Syriza, l’Europa e la sinistra italiana del “fare”

Leggo molti commenti sulle elezioni che si svolgono oggi in Grecia. Leggo commenti interessati alla figura singola di Alexis Tsipras, altri che inseriscono il giovane leader della sinistra radicale...

Leggo molti commenti sulle elezioni che si svolgono oggi in Grecia. Leggo commenti interessati alla figura singola di Alexis Tsipras, altri che inseriscono il giovane leader della sinistra radicale nel contesto ampio di Syriza, altri che detraggono tutto questo quasi snobbandolo: in fondo, dicono, che potrà mai fare di così diverso dagli altri? Potrà migliorare le condizioni di vita del popolo greco. E poi?
Non credo ci si possa attendere da un voto parlamentare una rivoluzione sociale globale. Se non altro perché si svolge nella sola cara vecchia Grecia e non ha questo valore globale nel senso di estensione di “potere” decisionale.
Ma se la Grecia, conquistata dalla sinistra di alternativa, anticapitalista di Tsipras e di Syriza, provasse a domare il fiero vincitore? Se provasse quanto meno a sfidarlo? Se provasse a migliorare, su questa via, le condizioni di vita del popolo greco, secondo voi sarebbe davvero così poco?
Da quanto tempo i padroni e i grandi gruppi internazionali che governano le economie non mostravano un minimo, miserrimo timore per l’avanzata di una forza progressista che vuole limitarne – come giusto – le sfere di influenza e gli ambiti di azione speculativa?
Era da così tanto tempo che questo non accadeva (almeno non Europa…) che in questi giorni ho ripreso a fatica il passo mentale nell’adeguarmi all’idea di un possibile governo esclusivamente di Syriza in Grecia.
Se questo sarà possibile, lo sapremo certamente nei prossimi giorni: ma il dato importante è l’allarme che è stato suonato dalle stanze della Banca Centrale Europea, dove Mario Draghi ha dichiarato l’acquisto di 60 miliardi di titoli esteri al mese. Un investimento che la BCE intende fare fino a fine 2016, a patto che il deficit non sfori il 2%.
Le banche si sono infiammate di gioia e questo ha permesso di attutire il possibile contraccolpo della pronosticata vittoria di Syriza.
Aver costretto l’Europa dei banchieri a correre ai ripari è già una vittoria dopo decenni di sconfitte senza neanche aver giocato la partita.
Avere ora la possibilità di conquistare il governo della Grecia, in nome e per conto di un popolo che si è progressivamente ridotto alla fame, è un’altra sfida che la sinistra di Tsipras può mettere nel carnet dei giri di valzer che potrà far fare a Bruxelles.
La più volte espressa volontà di disconoscere quel debito e quei patti, di adottare una linea di rinegoziazione dei termini con cui erano stati siglati e quindi la messa in discussione della loro legittimità in nome del benessere dei più deboli della società ellenica, fino a che rimane il programma di una forza politica può anche essere la “voce che grida nel deserto”, ma quando dovesse diventare elemento costitutivo del prossimo governo di Atene, l’Europa di Draghi e della Merkel (e di Napolitano, Monti, Letta e Renzi) avrebbe in quel momento un problema.
La compiacenza universale dei governi dei vari stati membri sarebbe rotta, incrinata dalla presenza di un semplice, chiaro “NO”.
E’ evidente che siamo davanti ad una politica di riforme. Ma, davanti alle obiezioni dei perfetti rivoluzionari che biasimano Syriza per non essere così vocatamente sovversiva contro tutto e tutti, mi sento di poter affermare che questa sinistra “moderata” è stata capace in Grecia di unire un popolo su una piattaforma democratica e apertamente alternativa non solo alla politica di austerità dei banchieri e della locomotiva tedesca, ma all’impianto stesso dell’Unione Europea fondata sempre e solo sulle convergenze profittuali ed economiche in ogni senso, in ogni direzione.
Syriza non è la panacea di tutti i mali, ma è oggi una forza anticapitalista che ha al suo interno anche i comunisti e che può rilanciare un’azione di cambiamento non soltanto per i greci ma per molti altri popoli d’Europa.
La sinistra italiana deve imparare da quella greca? Sicuramente deve fare tesoro dell’esperienza che stiamo vivendo e ragionare sulle forme e sui metodi per sconfiggere anche in Italia i populismi di destra e di sinistra e far progredire una nuova stagione della solidarietà sociale, dell’impegno collettivo in politica e in ogni settore della vita comune.
Dobbiamo ripartire dal lavoro e dallo stato sociale. Dobbiamo recuperare la coscienza critica di un tempo o, forse, dobbiamo reinventarla e rinnovarla, adeguandola ai tempi, ma senza cedere alla tentazione delle compromissioni con forze come il Partito Democratico che sono forze strutturalmente “di sistema”, del “sistema” austero delle signore Merkel e dei signori Draghi.
Le discussioni che abbiamo prolungato e sprecato in tanti mesi e anni hanno parlato delle forme piuttosto che dei contenuti: abbiamo parlato di scatole vuote, di contenitori privi di coperchio dove entrava qualunque cosa e ne usciva a piacere ognuno che era entrato.
Ora serve valutare l’impatto del fenomeno greco e capitalizzarne l’impatto internazionale per quanto saprà essere tale sia sul fronte europeo sia su quello italiano.
Non è più tempo di lunghe discussioni, ma è tempo di sintesi e quindi è tempo di azione. Dobbiamo metterci al lavoro sapendo che dobbiamo mantenere ciascuno la propria autonoma identità e condividere un programma elementare, semplicissimo su cui richiamare proprio la rinascita di quella coscienza critica che oggi è la grande assente nella vita politica e sociale dello Stivale.
Buon voto al popolo greco, buon lavoro a tutte e tutti noi…

MARCO SFERINI

redazionale

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