La rotta della Mikeno che ha oltrepassato il limite delle acque territoriali palestinesi di Gaza. Clicca sull’immagina per ingrandirla
Simbolicamente ma anche praticamente la Global Sumud Flotilla ce l’ha fatta. Ha forzato il blocco israeliano davanti alle acque di Gaza perché una sola delle quarantaquattro imbarcazioni, la Mikeno, è riuscita a sfuggire alla marina militare dello Stato ebraico ed è entrata nello specchio di mare antistante le città martoriate della Striscia. Alle ore 6.23 di giovedì 2 ottobre si trovava ad appena una decina di chilometri dalla costa.
Dopo diciotto anni di ininterrotto blocco navale, il muro è stato infranto, la missione è stata portata a termine almeno sul piano dell’importante messaggio politico, civile e morale che voleva dare ad Israele, al Medio Oriente e all’intero mondo: non si può più consentire impunemente allo Stato ebraico di violare tutte le norme del diritto internazionale e, nel caso di Gaza, di continuare il genocidio del popolo palestinese.
La voce della militare israeliana risuona nella notte mediterranea, nelle acque internazionali: dice che gli attivisti stanno minacciando la sicurezza dello Stato e che quindi, se non torneranno indietro, saranno abbordati e arrestati. La risposta è netta e chiara: a violare il diritto internazionale è la marina militare israeliana che si trova in acque dove tutti possono navigare e nessuno può andare all’arrembaggio di chicchessia millantandone la ragione nel nome della propria sicurezza…
L’abbordaggio avviene con cannonate d’acqua, speronamenti: sono le 20.00 circa, ora italiana e inizia il sequestro degli attivisti della GSF che vengono rapiti, portati sulle navi e condotti in Israele. Di questo si tratta: di rapimento, di sequestro di persona, perché niente e nessuno dà il diritto a Tel Aviv di fermare la Flotilla, appropriarsi delle imbarcazioni e prelevarne gli equipaggi. Tutto avviene senza la minima resistenza: la disobbedienza civile ha fatto scuola da Ghandi in avanti.
Ora, dopo che tutto si è svolto nel buio della notte, in mare aperto, mentre ancora la Mikeno veleggia verso Gaza, la palla passa all’opinione pubblica mondiale. L’Italia si è mobilitata già nei primissimi minuti dopo che le notizie dell’attacco alla Flotilla sono rimbalzate sui social e sulla rete: diecimila persone in corteo a Roma, altre migliaia nelle più grandi città della penisola. Non c’è un capoluogo di provincia in cui non si siano svolti presìdi, sit in di protesta.
C’è un movimento di coscienze che rende evidente come, al di là della difficoltà della fase economica, si percepisca l’importanza di un cambiamento radicale che parta anche dall’internazionalismo, dall’unità tra i popoli e per i popoli. Perché, lo si voglia ammettere o meno, i destini sono globali e quindi comuni. Il comportamento sprezzante di Israele fa il paio con il piano genocidiario in atto: c’è una perfetta orrorifica coerenza in tutto ciò. Ventimila bambini palestinesi ammazzati, oltre sessantacinquemila morti, oltre duecentocinquatamila feriti gravi.
Non basta tutto questo per far indignare i governi occidentali? Sono talmente ossequiosi nei confronti degli scambi commerciali e militari con Israele da non porre alcuna sanzione contro Tel Aviv. Il massimo che riescono a fare è criticarne l’operato, dire che sì, effettivamente si sta eccedendo in quel di Gaza e che forse, ma proprio forse, si tratta di un massacro… Ma la parola “genocidio“, sebbene venga sempre di più utilizzata, proprio per le sproporzioni numeriche tra rappresaglia contro Hamas e pulizia etnica contro il popolo palestinese, proprio non riescono a pronunciarla Meloni e ministri
Il 7 marzo 1936 Hitler decide che è giunto il momento di riprendere pienamente il controllo della Renania, rimilitarizzandola. Il Trattato di Versailles lo vieterebbe, ma lui forza le regole imposte dal primo dopoguerra. Francia e Inghilterra decidono che non è opportuno aprire uno scontro. Protestano ma stanno a guardare cosa succede. Hitler prende nota: senza combattere ha vinto ed evitato una crisi internazionale.
Nel marzo del 1938 il dittatore prepara l’annessione della sua madrepatria, l’Austria, al Terzo Reich. Si muove con circospezione diplomatica da un lato e lascia che il partito nazionalsocialista viennese fomenti un clima di sfiducia nella popolazione per le istituzioni, stabilendo chi sono i nemici degli austriaci e, nell’insieme, del più grande popolo tedesco. Le potenze occidentali protestano, Mussolini è preoccupato per il confine del Brennero, ma poi non vi sono reazioni tali da far fare marcia indietro al cancelliere.
Così tra l’11 e il 13 marzo 1938 le truppe germaniche oltrepassano il confine, marciano sulla capitale degli Asburgo-Lorena. Hitler può vantarsi del fatto che l’Europa sta a guardare le sue mosse. Bofonchia qualcosa ma poi, nel concreto, non fa nulla di pratico per opporsi all’espansionismo del Reich. Così avviene per la crisi del Territorio dei Sudeti: qui si va vicinissimi ad uno scontro ma, alla fine, con la Conferenza di Monaco lo si evita e Chamberlain rientra a Londra, scende dalla scaletta del suo aereo e sventola il compromesso cartaceo. Un successo dice.
Churchill commenta l’azione del suo governo: «Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra». Proverbialmente quello che è accaduto. Hitler tuttavia segna un altro punto: lo hanno ancora lasciato fare. La Cecoslovacchia non esiste più e, ben presto anche Praga farà parte del Reich nel “Protettorato di Boemia e Moravia“.
