Il dem Ricci contro l’uscente Acquaroli di Fdi. Per Meloni una sconfitta sarebbe quasi un avviso di sfratto, per Schlein i conti si faranno invece a fine novembre. La prima delle sei regioni al voto è quella più incerta, l’unica dove la partita è aperta. Un po’ come se la finalissima si giocasse alla prima giornata di un torneo
Per Giorgia Meloni una sconfitta nelle Marche, dove si vota oggi e domani, sarebbe un duro colpo, quasi un preavviso di sfratto; per Elly Schlein no. La prima delle sei regioni al voto di questo autunno è anche quella più incerta, forse l’unica dove la partita è aperta: sulla riconferma della destra in Veneto e Calabria in pochi dubitano, così come sulle vittorie del centrosinistra in Toscana, Puglia e Campania. Nelle Marche non si sa: un po’ come se la finalissima si giocasse alla prima giornata di un torneo.
Per Schlein e alleati questa prima partita si può anche perdere, perché è a fine novembre che si faranno i conti, e allora le probabili vittorie di Antonio Decaro e Roberto Fico saranno le frecce da lanciare nel metaforico assedio a palazzo Chigi. Una sconfitta di Matteo Ricci vorrebbe dire partire col piede sbagliato, in una corsa però molto lunga; per Meloni, che nelle Marche ha l’unico candidato targato Fdi (in attesa di quelli in Campania, Puglia e Veneto) la sconfitta del fedelissimo governatore uscente Francesco Acquaroli sarebbe una botta difficile da recuperare.
In particolare in un momento delicato come questo, in cui le piazze si riempiono oltre ogni aspettativa di bandiere della Palestina e accusano il governo di «complicità» con il genocidio. E alla vigilia di un’altra manovra senza soldi. Per questo la premier ha messo tutto il suo peso nella sfida marchigiana, con il comizio del 17 settembre ad Ancona in cui ha ammesso che il suo candidato «non sa comunicare bene» e ha chiesto agli elettori di votare sostanzialmente per lei: quasi una richiesta di fiducia fuori dalle aule parlamentari che lei poco frequenta e assai detesta, da quando è salita a palazzo Chigi.
Alle regionali del 2020 le opposizioni si presentarono divise: Pd da una parte, M5S dall’altra, più altri candidati di sinistra che racimolarono il 3%. Finì con un distacco enorme: 49% per Acquaroli e 37% per Maurizio Mangialardi del centrosinistra. Erano i tempi del Salvini con le vele spiegate, Fdi prese il 18%, numeri importanti per l’epoca. Dopo la vittoria di Marco Marsilio nel 2019 in Abruzzo, le Marche furono la seconda regione a issare la bandiera di Fdi.
Alle europee del 2024 il distacco tra i due schieramenti si è ridotto: il centrodestra ha ottenuto il 48%, il centrosinistra col M5S il 43,7% (lasciando fuori Azione che ha preso il 3% ma non è presente col suo simbolo a queste regionali). Un distacco dunque di 3-4 punti a favore delle destre che è stato un po’ il leit motiv di questa campagna, e degli ultimi sondaggi pubblicabili, tenendo conto però che con 1,3 milioni di elettori, e un’affluenza prevista intorno al 50%, un punto di distacco vale circa 6mila voti. Dunque si può vincere o perdere davvero per una manciata di voti.
Acquaroli ha beneficiato dello sforzo immane del governo, delle promesse di soldi in arrivo, a partire dall’ingresso delle Marche nella Zona economica speciale (Zes), che non è ancora avvenuto ma forse avverrà dopo il voto, chissà, sempre che Meloni non cambi idea in caso di sconfitta. Una promessa che vale molto in termini economici, e suona un po’ come le famose scarpe di Achille Lauro, per avere la seconda bisogna votare come previsto.
Matteo Ricci, l’ex sindaco di Pesaro ora europarlamentare Pd, si è buttato nella sfida con determinazione, probabilmente a inizio estate pensava fosse un po’ meno dura, poi è stato azzoppato a fine luglio dall’avviso di garanzia per un’inchiesta che riguarda 600mila euro concessi dal Comune di Pesaro, quando lui era sindaco, con affidamenti diretti ad alcune associazioni no profit (una di questa ha realizzato un casco gigante di Valentino Rossi). Ricci è convito che l’inchiesta vada verso l’archiviazione, e anche per questo è andato avanti. Con il benestare dell’avvocato Giuseppe Conte che ha voluto «leggere le carte» prima di confermare l’alleanza col Pd.
Da allora l’inchiesta è sostanzialmente sparita dalla campagna elettorale, giocata molto sui temi della sanità pubblica e della crisi economica, in particolare i dazi di Trump che rischiano di penalizzare molto le imprese marchigiane. Se sui dazi la destra è rimasta muta, sulla sanità Acquaroli ha ripetuto in continuazione che ogni responsabilità è delle «precedenti giunte di centrosinistra». «Dopo 5 anni al governo mi pare un argomento molto debole», la replica di Ricci che, in ogni caso, non faceva parte di quelle giunte e ha un programma di rilancio della sanità pubblica, a partire dalle liste d’attesa che vuole «dimezzare in sei mesi».
Ma, alla fine, i temi nazionali e internazionali hanno prevalso. Come la mobilitazione per Gaza, che Ricci ha fatto sua chiudendo il comizio del 25 settembre ad Ancora con una gigantesca bandiera della Palestina annunciando che il «primo atto del prossimo consiglio regionale sarà riconoscere lo Stato palestinese». Il tema di Gaza ha finito per dominare gli ultimi giorni della campagna del centrosinistra, anche troppo, visto che si tratta di elezioni nelle Marche. Di certo è stato un tentativo per mobilitare l’elettorato di centrosinistra, assai sensibile alla questione.
Per vincere infatti bisogna mobilitare gli elettori della propria area e per Ricci è necessario che quelli di 5s e Avs non restino a casa. Lo stesso vale per Meloni: più alta sarà l’affluenza più le sue chance di vincere aumentano. Per lei non c’è un secondo tempo: in Calabria corre Occhiuto di Fi, il Veneto salvo cataclismi andrà alla Lega. Per la premier si vince o si perde tra oggi e domani.
ANDREA CARUGATI
foto: screenshot ed elaborazione propria







