Addio Lucio Manisco, da New York con furore

E così a un certo punto apparve questo giornalista che occupava il teleschermo come un campo di battaglia, il pugno destro piantato sul tavolo con il gomito in alto...

E così a un certo punto apparve questo giornalista che occupava il teleschermo come un campo di battaglia, il pugno destro piantato sul tavolo con il gomito in alto e la capoccia possente offerta alla telecamera, e ci diceva che era cominciata la guerra del Golfo (e lo sapevamo con tutto il terrore possibile), e poi ci diceva che quei tracciati verde-grigio meravigliosamente disegnati dalle trasmissioni militari prestate ai media mainstream non ammazzavano gerarchi del partito Baath ma prevalentemente uomini donne e bambini, molti bambini (e non lo sapevamo, perché non lo sapeva nessuno). Era il 17 gennaio 1991, era partita l’operazione Desert Storm, la madre di tutte le battaglie. Il mondo non sarebbe stato più lo stesso.

Quel giornalista si chiamava Lucio Manisco, e aveva già avuto una vita e una carriera larger than life, come si dice. Fu una folgorazione per ogni cuore che battesse a sinistra e contro la guerra, il precursore di un sacco di mobilitazioni successive – anche di decenni – e tenacemente ancorate alla pace. Lucio se n’è andato ieri. Aveva 97 anni, quasi tutti malvissuti perché amava la vita e ne godeva a più non posso, ma il potere e i suoi abusi erano il suo bersaglio prioritario.

Quella del Golfo era la prima grande guerra in diretta: Manisco stava a New York, inviava corrispondenze tutti i giorni invece di una-due alla settimana e il Tg3 delle 20 era una fornace di notizie che nessuno voleva dare, in tutta Italia si formarono gruppi di ascolto, alle 20 sul Tg3 e guai a sgarrare, «anche oggi gli americani hanno sganciato il loro carico di morte sull’Iraq» e via con le immagini delle vittime in carne e ossa prese dallo sterminato archivio di immagini originali che la Rai comprava e non usava mai, con le connessioni satellitari che la Rai pagava fino a notte fonda e non usava mai. Era la Rai3 di Guglielmi, di Curzi e di Manisco appunto.

Lucio ci era arrivato dopo una scelta rocambolesca, perché lui nasce pittore, astrattista nel primo dopoguerra, compagno di liceo di Dorazio, Guerrini, Perilli, insomma gli astrattisti di Forma 1 contro i realisti di Guttusto e del compagno Togliatti (che all’epoca mandava un uomo in via Margutta a comprare quadri che finivano in un sottoscala di Botteghe Oscure), c’è ancora qualche Manisco per le case d’aste.

Poi Londra da Ruggero Orlando, la Bbc – la Bbc! un italiano alla Bbc! – la corrispondenza per il Messaggero prima da Londra e poi da New York, le partite a touch football con Bobby e John Kennedy in un campetto dietro la Casa Bianca, trent’anni di corrispondenze per il Messaggero e una casa sulla 61esima tra Lexington e Park che diventa un porto franco per giramondo internazionali e che chiameranno Hotel Paradiso, interrotte quando il giornale se lo compra la Montedison di Cefis per fare un piacere a Fanfani, e Lucio lo mandarono via con la più alta buonuscita mai pagata fino ad allora.

Qualche anno e ecco la Rai, Sandro Curzi lo butta in tv e poi organizza gite di formazione a New York per tutti i suoi giovani leoni, Sciarelli, Mineo, anche Di Bella che poi andrà al suo posto quando La Malfa junior otterrà finalmente la sua testa dopo infinite proteste americane per il Golfo e per Silvia Baraldini.

E poi Luciana Castellina lo presenta a Armando Cossutta, a cui gli serve giusto un direttore per il nascente quotidiano di Rifondazione Comunista, Liberazione. Lucio lascia New York, torna a Roma, mette in piedi un quotidiano con pochi vecchi marpioni dell’Unità e una manciata di giornalisti cuccioli. Con il suo stile: ferocemente arbitrario, sempre sulle storie promettenti. Quando vede che la Rainbow Warrior II parte per Mururoa rompe le scatole a tutti per settimane e la fa seguire: diventerà una storia mondiale, ma lui lo sapeva già.

Tra quei giornalisti cuccioli (tra i molti sparsi per varie redazioni italiani) c’era chi scrive, e anche chi dirige il giornale che avete in mano. Lucio Manisco ci insegnò a trovare buone storie e a distinguere le ostriche belon dalle fin de claires perché era un bon vivant impenitente, a fare una buona copertina e un perfetto vodka martini molto molto secco, a non fare sconti a nessuno e mai a noi stessi, a metterci in gioco qualsiasi fosse la posta. Due elezioni alla Camera, due al Parlamento europeo, qualche anno di ottimi articoli per il manifesto, ma i danni veri li aveva già fatti.

Ciao Lucio. Verremo a salutarti domani alle 11:30 al Tempietto Egizio del Verano.

ROBERTO ZANINI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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Cronache

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