Un anno dopo la battaglia continua

Corre domani un anno dal voto che il 4 dicembre 2016 cambiò il corso della politica, e forse della storia, dell’Italia, respingendo l’attacco alla Costituzione. Davide abbatté Golia, spazzando...

Corre domani un anno dal voto che il 4 dicembre 2016 cambiò il corso della politica, e forse della storia, dell’Italia, respingendo l’attacco alla Costituzione. Davide abbatté Golia, spazzando via qualsiasi ambiguità e incertezza: 60% no, 40% sì. Eppure, all’inizio la battaglia sembrava disperata.

Da una parte la scommessa dichiaratamente epocale del maggiore partito di governo ed in particolare del segretario e del suo cerchio magico, con una enorme potenza di fuoco: gli strumenti a disposizione di chi governa, milioni di fondi pubblici dal partito e dai gruppi parlamentari, la compiacenza più o meno disinteressata di commentatori, intellettuali e molti costituzionalisti, l’appoggio dei maggiori giornali, il sostegno dichiarato dei poteri economici e finanziari, l’accesso quasi illimitato al palcoscenico televisivo.

Dall’altra un assemblaggio di gruppi, associazioni, orfani della politica, singole persone di varia provenienza e convinzione, con alla testa una pattuglia di quelli che Renzi etichettò come «gufi» e «professoroni» per esporli al pubblico ludibrio. Nobile e grande animale, il gufo. Il boy scout di Rignano avrebbe dovuto saperlo, e intuirne le potenzialità.

L’assemblaggio resistette all’assalto su una base puramente volontaria, con i soli contributi privati e quelli raccolti in rete, con un accesso alla stampa ristretto a pochissime lodevoli eccezioni, e un ingresso parimenti limitato nelle televisioni pubbliche e private. Un assemblaggio che parlò al paese essenzialmente sui social networks, dai gazebo, in mille assemblee, incontri, dibattiti. Tanti vissero per settimane sui treni e nelle stazioni per raggiungere anche i più lontani borghi del paese. Mentre nessuno ha mai visto lo stuolo di gazebo e comitati dai quali sarebbe ad avviso di Renzi venuta l’ondata irresistibile dei sì.

Perché Davide vinse? La risposta è semplice: perché, nel difendere la Costituzione, era nel giusto. Sappiamo bene che il voto fu anche contro il governo e Renzi. Ma ritroviamo una oggettività del voto se torniamo al senso profondo della Costituzione del 1948.

Nel nascere, quella Costituzione esprimeva lo slancio per un futuro diverso e una modernità fatta di eguaglianza, diritti, dignità della persona. Ma anche oggi abbiamo un’Italia fatta di diseguaglianze crescenti, di troppi poveri, di gravi divaricazioni territoriali, di una mobilità sociale asfittica o inesistente, di clientele e familismo, di diritti negati e privilegi. Statistiche e analisi lo dicono senza appello. Un’Italia non lontana per molti versi, e che anzi si è riavvicinata, a quella in cui – e per cui – fu scritta la Costituzione. I recenti rigurgiti di razzismo e neofascismo sono un segnale di pericolo che non si deve in alcun modo sottovalutare. Ancora oggi, la modernità vera è nella Costituzione e la parola magica è attuazione.

Il paradosso del voto del 4 dicembre è che il sì esprimeva la continuità, e il no esprimeva il cambiamento. Il sì – da leggere sempre insieme all’Italicum allora vigente – recava il segno di un potere autoreferenziale e tendente alla riduzione degli spazi di democrazia, in piena continuità con il passato recente ed anzi volto al suo definitivo consolidamento. Il no esprimeva l’esigenza di ricostruire un tessuto forte di partecipazione, eguaglianza, diritti. Quelli che si dichiaravano innovatori erano i veri passatisti.

Al voto del 4 dicembre è seguito il tentativo di ridurlo a mero incidente di percorso. Abbiamo assistito allo scippo del referendum sui voucher. Nonostante una seconda sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale (35/2017), sono state continue le prove tecniche per sterilizzare gli esiti delle pronunce, sfociate infine nella legge 165/2017 che in Parlamento ha visto rinnovarsi forzature gravi e molteplici. E Renzi ha continuato a sbagliare.
Il solipsismo del potere è male grave, per taluni incurabile. Ma in fondo, dobbiamo ringraziare Renzi. Ci ha fatto scoprire che esiste ancora chi si batte per mantenere viva la speranza degli altri piuttosto che per il proprio utile e tornaconto. Che esiste un’Italia che ha capito cos’è davvero oggi la modernità.

Ma proprio per questo non possiamo chiudere in archivio il voto del 4 dicembre 2016. Nei mesi difficili che verranno ci troveremo nello stesso campo di battaglia. Quale che sia la collocazione politica e le convinzioni di ciascuno, dobbiamo allora sapere che non è una celebrazione, o un ricordo. È un impegno che continua.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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