Cento anni di Ugo. Intervista a Ricky Tognazzi

Dal 20 al 28 agosto a Torvajanica la rassegna "100% Ugo" tra film, amici, padel e cucina
Ugo e Ricky Tognazzi

La figura, il volto, la voce di Ugo Tognazzi hanno accompagnato l’Italia per decenni e la continuano ad accompagnare. Quest’anno Ugo avrebbe compiuto cento anni. Tra le tante iniziative promosse per questo anniversario oltre agli omaggi cinematografici, due, secondo me, ne denotano la grandezza. La prima. Cremona, la città in cui era nato il 23 marzo 1922, è passata ufficialmente da essere la città delle tre T, turòon, Turàs e tetàs – ovvero torrone, Torrazzo e “tettone” – a quella delle quattro T, turòon, Turàs, tetàs e, appunto, Tognazzi. La seconda è l’evento “100% Ugo Tognazzi” a Torvajanica che si concluderà a fine agosto. Intere giornate dedicate all’attore e regista in uno dei suoi luoghi simbolo. Festeggiamenti non stop organizzati dai figli Thomas, GianMarco, Maria Sole e dal primogenito Ricky Tognazzi (Milano, 1 maggio 1955) che sta girando l’Italia per incontri e rassegne, ma ci concede con grande disponibilità questa chiacchierata.

1. Ugo Tognazzi

Partirei proprio da qua. Ci puoi raccontare l’evento di Torvajanica?

Torvajanica lo ricorda perché Ugo la scelse come dimora estiva. Negli anni ’60, infatti, con uno scherzo degno di Amici miei, comprò più lotti dell’area della pineta nella speranza di coinvolgere alcuni suoi amici e creare un villaggio. Si aggiunsero così Luciano Salce e Raimondo Vianello che si insediarono in questo luogo divenuto per tutti il “Villaggio Tognazzi”, ma tengo a precisare che non è mai stato nostro. Ugo diede semplicemente i natali a quel luogo, anche se di solito è il contrario, che oggi è ufficialmente “Villaggio Tognazzi” frazione di Pomezia, con tanto di cartello del comune, sul lungomare Tognazzi e con un autobus dedicato. Sarebbe orgoglioso. Soprattutto dell’autobus.

Da lì è iniziato questo “porto di mare”. La casa di papà è sempre stata aperta agli amici, alla famiglia allargata, a chi faceva cinema con lui, a chi piaceva giocare a tennis, a chi lo passava semplicemente a trovare. Una casa aperta letteralmente, i cancelli non erano mai chiusi, soprattutto per i pranzi e per le cene.

Per quanto riguarda l’evento, da tre anni il Comune di Pomezia rende omaggio, insieme a noi, a Ugo. In piazza facciamo una settimana di cinema: proiettiamo le commedie dell’anno, premiamo gli amici di papà, quest’anno Giovanna Ralli e Pupi Avati, poi i protagonisti della stagione, Riccardo Milani, Massimo Ghini, Carolina Crescentini. Ma ci saranno anche altri amici di papà, quelli che lo hanno conosciuto bene, quelli che hanno partecipato al torneo di tennis che organizzava, come Michele Placido e sua figlia Violante, nostra amica, che porterà la sua nuova canzone.

2. Ricky Tognazzi durante l’intervista

E poi si svolgerà per due giorni un torneo di padel animato da attori, amici, gente dello spettacolo, giornalisti. Papà faceva lo “Scolapasta d’oro”, da quest’anno ci sarà la “Padella d’oro”.

Ma l’evento non finisce qui. Al “Villaggio” ci saranno una serie di proiezioni organizzate dal circolo velico. C’è una regata. I ristoranti faranno le sue ricette e per la città verranno messe centinaia di foto.

Insomma, dal 20 al 28 agosto, una settimana dedicata a papà, di pura “Tognazzeide”.

Leggere la sua filmografia è ripercorrere la Storia del cinema. Ugo Tognazzi è stato uno dei massimi interpreti della “commedia all’italiana” insieme a Sordi, Manfredi, Mastroianni e Gassman. Con quest’ultimo ha girato ben sette film. Erano più rivali o più amici?

C’era naturalmente della rivalità, ma era giocosa, dichiarata. Si prendevano in giro a vicenda. Si sentivano molto diversi l’uno dall’altro e si rispettavano reciprocamente. Ugo riconosceva in Vittorio la cultura, la teatralità, la monumentalità del personaggio, viceversa Vittorio riconosceva in Ugo la sua umanità, la sua vitalità creativa, la sua capacità di essere essere vero e moderno.

3. Gassman e Tognazzi insieme ne I mostri (1963) di Dino Risi

Vittorio era più grande, “Bigger Than Life” come dicono gli inglesi, la sua forza era proprio quella di essere poco realista, mentre Ugo era più minimalista, più legato alla realtà.

Erano uniti da un affetto sincero e dal piacere di lavorare e giocare insieme. Rivalità quindi si, competizione no. Sentivano di correre in due categorie diverse, non avevano voglia di combattere l’uno contro l’altro, si sentivano più parte integrante di stessa una squadra.

