Franceschini ci costringe a fare un bagno di realtà. Tutti quanti.
Le nostre diversità vanno messe a valore. Comunisti, ecologisti, socialisti di sinistra, socialisti liberali e libertari, cattolici di base, cristiano sociali possono parlarsi per rimettere in piedi una comune pratica di collaborazione senza tradire i propri princìpi, le proprie lotte e aspirazioni. Noi siamo l’avversario politico l’uno dell’altro. Siamo profondamente differenti, ma non possiamo essere nemici. Sappiamo chi è il vero problema di questo Paese oggi.
Se domani tornerà ad esserlo anche il fronte progressista, noi, nelle nostre possibilità, faremo tutta l’opposizione necessaria a contrastare anche i nostri compagni ed amici di strada. Ma oggi, su quella strada, occorre incamminarsi, perché i danni prodotti all’Italia che è sempre più povera e disperata sono tanti. Rivangare le scelte deleterie del passato non serve a migliorare quelle che possiamo fare da oggi e per il prossimo futuro.
MARCO SFERINI
25 gennaio 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria