Argentina di ieri e oggi: «Fuori l’Fmi»

America latina. Manifestazione sospese, a 44 anni dall'inizio della dittatura militare. Il presidente Fernandez dice no alla richiesta di stato d'assedio. Tra i lasciti di quell'epoca un debito estero considerato illegale da gran parte della società

Cartelloni e fazzoletti bianchi, come quelli diventati simbolo delle Madres de Plaza de Mayo, appesi alle finestre e ai balconi. Così Buenos Aires celebra il quarantaquattresimo anniversario del colpo di stato militare del 1976 in mezzo alle durissime misure messe in atto dal governo per contrastare la diffusione del Covid-19.

Domenica 15 marzo il presidente Alberto Fernandez ha dichiarato la chiusura delle scuole e la sospensione delle attività non indispensabili e da venerdì l’intera popolazione è sotto isolamento obbligatorio per evitare il contagio. Finora sono stati registrati 301 casi e quattro morti, ma si attende il picco della pandemia entro due settimane.

Manifestazioni e attività sospese dunque, anche se il bisogno di mantenere viva la memoria è più attuale che mai. Nei sette anni di dittatura sono stati fatti sparire 30mila argentini e i resti della maggior parte di loro non sono mai stati trovati. 500mila persone dovettero scappare in esilio.

Nei più di 300 centri clandestini di tortura sono nati 490 bambini sottratti alle loro madri e consegnati ai complici dei torturatori. Solo 130 di loro oggi conoscono la loro vera identità grazie al lavoro delle nonne, riunite nell’associazione Abuelas de Plaza de Mayo che cercano ancora i 360 nipoti che mancano.

Alcuni governatori hanno chiesto al presidente di dichiarare lo stato d’assedio e inviare l’esercito nelle strade per limitare ancor di più la circolazione di persone nelle città. Una richiesta giudicata fuori luogo in una data così sensibile per il paese.

Anche le eredità economiche dell’ultima dittatura pesano ancora drammaticamente sull’Argentina. I quattro presidenti militari avvicendatisi all’epoca moltiplicarono per sei il debito estero argentino.

In parte dovuto alla nazionalizzazione dei passivi di settanta aziende multinazionali come IBM, Ford, City Bank, l’italo-argentina Techint e Fiat, o locali come il gruppo Macri, proprietà della famiglia dell’ex presidente tra il 2015 e il 2019.

Parte di quel debito, considerato illegale da buona parte della società, dev’essere ancora pagato. Come i 10 miliardi che l’Argentina deve al Club di Parigi, in cui si includono anche fondi destinati alla costruzione di un gasdotto tedesco e un sottomarino olandese, mai costruiti, e usati dai dittatori di allora per finanziare altri interessi.

Non è difficile quindi leggere oggi sugli striscioni bianchi appesi nelle strade di Buenos Aires slogan come «No al pago de la deuda», o «Fuera Fmi».

Per molti i delitti di allora sono i problemi di oggi. Le decisioni prese in quel periodo portarono il tasso di povertà dal 4,4% del ’75 al 37,4 dell’83, un livello da cui l’Argentina non si è mai potuta riprendere.

L’emergenza coronavirus sembra passare anche sopra antichi attriti internazionali, rafforzati durante la dittatura. Nell’aprile 1982 il governo militare inviò 14mila soldati, per lo più coscritti, a prendere le isole Malvinas, occupate dalla Gran Bretagna dal 1866.

Nella guerra che ne derivò morirono 649 argentini e una tensione diplomatica ancora in corso. Il ministero degli esteri argentino ha offerto cibo e aiuti sanitari ai kelpers, gli abitanti delle Malvinas, attraverso l’ambasciatore britannico a Buenos Aires.

FEDERICO LARSEN

da il manifesto.it

Foto di elmonje1881 da Pixabay

categorie
AmericheEsteri

altri articoli