Prima hai citato Avati che verrà a Torvajanica. Ugo fu il primo che gli diede fiducia, così come fece con Marco Ferreri. Ha interpretato una varietà di ruoli senza eguali, non fermandosi mai al successo precedente accettando ruoli atipici e “pericolosi”; ha provocato – basti pensare a quell’Ugo Tognazzi “È il capo delle BR” – rivendicando il “diritto alla cazzata”. Dopo di lui, figli a parte, intravedi qualcosa paragonabile?

Sono cambiate tante cose. È sinceramente difficile. Ne parlavo anche con Enrico Vanzina e tutti e due riconoscevamo il fatto che questi signori, questi “moschettieri” come venivano chiamati, erano dei pezzi unici. Pietre preziose. Hanno rappresentato tra l’altro cinquant’anni di storia d’Italia, di tutti gli italiani: dai padroni agli operai, dai disoccupati ai truffatori, alle canaglie, agli amanti, agli amatori. Oggi come oggi quella ricchezza nel cinema non esiste.

Era un grande cinema italiano, non secondo a nessuno, che ha insegnato a tutto il mondo. Non solo la commedia. C’era il cinema d’autore, il cinema di denuncia, il cinema di genere. Si facevano trecentocinquanta film all’anno.

4. la provocazione: “Tognazzi è il capo delle BR”

Adesso si fanno dei film bellissimi, straordinari e ogni anno ci distinguiamo sempre tra festival e Oscar, ma quella stagione li purtroppo non c’è più.

Anche per questo trovare degli attori che possano essere paragonati a Tognazzi o a Sordi, Mastroianni, Manfredi, Gassman è complicato. Quello che forse somiglia di più a Ugo è Pierfrancesco Favino che non ha il passato e il trascorso comico, ma ha una fisicità che lo ricorda un pochino. Quello che ha fatto una carriera più simile è Diego Abatantuono perché ha cominciato anche lui dalla gavetta, lui dal cabaret, Ugo dalla “rivista”, per poi approdare al grande cinema d’autore.

Poi ci sono tanti altri attori bravissimi. Penso a Sergio Castellitto molto celebrale, sottile, ma meno carnale di Ugo. Un altro che mi piace da morire che è straordinario, ma che è napoletano e quindi c’entra meno con papà, però è sornione, furbo, intelligente è Tony Servillo.

Quindi dire che non esistono dei grandi straordinari attori è una menzogna, dire che esistono degli eredi di quella generazione è molto più complicato perché è cambiata un’epoca e il modo di fare cinema.

In che senso?

Non si fanno più trecentocinquanta film all’anno, se ne fanno una cinquantina e poi si fa tanta televisione che è un modo diverso di approcciare il racconto e la narrazione e di conseguenza la capacità di raccontare il Paese.

5. La grande Bouffe (1973) di Marco Ferreri

Quello era un cinema che riusciva ad essere di opposizione, spesso in contrapposizione all’offerta televisiva dell’epoca, che per tanti anni è stata solo quella di Rai 1, che imponeva la realtà del “l’ha detto la televisione”, ma la verità emergeva maggiormente nel cinema, con i film di denuncia, con una visione molto più libera del vissuto degli italiani.

Oggi questa contrapposizione non esiste già più: ci sono le piattaforme digitali, ci sono le televisioni che hanno iniziato a produrre con maggiore libertà e il cinema è un pochettino più sofferente. Io sono nato che c’era la crisi del cinema, ma meno profonda di quella attuale.

A proposito di film tra i tanti fatti da Ugo ce n’è uno cui ti senti più legato?

Ogni volta che mi fanno questa domanda non riesco mai a rispondere. Non riesco mai a sceglierne uno. Intanto perché ha attraversato in modo eccellente tutti i generi, poi perché mi sembra sempre di fare torto ad un altro film o ad un altro regista.

Me ne vengono in mente più di uno che sono Romanzo popolare, Amici miei, La califfa, cui Ugo era fortemente legato, La tragedia di un uomo ridicolo, che gli ha portato finalmente a casa il premio a Cannes. Poi ci sono i film di Ferreri, La donna scimmia e La grande Bouffe su tutti. Poi quelli con Vittorio: In nome del popolo italiano, I mostri.

6. Amici miei (1975) di Pietro Germi, diretto da Mario Monicelli

Mi è veramente difficile isolare un solo film. Ha attraversato tutti i generi con grande curiosità, con grande energia, con grande coraggio. Un cinema ormai d’epoca, ma film modernissimi, anche quelli che ho citato, che rappresentavano fortemente il loro tempo.

È il centenario di Ugo in una famiglia di cinema. Rimanendo in “casa Tognazzi” tu hai diretto grandi film, penso ad Ultrà, La scorta, hai lavorato, tra gli altri, con Francesco Nuti, con Simona Izzo – tua compagna di vita che ha radici ben piantate nel mondo del cinema e del doppiaggio in particolare (su queste pagine abbiamo raccontato la storia di Claudio Gianetto uno degli allievi di Renato Izzo). In tutta questa contaminazione quanto c’è del cinema di Ugo nei tuoi film?

Non lo so. Indubbiamente sono suo figlio anche artisticamente parlando e sono figlio di quel grande cinema di cui abbiamo parlato fino ad adesso. Tra l’altro inserirei tra i miei maestri anche quello che io chiamavo scherzosamente “preside”, Ettore Scola con cui ho avuto il piacere di lavorare e che mi ha dato le prime opportunità di fare questo mestiere sia come attore, ne La famiglia, sia come regista perché ha prodotto il mio primo film per la televisione, Piazza Navona e poi Piccoli equivoci. È sempre stata una persona molto vicina, molto disponibile, molto attenta, molto curiosa degli altri. Un insegnamento straordinario: l’attenzione nei confronti degli altri, di quello che pensavano.

Ma sono figlio anche del nuovo cinema americano, quello degli anni Sessanta e Settanta, quando andavo a vedere tre film al giorno, quello che ha cambiato il modo di fare cinema nei tempi e nella forma e che raccontato la rivoluzione culturale.

7. Ultrà (1991) di Ricky Tognazzi

Dopo La scorta, non so se per farmi un complimento o per prendermi un po’ per il culo, i critici di allora mi chiamavano “il giovane regista più americano tra tutti gli italiani”. Sarà stata la mia formazione in inglese, perché sono mezzo inglese (la mamma di Ricky è l’attrice Pat O’Hara, nda), sarà perché tutta la mia generazione ha molto amato quel cinema americano, anche snobbando un po’ il nostro.

Ma c’entra anche la musica. Eravamo più attenti alle novità che arrivavano da oltre oceano o da oltre Manica che della musica che ascoltavamo a casa nostra. Oggi come oggi, facendo il percorso a ritroso, come non rigodere del suono delle canzoni di Mogol e Battisti, di De André, di Tenco fino ad arrivare a De Gregori, Venditti, Guccini. Tutta “roba nostra”, ma era “roba nostra” anche Bob Dylan, i Beatles, i Rolling Stones.

Tornando al cinema quello americano, che si è imposto nelle nostre sale dal piano Marshall in poi, ha influenzato un po’ tutti, ma io penso di essere tra quelli che è stato influenzato maggiormente nella forma e nei contenuti. Mi piace raccontare che Ultrà sia figlio de I guerrieri della notte, così come La scorta è vicino ad un cinema poliziesco americano, penso a Il principe della città di Sidney Lumet o ai film di Scorsese che hanno fortemente influenzato la mia visione della realtà.

Insomma. Così come nella vita sono figlio per metà italiano e per metà inglese, anche nel cinema sono per metà italiano e per metà anglosassone.

Cosa gli regaleresti per i cento anni?

Altri cento anni di vita. Perché a lui piaceva molto vivere. La voglia matta vivere non è solo un gioco di parole con un suo bellissimo film è stata una filosofia di vita.

8. Grazie Ugo

Mi ricordo che quando da ragazzo avevo, come tutti, quei momenti generazionali con frasi tipo “questa realtà mi deprime” lui mi guardava con aria di compatimento e mi diceva “si, si. Anche io avevo una depressione. Una volta mi è durata due, tre… forse quattro minuti”.

Quando venne colpito dalla depressione fu davvero un fulmine a ciel sereno. La sua è stata una vita ricca, piena. Si alzava al mattino e poi viveva fortemente anche la lettura dei giornali e la colazione. Poi si attaccava al telefono, discuteva, litigava, poi aveva il pranzo di lavoro. Poi il set, i figli, le donne, gli amici, la cucina.

Aveva un’energia, una voglia di vivere, una capacità di essere una locomotiva trainante su tutto, sul momento specifico, la cena, la chiacchierata giocosa, piuttosto che sull’idea di come andava fatto il suo lavoro, sui soggetti dei film, sulle sceneggiature.

Era un combattente, non prendeva mai nulla alla leggera o con superficialità. Se pensava che una cosa era giusta combatteva fino in fondo. Combatteva anche perché era un anticonformista, diffidava del pensiero dominante per principio, lo guardava con scetticismo e cercava di minare quella realtà.

Ha vissuto solo 68 anni (morì a Roma il  27 ottobre 1990, nda), ma in realtà è come se ne avesse vissuto il doppio.

Gli augurerei altri cento anni per fare tutto quello che non è riuscito a fare.

MARCO RAVERA

redazionale


Immagini tratte da: immagine in evidenza foto da www.ilriformista.it e da www.mubi.come, foto 1 da it.wikipedia.com, foto 2 tratta dalla registrazione dell’intervista; foto 3, 5, 6, 7 Screenshot del film riportato nella didascalia; foto 4 elaborazione dalla “prima pagina” di Paese Sera; foto 8 da www.theitaliantouch.org.
Le immagini sono di proprietà dei legittimi proprietari e sono riportate in questo articolo solo a titolo illustrativo.

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