Caldo atroce e capitalismo liberista vanno di pari passo…

Texas, contea di Kerr. Il fiume Guadalupe si ingrossa, esonda e travolge un campo scout cristiano: “Camp Mystic“. Ci sono già ventiquattro ragazzi morti. Altre venticinque ragazze sono disperse....

Texas, contea di Kerr. Il fiume Guadalupe si ingrossa, esonda e travolge un campo scout cristiano: “Camp Mystic“. Ci sono già ventiquattro ragazzi morti. Altre venticinque ragazze sono disperse. Il governatore dello Stato invita la popolazione a “pregare in ginocchio“, ma gli effetti del clima che cambia probabilmente sono difficilmente mutabili con la sola devozione, con il ricorso alla volontà di chi è ritenuto onnipotente. Spiegano gli esperti che il calore eccessivo associato al tanto vapore acqueo che c’è nell’aria provoca anzitutto l’alto tasso di disagio fisico che viviamo in queste ore.

Le temperature sono oltre sette gradi in più rispetto a quella che viene definite la “media stagionale“. Tocchiamo quasi i quaranta gradi di giorno persino all’ombra: i termometri sparsi per le città segnano addirittura, quando sono esposti direttamente al sole, anche cinquantadue gradi… Impazzano le foto su Internet con questi numeri che diventano protagonisti di un mutamento davvero insostenibile. Non solo per la nostra sciagurata specie, ma anche per gli altri animali, di terra, di mare, dell’aria.

Alle cinque del mattino si registrano già trenta gradi. Di notte non si dorme se non con un ventilatore puntato addosso. Il ricorso all’aria condizionata è un sollievo momentaneo, necessario anche, ma è pure una contraddizione: a causa dell’eccessivo uso degli apparecchi refrigeranti non facciamo che immettere sempre più aria calda nell’atmosfera, provocando anche enormi corto circuiti e black-out. I commenti dei giornalisti e degli analisti in televisione parlano delle ripercussioni sulla salute e, soprattutto, di quelle sull’economia.

Manca una legislazione adeguata ai tempi, perché i tempi mutano velocemente e, tuttavia, negli anni passati si sarebbe potuto prevedere – viste le tanti estati calde che abbiamo già attraversato – che sarebbe stato veramente impossibile poter lavorare sotto il sole nelle ore del pomeriggio. Invece, non è stato fatto nulla e oggi, dopo che gli operai, gli agricoltori, i muratori e altri lavoratori esposti al caldo stramazzano al suolo colpiti da infarti che non lasciano scampo, ci si rende conto (o almeno così pare…) che è urgente fare qualcosa.

Si sospendono alcune attività da mezzogiorno alle quattro del pomeriggio (ed è sempre troppo poco) e si predispongono dei centri di rifugio climatico per chi ha patologie particolarmente gravi e davvero rischia di essere ucciso dall’afa, dalla calura, dall’irrespirabilità dell’aria. Queste ondate di caldo intenso sono oramai endemiche e rappresentano un cambiamento tropicale del clima europeo: non si salvano molti paesi del Vecchio continente. Anche più a nord dell’Italia le temperature sono roventi di giorno e intollerabili di notte.

È stato dimostrato scientificamente che, laddove si piantano alberi e questi proiettano la loro ombra sull’asfalto, la riemissione del calore nell’aria è notevolmente inferiore. Politici tanto di destra quanto di sinistra, alla guida delle regioni, delle province e dei comuni, davanti all’ineluttabile potenza della natura, cercano un riparo oltre che all’ombra anche dai futuri tracolli elettorali: promettono di piantare milioni di alberi proprio per avere un refrigerio naturale, dopo aver sostenuto per decenni misure che andavano nell’esatta contraria direzione.

Di quanto si possa realmente diminuire la temperatura nelle città piantando nuovi giganti verdi è difficile da stabilire: dipende dal luogo, dipende quindi se ci si trova sulle coste o in pianura, in montagna o sugli Appennini. Ma di sicuro la canicola che ci attanaglia scenderebbe di qualche grado e sarebbe soprattutto un bene generale: per noi, per gli animali, per la terra in quanto tale. Alterniamo a periodi di grande caldo improvvisi fenomeni temporaleschi, causati dallo incontro e dallo scontro delle alte e basse pressioni.

I fiumi straripano, travolgono interi paesi e le piene arrivano come all’improvviso, dopo che si sono riversati a monte in poche ore tanti millimetri di pioggia quanti ne piovono in un anno intero. Chi nega il mutamento climatico lo fa o per stupidità o per interesse. Politico, economico, poco conta. Sempre un interesse privato è e contrasta col benessere comune, Chi, poi, sostiene che il mutamento è nell’ordine naturale delle cose, trascura il fatto che, dalla Rivoluzione industriale in avanti, abbiamo cambiato così tanto il modo e lo stile di vita, grazie a tecnologie sempre più produttive ma anche sempre più inquinanti, da far registrare oggi una rivoluzione climatica assolutamente regressiva.

Tale è, chiaramente, se si prende come punto di riferimento la nostra capacità di adattamento agli eventi che chiamiamo “estremi” sempre in rapporto alla vivibilità nostra del pianeta. Ma è un dato inoppugnabilmente di fatto che la vita sulla Terra sta diventando per noi animali umani e per tutti gli altri animali non umani ed esseri viventi sempre più invivibile. Qui non si tratta di affrontare terremoti, maremoti, alluvioni determinate da particolari congiunture climatiche che si verificano una volta ogni decine o centinaia di anni.

Qui si tratta oramai di prendere consapevolezza del fatto che il punto di non ritorno è vicino, quando non anche oltrepassato per quanto riguarda molte delle problematiche climatiche che oggi il pianeta subisce a causa nostra, del nostro sistema economico distruttivo, antiecologico, antropocentrico in tutto e per tutto. Da quanto tempo è che non si investe più un centesimo di euro, per fare un esempio, sul contenimento degli sprechi delle reti idriche? Ogni anno nel Mezzogiorno va perduta la metà dell’acqua prelevata. Mentre nell’intera Italia la percentuale della dispersione è del 22% sul totale.

Quando passano in televisione le devastanti immagini dei campi aridi, della siccità che colpisce vaste zone del Sud e vediamo i terreni screpolati da vasti solchi prodotti dal sole che picchia martellante sulle colture morte e quasi sepolte nella polvere, in quegli instanti dovremmo ricordare e far ricordare che la combinazione tra il mutamento climatico e l’obsolescenza della rete idrica è un combinato disposto eccellente per fare sì che muoia una parte dell’ambiente, che si fermino grandi comparti agricoli e che, quindi, tutto a cascata peggiori sensibilmente.

Si perdono così quasi otto miliardi di metri cubi d’acqua in un anno: una quantità enorme, capace di soddisfare i bisogni di oltre quaranta milioni di cittadini. La logica del privato, che si è introdotta soprattutto nei principali settori di tutela dei beni comuni, come appunto l’acqua, ha messo sempre e soltanto il profitto (come è ovvio!) davanti ad ogni altra considerazione di carattere sociale, comunitario, persino nazionale. Si passa da un estremo all’altro: da torrenziali piogge e smottamenti di colline ad una siccità che distrugge e non lascia scampo.

Dall’Emilia Romagna a Valencia, da Cervinia a Bardonecchia, passando per altre decine e decine di città e paesi nel mondo in cui, proprio come in Texas, quella che noi definiamo “furia” degli elementi altro non è che la risposta dell’adattamento della natura ai cambiamenti innaturali che le abbiamo imposto con un modello produttivo che deve essere superato. Ha ragione Kohei Saito quando afferma che il tema del riequilibrio ambientale, del ritorno ad una sostenibilità quanto meno vivibile dell’esistenza nell’ecosistema attuale è legata al superamento del capitalismo.

Noi possiamo anche adottare tutte le micromisure, pure importanti, per contenere un poco i disastri locali, ma il problema è globale. Possiamo fare la raccolta differenziata, comperarci la borraccia ecologica, borse di tessuto invece che di plastica (e quanta plastica usiamo e buttiamo ogni ora, ogni minuto…), adoperare i sacchetti compostabili, limitare l’uso della luce elettrica, non utilizzare i condizionatori d’aria… Ma senza l’andare oltre questa economia devastante non si risolverà mai nulla e si andrà sempre di più verso una catastrofe per tutti gli esseri viventi e per la natura.

Il capitalismo non può sottrarsi allo sfruttamento delle risorse naturali, umane, animali… Il capitalismo è la quintessenza dello sfruttamento di tutto ciò che è sfruttabile e la sua trasformazione in beni di consumo, in merci, a qualunque costo. Anche al costo di produrre, un giorno, la sua stessa distruzione per insostenibilità manifesta. Ma, caso mai si dovesse arrivare a quel punto, sarà qualcosa di più di un “troppo tardi“. Sarà la fine dell’animalità tanto umana quanto non umana e del pianeta per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, pur in tutti i suoi innaturali mutamenti.

La comprensibilità della portata epocale del mutamento climatico passa necessariamente da quella che è l’unica teoria e scienza critica al contempo proprio nei confronti del capitalismo: il marxismo. Non vi sono, ad oggi, nuove elaborazioni così approfondite e meticolose sul sistema produttivo attuale che affonda le sue radici nella già citata Rivoluzione industriale e nel mercantilismo precedente. Dai “quaderni di scienze naturali” piuttosto misconosciuti, viene fuori un interesse profondo di Marx per le questioni ambientali: deforestazione, la desertificazione, l’esaurimento del suolo e addirittura l’estinzione delle specie.

Oggi il tema del ciclo di vita della specie umana, entro quella più grande dell’animalità, è un tema che inizia a farsi largo proprio per la evidente incompatibilità tra il sovraffollamento del pianeta, il sistema economico che lo distrugge nel nome del profitto e dell’accumulazione del capitale, e quella Natura con la enne maiuscola che è stata pervertita e costretta a mutamenti che non la riguarderebbero se non fosse per il fatto che siamo in quella che Saito chiama l'”era dell’antropocene“, ovviamente con protagonisti tanto struttura economica quanto sovrastrutture di tutt’altro tipo.

L’invivibilità della vita non è, così, soltanto più un tema del pessimismo filosofico, poetico e culturale dei tempi passati o anche di un oggi piuttosto distratto in tal senso. Si tratta di un tema cogente, che ci riguarda direttamente, materialmente. Ci siamo e ci stiamo scavando la fossa. Senza fare piazza pulita del capitalismo non ci potrà essere un futuro per l’umanità, per l’animalità, per la Natura che ci riguarda e ci comprende.

La Terra continuerà ad esistere per qualche miliardo di anni. Facendo a meno di noi molto tempo prima della naturale scomparsa della specie, secondo i cicli studiati fino ad ora: da uno a dieci milioni di anni… I nostri sogni di eternità sono effimeri già di per sé, ma grazie al cattivo uso della nostra intelligenza, dell’autocoscienza e della voglia di primeggiare sempre e soltanto, noi animali umani termineremo la nostra corsa storica sulla Terra molto tempo prima dei clicli, anche qui, naturali, di nascita, vita e fine di una specie…

Ciò che di straordinariamente bello si è formato, per una serie di fortunate circostanze, nel Sistema solare, ossia il nostro pianeta con la vita complessa e addirittura consapevole della vita e dell’esistenza stessa, noi lo stiamo davvero distruggendo, avviluppati in una contorta disputa di potere e di voglia di profitti di pochi a scapito di miliardi e miliardi di umani e centinaia di miliardi di non umani. Le parole non bastano per cambiare il mondo. Ma ogni tanto bisogna anche ripetersele, per ritornare umili quel tanto da capire che potremmo almeno vivere meglio rispetto a come accade oggi.

Non riusciamo a farlo per le resistenze di chi ha dei privilegi e li intende mantenere: con la forza, con la prepotenza, con tutte le ragioni di Stato che si possono accampare. Penserà la Natura a spazzare via questo pattume della Terra. Ma a quel punto non vi sarà più vita vivibile per nessuno qui… Sarà un atomo opaco sempre, ma con meno male sopra.

MARCO SFERINI

5 luglio 2025

foto: screenshot ed elaborazione propria

categorie
Marco Sferini

altri articoli