Torniamo ad essere diversi da tutti gli altri

Leggo oggi su il manifesto e anche sul sito Internet appena aperto www.sinistralavoro.it l’appello della nuova associazione che si propone di essere una rete e un collante per la...

Leggo oggi su il manifesto e anche sul sito Internet appena aperto www.sinistralavoro.it l’appello della nuova associazione che si propone di essere una rete e un collante per la sinistra italiana.
Mi rivolgo direttamente alle compagne e ai compagni che l’hanno promosso. Senza leggere tra le righe e pur ben sapendo come intendono una certa unità della sinistra alcune componenti che hanno aderito singolarmente e pluralmente all’appello, scorgo non una presa di coscienza politica che determini un defi
nitivo autonomismo dei comunisti rispetto al PD e a ciò che rappresenta, ma sempre ponti lanciati a chi decide di rimanere nel PD e sfrutta il suo finto ribellismo in piazza Santi Apostoli e poi alla Camera esce al momento del voto sul Job act.
Vedo troppe persone soffrire per le politiche ambigue di questi personaggi e non me la sento più di cercare il “meno peggio” per fare fronte contro chi è apertamente liberista tanto quanto le destre.
In questi anni, in questi ultimi mesi le compagne e i compagni di diverse ispirazioni culturali hanno provato a dare vita a numerosi punti di incontro per ragionare sul futuro delle forze progressiste in Italia.
E’ effettivamente curioso che solo in questo paese d’Europa non si riesca a trovare un percorso comune pur nella differenza di punti di vista, di strategie e tattiche per arrivare ciascuno al proprio obiettivo massimo, all’orizzonte ultimo ma, nel frattempo, fare unità su una serie di punti ben distinti e chiari. Un processo di sviluppo dell’alternativa di sinistra che non riesce a farsi avanti proprio per le esitazioni di una sinistra che resta altalenante tra il dialogo con l’innoqua sinistra interna del PD e progetti come la Lista Tsipras che avevano mostrato una resipiscenza di chi era riuscito a far cambiare linea al proprio gruppo dirigente che era, probabilmente del tutto naturalmente, diretto ad abbracciare il Partito Socialista Europeo di Martin Schultz.
E’ accaduto per la Federazione della Sinistra, quando i Comunisti Italiani si sono lasciati attrarre dalla tentazione di partecipare alle primarie bersaniane e hanno così decretato la fine di quell’esperienza. E’ accaduto con la Lista Tsipras più recentemente quando Sel ha dichiarato praticamente terminato il suo camminare insieme agli “altristi”: troppi strateghi, poco esercito? Le analisi si sprecano, ma sicuramente non esisteva nemmeno un minimo comun denominatore così sentito da Nichi Vendola che, appena terminato il periodo elettorale, ha deciso che Sel era stata trattata ingiustamente da Barbara Spinelli (il che può anche avere un fondamento di verità) e ha stabilito che era meglio guardare non più verso il Gue e Tsipras ma verso il Pse e Civati.
Quel Pippo Civati che ogni giorno si profonde in scritture di anatemi contro Matteo Renzi e che poi non fa conseguire a tutto ciò una presa di posizione fattiva che potrebbe essere l’innesco di un processo nuovo, magari anche entusiasmante ma che necessita della rottura con quell’anomalia tutta italiana che si proclama di sinistra e che mette in pratica politiche economiche e antisociali apertamente di destra, liberiste all’ennesima potenza.
Sembra quasi che, nella ricerca della costruzione di un soggetto della sinistra italiana, i comunisti siano degli estranei, come se nel corso del Novecento e anche in questo primo quindicennio del nuovo millennio non avessero avuto un ruolo nella politica e nella società.
Ferri vecchi del passato, trattati come “settari”, “identitari” e “alzatori di steccati”. Fraseologie puerili, scontate e banali, degne di uno schematista risolutore di enigmi piuttosto che di un politico di sinistra. Ma tant’è ci si diverte ad innalzare contrapposizioni che potrebbero essere smussate e tornare ad essere semplici e mere diversificazioni sul piano della strategia invece che aree e settori dove il comunista scruta guardingo l’altro comunista che gli sta davanti.
Come ai tempi della scissione di Rifondazione Comunista, nel momento stesso in cui dal PCI nacque il PDS, si ripetono le categorie dei “modernisti” che guarderebbero a Vendola e a Civati per dare vita al “soggetto nuovo” e superare quindi anche Rifondazione stessa, e ai “conservatori”, ai comunisti che oggi non possono essere tacciati come un tempo di essere filo-sovietisti, perché tutti gli ex amici di Cossutta e del sovietismo dai “capelli grigi” stanno paradossalmente dalla parte della narrativa nuova, moderna sinistra di Vendola e di Civati.
Stranezze dell’attualità di un passato che non passa: gli evocatori della sinistra nuova sono coloro che provengono dalla cultura più filo-stalinista d’un tempo. Redenzioni o trasformazioni che siano, fanno parte e sono figlie della confusione che regna nell’agorà della politica dello Stivale e che non riesce a semplificarsi.
Se la sinistra comunista, la sinistra in senso anche lato vuole ritornare ad essere sinistra vera deve distinguersi da tutti gli altri soggetti politici come accadeva un tempo e dimostrare nei fatti che è ALTRO dal PD e dalle destre liberiste, fasciste e xenofobe.
Non possiamo più pensare di ridare fiato alla sinistra continuando a dialogare col PD o con pezzi di presunta “sinistra del PD”.
Vivere nell’ambiguità è esattamente l’opposto di un giusto percorso di riacquisizione di una identità precisa, distinta e netta.
I comunisti hanno il dovere di essere i primi a dare l’esempio in questo senso e devono essere ancora una volta “la parte progressiva che più spinge per avanzare”.

MARCO SFERINI

redazionale

foto tratta da Pixabay

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