Analisi della sconfitta. Il sud si astiene, le città non reggono

Affluenza alta a Torino, Firenze e in molte periferie romane. Il quesito sulla cittadinanza si ferma poco sopra il 65% dei sì

Scorrendo i primi numeri, spesso parziali, della consultazione referendaria è possibile tentare una prima analisi della sconfitta prendendo a riferimento innanzitutto le variabili basiche e provando a intrecciarle. Ne viene fuori la difficoltà di costruire uno spazio politico riconoscibile e attraversabile da persone di diverso tipo, ciò che forse rappresenta la precondizione per la partecipazione e l’attivazione elettorale.

Quando la Cgil si è presa sulle spalle la gran parte di questa contesa questi temi erano tutti sul tappeto, dichiarati dallo stesso Maurizio Landini: la crisi di credibilità della democrazia rappresentativa rischia di travolgere ogni istanza di partecipazione. Anche gli strumenti di democrazia diretta come i referendum, che pure da anni si segnalano come parte del problema e non della soluzione.

La prima variabile è quella della distribuzione territoriale. Partecipano più le grandi città rispetto alle aree interne, più al nord rispetto al sud (anche se la città con meno affluenza è nel profondissimo nord: Bolzano si ferma al 15,2%). Le regioni con più votanti sono la Toscana, con il 39,09% e l’Emilia Romagna, che ha registrato il 38,10% d’affluenza. Nelle grandi città, a Roma si è presentata alle urne il 36,18% degli aventi diritto, a Milano il 35,43%, a Torino 41,51%, a Napoli il 31,76% e a Palermo il 24,87%. L’area con più votanti è quella della provincia di Firenze. Neanche Bologna, per capire la dimensione del problema, è riuscita a superare la soglia del 50%.

Non è facile sovrapporre le mappe del voto ai partiti con quelle di questa tornata referendaria. Soprattutto al sud, che in larga parte è considerato serbatoio dei voti del Movimento 5 Stelle e in alcune zone è presidiato storicamente dal Partito democratico. Eppure manca l’appuntamento con le urne, con l’eccezione parzialissima di Matera e Taranto, dove si tenevano i ballottaggi per i sindaci (44,83% per la città pugliese e 34,18% per la città dei sassi).

In Sardegna l’asticella ferma al 27,73%: solo a Nuoro (59,19%) dove si teneva il ballottaggio e in altri cinque comuni, su 377, si è raggiunto il quorum. Il Veneto non va oltre il 26%, meglio il Piemonte. Calabria e Sicilia sono le regioni in cui l’astensione è più alta, poco sopra il 23%.

La seconda variabile riguarda i cinque quesiti. I primi quattro, quelli promossi dalla Cgil su lavoro a termine, licenziamenti facili, tutela del lavoro in subappalto, sfiorano il 90% dei sì. Il quinto, sul dimezzamento dei tempi per ottenere la cittadinanza italiana (da dieci a cinque anni, come già accade molti paesi europei) era stato proposto da un ampio schieramento che va dai Radicali italiani a Rifondazione e sostenuto anche dalla Cgil, si ferma sotto il 65% dei sì.

Questo è l’unico tema sul quale tra i principali partiti si erano creati dei distinguo, visto che il Movimento 5 Stelle, fedele alla sua tradizione storica di maggiore chiusura, ha lasciato libertà di scelta (anche se va detto che Conte aveva fatto intendere di essere a favore del sì).

Lo scarto attorno alla scheda gialla, quella sulla cittadinanza, farà dibattere. Nel corso dalla campagna referendaria, sono emerse a più riprese congetture circa l’effetto dumping dei lavoratori migranti sui salari. Sono ricostruzioni che in sostanza hanno un fine ultimo analogo a quello delle politiche neoliberali: mettere gli i lavoratori gli uni contro gli altri.

Per capire come l’estrema destra utilizzi temi fintamente sociali per colpire le vite dei migranti basti dire che persino il generale Vannacci si è messo a citare (in forma del tutto decontestualizzata, ovviamente) Karl Marx e la sua teoria dell’esercito industriale di riserva. Ma basta aver studiato il filosofo di Treviri nei compendi scolastici per sapere che la sua proposta era la solidarietà di classe e non la guerra tra poveri. Semmai, i diritti di cittadinanza a nuovi settori della classe lavoratrice avrebbe impedito quel dumping che la destra cita strumentalmente.

L’altro dato, che andrà corroborato compulsando con maggiore attenzione i risultati sui territori, pare confermare molti studi empirici sul rapporto tra opinione pubblica, migrazioni e sicurezza percepita: la maggior parte dei voti a favore del dimezzamento dei tempi per la cittadinanza viene da zone con alta presenza migrante (è, solo per fare un esempio, il caso dei quartieri romani periferici di Ponte Mammolo, del Tiburtino, del Prenestino Labicano e del Collatino che hanno raggiunto il quorum con dati che vanno dal 50 al 55%).

Significa che a diffidare degli stranieri non sono generici cittadini esasperati: sono quelli che materialmente vivono isolati, non incrociano i migranti nella vita di tutti i giorni e dunque probabilmente si affidano agli allarmi lanciati dai grandi media. Sarà importante ricordarlo, per non abboccare alla propaganda sui ceti popolari accerchiati da orde di extracomunitari.

GIULIANO SANTORO

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria

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Politica e società

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