Nel 1939, a ridosso dell’inizio della Seconda guerra mondiale, è il Territorio di Memel (ex Prussia orientale, al confine con la Lituania) che cade tra le grinfia naziste: le solite proteste internazionali e nessuna mossa nel concreto. Hitler si convince che qualunque cosa farà in futuro, Francia Regno Unito e Stati Uniti staranno a guardare. Qui si sbaglierà, ma la premessa del danno ormai sarà cosa fatta e una delle più grandi tragedie della Storia dell’umanità avrà inizio con sei lunghi anni di lutti in tutto il pianeta.
Questa lunga parentesi storica serve come elemento di paragone con tutte le risoluzioni dell’ONU che Israele ha violato dal 1947 ad oggi. Intendiamoci, anche i paesi arabi che lo circondano non sono stati da meno. Ma da quella data in avanti, lo Stato ebraico non ha fatto altro se non colonizzare, occupare e annettersi territori che non sono i suoi e che, secondo il mandato delle Nazioni Unite dovevano essere lo Stato palestinese che Tel Aviv non ha mai voluto che si creasse. In vero e proprio spregio al diritto internazionale, Israele si muove nella più completa illegalità.
Il punto è: chi può far rispettare una legalità che Netanyahu e criminali affini non voglio riconoscere, di cui si fanno beffe giorno dopo giorno sempre più? La forza del diritto è messa all’angolo da un non diritto alla forza che, tuttavia, è l’unico linguaggio che Israele sembra comprendere. Gli attacchi alle nazioni araba, dal Libano alla Siria, dall’Iran allo Yemen, fino, per ultimo, al Qatar, sono deliberatamente le esecuzioni di ordini politici che stabiliscono che i conti si fanno solo con le armi e che i rapporti diplomatici si tengono soltanto con gli Stati Uniti di Donald Trump.
Esattamente al pari del Terzo Reich, oggi Israele viola tutte le norme del diritto internazionale e non tiene in nessunissima considerazione i diritti umani di un intero popolo che è sulla sua terra e che deve poter vedere riconosciuto la sua facoltà, la sua prerogativa di vivervi con piena indipendenza sotto tutti i punti di vista. È praticamente inutile che ci si indigni per questi paragoni storici a causa dell’Olocausto.
Proprio perché quelle premesse hitleriane, fin dal 1933, inducevano a ritenere che i programmi dell’NSDAP sarebbero stati sistematicamente applicati, oggi è lecito ritenere che, date le conseguenze, le premesse israeliane di oggi siano state una pianificazione dello sterminio indiscriminato a Gaza. Israele non ha mai veramente voluto eliminare Hamas e soltanto Hamas. Ha utilizzato il crimine orrendo del gruppo terrorista in quel 7 ottobre 2023 per avere il presupposto utile a farla finita una volta per tutte con la questione palestinese.
Come si possono altrimenti inquadrare in un contesto di causa ed effetto proporzionati le sproporzioni tra il numero di morti nei kibbutz e tra i giovani che festeggiavano nel deserto con l’orrore di Gaza: millequattrocento morti, con bambini bruciati vivi, donne stuprate e uomini fatti a pezzi dalla follia jihadista del gruppo terrorista con un terrore altrettanto tale e ancora di più diffuso capillarmente nelle città della Striscia rase al suolo. Ripetiamocelo: sono morti ventimila bambini… Un terzo delle vittime totali conosciute.
C’è chi, tra le organizzazioni umanitarie che sono sul campo, giura che, alla fine dell’aggressione israeliana a Gaza, si conteranno numeri tragicamente molto più alti… Una volta Golda Meir, rivolta agli Stati arabi, disse: «Noi vi potremo un giorno perdonare per avere ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto a uccidere i vostri. Una possibilità di pace esisterà quando dimostrerete di amare i vostri figli più di quanto odiate noi». Ecco, oggi, ad oltre mezzo secolo dalla guerra dello Yom Kippur (la ricorrenza ebraica dell'”Espiazione“), non esiste nemmeno questo minimo scrupolo morale postumo.
Netanyahu, e più ancora Smotrich e Ben-Gvir, considerano morale, legale, storicamente dato il fatto di annientare la presenza palestinese in Palestina e dare così seguito alla conversione della stessa in mera regione geografica, più storica che attuale, cancellando qualunque possibilità di creazione dello Stato formato da Cisgiordania e Gaza. I piani per le annessioni sono pronti. Quello di Trump per la pace è una infima barzelletta che, purtroppo, non fa ridere per niente. Hamas deve essere non solo smilitarizzata ma anche bandita dal novero della società e della politica palestinese.
Ma per fare tutto ciò non servono le armi, non servono le aggressioni militari, le pulizie etniche e i genocidi. Israele ha oggi posto tutte le premesse per un futuro fatto di terrorismo interno. Se ingloberà in sé quelle che chiama province di Giudea e Samaria, oltre a Gaza, la sua vita non sarà sicura e non sarà pacifica. Chi ha assistito alla brutalità dello sterminio nella Striscia non potrà dimenticare gli orrori subiti, le famiglie completamente annientate.
Questo dolore farà marcescire i più sinceri e nobili istinti di una vita pacifica, perché il sangue continuerà ad odorare nelle menti dei sopravvissuti e l’ombra dei corpi e delle montagne di cadaveri rimarrà nelle vie con i palazzi ricostruiti, ben oltre il tempo delle macerie. La Flotilla ci ha regalato, col suo sacrificio, un briciolo di speranza. Non facciamo morire anche questo…
MARCO SFERINI
2 ottobre 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria








