Un popolo da unire nelle lotte, da rappresentare nei “palazzi”

L’entusiasmo palpabile si percepisce. Dopo tanti anni di sconfitte, di declino e di diaspora, è comprensibile che si plauda ad una esperienza che, con espressioni anche un poco troppo...

L’entusiasmo palpabile si percepisce. Dopo tanti anni di sconfitte, di declino e di diaspora, è comprensibile che si plauda ad una esperienza che, con espressioni anche un poco troppo gettonate e inflazionate, si dice “nasce dal basso” per ridare “potere al popolo”.
Il nome del progetto è questo: un progetto che si è autocelebrato con molti cori da stadio, con molte ovazioni agli oratori e con battimani continui che vogliono essere un antidoto rigenerante rispetto ad un oscuramento mediatico che non consente di far sentire la rabbia, l’orgoglio e la passione che ancora si può mettere nel fare politica senza ricercare necessariamente nell’orizzonte governista il punto di arrivo o il maggiore intento di formazione di una lista elettorale.
Ma, da quel che si evince, “Potere al Popolo!” non vuole giustamente essere soltanto questo, vuole andare oltre quel “nuovismo” che giustamente Giorgio Cremaschi ha voluto invitare ad archiviare, a non prendere in considerazione, sostituendolo con una “diversità” politica che faccia riferimento ad una presa di coscienza sociale in merito.
Una rinascita popolare dopo che, come ha sempre bene osservato il sindacalista, per decenni è stato insegnato al popolo ad odiare sé stesso. La lotta degli sfruttati contro altri sfruttati: poveri contro poveri.
Su questo si regge oggi quell’odio che non è di classe ma che è della classe contro la classe stessa. Un punto non secondario nel qualificare la differenza e la diversità di una nuova formazione politica che deve però avere la consapevolezza di essere o voler divenire tale.
Un progetto politico che vuole rappresentare una parte del popolo (e che si richiama al popolo connettendolo con il concetto di “potere” che diventa, quindi, espressione prima del concetto di “democrazia” vera e pura) e che, per farlo, deve creare una simbiosi tra esperienze sociali come i comitati locali, di lotta contro le grandi opere e la trasformazione inevitabile nella forma politica che è mediazione necessaria tra rappresentati e rappresentanti.
In alcuni interventi ho ascoltato frasi come: “Noi non vogliamo entrare nei palazzi ma vogliamo assediare i palazzi”; “Noi non vogliamo le poltrone ma vogliamo fare la rivoluzione”.
E’ evidente che convivono in “Potere al Popolo!” culture differenti, quindi una composizione plurale di esperienze che devono poter convivere e che devono poter trovare una sintesi pur mantenendo più livelli di rappresentanza e lotta sotto lo stesso tetto, dentro lo stesso progetto, verso un unico obiettivo: ricostruire una coscienza di classe vasta, una consapevolezza che la necessità del cambiamento la si attua se si comprende che il Parlamento è un mezzo necessario e che non lo si può snobbare pensando che sia trascurabile esservi.
Allo stesso modo è nocivo l’altro estremo: ritenere che si sia utili alla democrazia, alla grande massa degli sfruttati e dei deboli puntando soltanto alla rappresentanza istituzionale.
In Potere al popolo ci saranno ovviamente culture e approcci differenti alla politica e alla stessa rappresentanza. E vorrei sentirmi più a mio agio in “Potere al Popolo!” sapendo che una cultura costituzionale sarà alla base di questo percorso: ridare un senso alla parola “repubblica”, alla sua formazione laica che deve essere sostanza nell’escludere chi vuole utilizzarla per fini privati, per legare sempre più il governo al ruolo di sergente maggiore del capitalismo, dei grandi processi finanziari e merceologici.
Ma per essere tutto ciò, bisogna praticare ogni giorno anche il rapporto tra istituzioni e popolo. Quando sento dire che “non importa se si prende uno 0.5”, che “non contano le cifre elettorali”, allora penso che qui vi sia grande miopia politica e una sopravvalutazione di un sociale che non esiste e che va costruito però coniugando rappresentati e rappresentanti. Quindi la delega non può essere vista come una attività di serie B.
Rifondazione Comunista deve essere al servizio di questo progetto ma deve conservare il suo profilo culturale, ideale e politico perché da ciò deriva il vero contributo fattuale per arricchire, con la propria specificità, con una eredità ultraventennale di successi ed errori, un diverso modo di intendere oggi l’alternativa di società che “Potere al Popolo!” si appresta a rappresentare.
Nelle lotte e nel governo: dobbiamo essere presenti in questi ambiti a tutti i livelli; dobbiamo tornare a rappresentare nelle istituzioni un largo consenso di massa critica che oggi non esiste e che è disperso tra le destre, tra risposte troppo facili e superficiali a problematiche sociali complesse.
Il mondo del lavoro, della disoccupazione, della precarietà deve avere difensori nelle piazze, nei quartieri ogni giorno ma deve riportare i suoi rappresentanti in Parlamento, nei Consigli regionali, nei Consigli comunali. Ovunque, per rimettere al centro le contraddizioni giornaliere di un sistema che si accanisce contro i lavoratori negando la rappresentanza sindacale, parcellizzando, costringendoli a sposare l’idea che gli straordinari festivi sono un valore piuttosto che una ennesima forma di utilizzo della forza-lavoro spinta a ciò dalla disperazione della sopravvivenza.
I moderni proletari hanno diritto ad avere chi lotta per mutare i rapporti di forza oggi e preparare il più ampio cambiamento di domani.
E ora, andiamo a ricominciare…

MARCO SFERINI

17 dicembre 2017

foto di Roberto Musacchio

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