Canzoni in lotta contro il nazismo

Musica. «Yiddish Glory. The Lost Songs of the World War II», un’antologia di brani ritrovati scritti dagli ebrei nel corso della seconda guerra mondiale. Raccolti durante il conflitto da ricercatori sovietici, i testi furono a lungo creduti perduti per poi riapparire a Kiev negli anni ’90

«La Germania è nei guai, Hitler è kaput!»: è il baldanzoso verso finale di una canzone scritta da un ebreo di Odessa nel 1944, una delle centinaia di testimonianze della cultura ebraica degli anni della guerra raccolte praticamente in presa diretta – durante il conflitto o nell’immediato dopoguerra – da un gruppo di etnomusicologi ebrei sovietici che faceva capo al dipartimento di cultura ebraica di Kiev. Guidati da Moisei Beregovsky, riuscirono a documentare centinaia di nuove canzoni in yiddish, in qualche caso testi accompagnati da musiche originali, a volte invece basati su musiche popolari o brani preesistenti, e spesso testi senza musica.

Nessuno degli autori era un poeta o un musicista professionista, erano solo uomini e donne che avevano sentito il bisogno di dare espressione ai propri stati d’animo o di raccontare le atrocità naziste: erano soldati dell’Armata Rossa – quasi mezzo milione di ebrei combatté nell’esercito sovietico – o abitanti delle zone invase, o persone, soprattutto donne, che lavoravano a sostegno dello sforzo bellico nel fronte interno, negli Urali e in Siberia e in altre regioni dell’Asia sovietica dove furono trasferiti quasi un milione e mezzo di ebrei delle aree occupate dai tedeschi.

L’idea alla base di questa vasta ricerca sul campo era quella di ricavarne un’antologia, che non vide però la luce perché Beregovsky fu arrestato nel corso delle purghe staliniane del dopoguerra. Mancato poi nel ’61, morì, così come gli altri etnomusicologi, convinto che il materiale fosse irrimediabilmente perduto.
Ma negli anni novanta nella biblioteca nazionale dell’Ucraina a Kiev furono rinvenute alcune scatole non classificate, contenenti materiale che si cominciò a catalogare. Poi nei primi anni duemila trovandosi a Kiev la professoressa Anna Shternshis, specialista di yiddish, si rese conto che si trattava di uno straordinario patrimonio di canzoni risalenti all’epoca della guerra e rimaste poi sconosciute.

Dalla sua collaborazione con il poeta e cantante Psoy Korolenko è nato Yiddish Glory. The Lost Songs of the World War II, un album pubblicato dalla Six Degrees Records che mette a disposizione un florilegio di queste canzoni: Korolenko ha elaborato le musiche a cui i testi erano originariamente connessi oppure ha immaginato delle soluzioni confacenti per i testi che ne erano privi, e Sergei Erdenko, grande violinista rom russo, ha curato gli arrangiamenti.

Senza cercare nell’interpretazione dei brani, né nella musica né nel canto, un registro artificiosamente folk, anzi proponendosi con notevole eleganza, Yiddish Glory non lascia indifferenti: gli strumentisti, a partire da Erdenko, sono di alto livello (clarinetto, tromba, pianoforte, fisarmonica, chitarra, oltre al violino), come voci si alternano Korolenko, Erdenko, Sophie Milman, russa e canadese di adozione, vocalist di successo nel campo del jazz, e il dodicenne Isaac Rosenberg, che interviene in maniera commovente in alcuni brani, in particolare in una canzone scritta nel ’45 da un ragazzino ucraino, il cui protagonista è un bambino rimasto orfano della madre.

Ma essenziale per immedesimarsi fino in fondo in questo lavoro è il libriccino di oltre 40 pagine che correda il cd: per ciascuna canzone – di cui è riprodotto il foglio che era stato archiviato dai ricercatori, con le parole a volte battute a macchina, a volte scritte a mano – è fornito il testo tradotto in inglese e russo, accompagnato da dettagliate note sulle circostanze in cui la canzone è stata creata (e dove possibile sull’autore) e sul suo significato.
Il protagonista di Yoshke di Odessa – resa magnificamente dal canto e dal violino di Sergei Erdenko – è un soldato eccezionalmente coraggioso, che fa a pezzi i nemici. Basata sull’Allodola, un brano di Glinka, compositore russo della prima metà dell’Ottocento, che era nel repertorio di molti tenori, fra i quali anche tenori yiddish, la canzone composta nel ’43 è emblematica di una esaltazione non solo del valore dei soldati ebrei, ma anche della loro spietatezza, della loro determinazione a schiacciare con la violenza il fascismo tedesco.

Un motivo che percorre molti di questi testi, in cui al patriottismo sovietico si mescola l’orgogliosa reazione degli ebrei alla propaganda antisemita che li dipingeva come deboli e inadatti a combattere, e il desiderio di vendicare i massacri e le atrocità di cui gli erano rimasti vittime nelle zone occupate (due canzoni sono eccezionali testimonianze sulla sorte degli ebrei di Babi Yar e di Tulchin).
Direttamente o indirettamente, riecheggia lo scritto del ’42 di Ilya Ehrenburg, intitolato Uccidi il tedesco, in cui Ehrenburg sosteneva che i tedeschi non erano umani e dovevano essere uccisi senza pietà: diventato molto popolare, fu tradotto in moltissime lingue dell’Unione Sovietica, compreso lo yiddish.

Le note segnalano diversi riferimenti rinvenibili nei testi, che meritano però di essere letti attentamente e che riservano molti gioielli.
Hitler è nominato in quasi tutte le canzoni. In una è associato ad altri nemici del popolo ebraico, fra cui Torquemada. In una canzone/lettera al marito, che combatte al fronte, l’autrice – sarta ventottenne di Minsk, una delle donne impegnate nella produzione per la guerra – lo incita a uccidere tutti i tedeschi fino all’ultimo e dice genialmente: «Sono alla mia macchina da cucire, e sto confezionando un sudario per Hitler».

In un brano intitolato Kazakhstan, raccolto ad Alma Ata nel ’45, l’autore, probabilmente un rifugiato polacco, manifesta la sua gratitudine alla repubblica sovietica che ha permesso a tanti ebrei come lui di sopravvivere. Il brano è stato musicato da Erdenko ispirandosi sia alla musica yiddish che a quella rom per ricordare anche lo stermino degli zingari, ed è cantato da Sophie Milman, la cui nonna era una ebrea rifugiata durante la guerra in Kazakistan. Il protagonista della canzone si rivolge alle montagne e chiede: «Anche voi mi odiate (come i tedeschi)?». E le montagne rispondono con un riferimento biblico: «Non avere paura Giacobbe, servo mio» (Geremia 30:10). Geniale poi il verso successivo: «Siamo montagne sovietiche e conosciamo la Torah di Lenin».

MARCELLO LORRAI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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