Rifondazione e il passo e mezzo avanti

Il documento approvato dal Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista sui rapporti tra il Partito e il “movimento Potere al popolo” è il frutto di una discussione anche aspra...

Il documento approvato dal Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista sui rapporti tra il Partito e il “movimento Potere al popolo” è il frutto di una discussione anche aspra che in questi mesi si è svolta più o meno formalmente nelle strutture di ogni livello del PRC.
Sostanzialmente, Rifondazione Comunista assume nuovamente la linea politica uscita dall’ultimo congresso, quella della costruzione del cosiddetto “quarto polo” della sinistra di alternativa e dedica alla parentesi di “Potere al popolo” un ruolo di edificazione di uno “spazio politico” di nuove generazioni che vanno valorizzate.
Dunque, torna ad essere centrale nel ruolo del PRC il dialogo con le forze sociali e politiche che invece era escluso dall’ipotesi di un impegno a tutto tondo dentro “Potere al popolo”.
E’ una buona notizia perché fa uscire Rifondazione Comunista da una logica minoritaria, esclusivista e profondamente settaria come non se ne era mai vista traccia dalla ormai lontana fondazione del Partito nel 1991 quando, proprio per evitare che i comunisti fossero relegati nell’angolo della storia e della politica italiana, si decise di dare vita ad un nuovo soggetto che riunisse tutti coloro che rischiavano una dispersione a sinistra: in quella sinistra che venne poi impropriamente definita “radicale” e che era e voleva continuare ad essere molto semplicemente una sinistra vera, anticapitalista, senza se e senza ma.
Ma allora il confronto stabilito dalle contingenze era impostato sul dualismo “socialdemocratici” del PDS e comunisti di Rifondazione. Nella costruzione del cartello elettorale dei “Progressisti” il peso maggiore erano appunto i due partito usciti dalla liquidazione del PCI.
Ventisette anni dopo tutto è mutato, nulla è più come prima: schieramenti politici, istituzioni, partiti, forze sociali. Di tutto ciò bisogna tenere conto se non altro marxianamente, per quei “rapporti di forza” che devono essere una sorta di bussola dell’agire dei comunisti in ogni contesto che si venga a creare.
Giusta la breve analisi che Rifondazione fa della attuale fase: dal governo di destra che spinge il Paese verso una deriva autoritaria quasi sull’onda dell’inconsapevole illusione di vivere ancora in una democrazia dove a decidere è il tanto citato “popolo”, fino alla ristrutturazione di un fronte di sovranisti europei che si presenterà alle elezioni forte dei consensi che ottiene, sotto le spoglie delle diverse aggregazioni neofasciste presenti nei paesi dell’Unione.
Giusta la prospettiva che Rifondazione si da e che vuole contribuire a costruire: non solo una lista dai tratti elettorali ma, ispirandosi ai princìpi del Partito della Sinistra Europea, la promozione di un ampio raggio di forze anticapitaliste e sociali che fronteggino destre sovraniste e destre economiche “macroniste“.
Molto precisa questa definizione anche per quanto riguarda l’attuale situazione nazionale italiana: l’opposizione al governo Conte – Salvini – Di Maio la fanno due partito (Forza Italia e PD) sull’onda di una critica liberista che invoca la difesa delle precedenti leggi che hanno falcidiato i settori sociali più importanti: lavoro, pensioni, sanità, scuola.
Dunque c’è bisogno di una opposizione sociale, di sinistra, che raduni le differenti culture presenti nell’elaborazione di una critica al sistema sia economico sia politico in cui ci troviamo a sopravvivere (tanto come esseri umani quanto come persone che fanno politica), che le metta in contatto e che sviluppi un minimo comune denominatore dal quale venga fuori una proposta di alternativa questa volta non raccogliticcia o fatta per avere qualche posto in Parlamento, ma per aprire un varco nella complessa e totalizzante visione antisociale che le destre (di ogni tipo) hanno in questi anni costruito e che è diventata un muro apparentemente invalicabile, lungo, infinito, da dove non si trova – per l’appunto – una uscita.
Una uscita da sinistra è possibile da realizzare ma per determinarla occorre eliminare prima di tutto all’interno del PRC ogni ambiguità sui rapporti con “Potere al popolo”. E qui il documento licenziato dal Comitato politico nazionale rimane incerto, ambiguo: fa un passo e mezzo avanti e gli manca mezzo passo per chiarire definitivamente un legame che non può essere tale se Rifondazione Comunista vuole davvero essere “rilanciata”, come scrivono le compagne e i compagni redattori del testo.
Per rilanciare il PRC dentro il contesto di un costituendo “quarto polo” della sinistra di alternativa occorre che il profilo anche minimo del Partito sia chiaro e che chiara sia la sua “sovranità” in tema di autonomia come soggetto politico.
E’ per questo che l’invito fatto a tutto il Partito di impegnare le proprie strutture nello sviluppo di “Potere al popolo, nell’aderirvi individualmente, è in tutta evidenza una incapacità a definirsi altro da PaP: è provare a pacificare le criticità interne e gli “attriti” che sono semplice dialettica e confronto di posizioni differenti.
Se esistono attriti, vuol dire che una parte del PRC non è convinta della scelta che era stata fatta: bene che si rimetta al centro dell’agire del Partito il dialogo con le altre forze della sinistra e quindi l’orizzonte del “quarto polo” abbandonata prima, durante e dopo il voto per inseguire il programma mutualistico di PaP, ma ciò non è sufficiente a far comprendere a tutte e tutti noi cosa siamo: siamo Rifondazione Comunista o anche “Potere al popolo”? Lo siamo singolarmente perché possiamo singolarmente aderirvi o lo siamo anche come strutture di Partito, come circoli, come federazioni?
Si afferma che PaP non è un partito, che è un movimento “politico-sociale di alternativa dentro al quale convivono posizioni e culture diverse impegnate nella costruzione di uno spazio e un soggetto unitario”.
Ne deduco che PaP lavora per la costruzione del “quarto polo”, anche se, sinceramente, non me ne ero mai accorto…
Ne deduco che PaP promuove adesioni senza volersi dare una struttura organizzativa, ma rimanendo un “luogo aperto” dove tutti possono confrontarsi.
Perché delle due l’una: o “Potere al popolo” è solo un punto di incontro di tutte queste realtà e non ha un peso specifico politico, ad esempio, sul piano elettorale (del resto capi politici e gestori della comunicazione di PaP hanno sempre dato ad intendere di considerare le elezioni come un mero accidente di passaggio…) oppure la sua presenza nel “quarto polo” deve intendersi come presenza strutturata, con una identità precisa sul piano politico ed organizzativo.
In questo secondo caso rimane per me un mistero come una compagna o un compagno di Rifondazione Comunista possano accogliere in sé due militanze, due percorsi, due visioni magari parzialmente differenti – ma comunque differenti se non altro tatticamente – della lotta politica e sociale quotidiana.
Rimane un mistero (si fa per dire) l’adesione: aderire ad un soggetto politico che è un “movimento” vuol dire non aderire ad un “partito”? Anche la Lega si definisce “movimento”, così pure i Cinquestelle. Eppure sono forze politiche molto ben strutturate.
Non è il nome che definisce una forza politica ma la sua progettualità, ciò che intende essere al di là delle etichette. Si può essere un partito definendosi “movimento” e si può essere movimento definendosi “partito”.
Il caro vecchio Einstein ce l’ha insegnato: tutto è molto, ma molto relativo e assecondabile ai voleri umani.
Per questo, il documento del Comitato politico nazionale è un passo e mezzo avanti rispetto ad un viatico di isolazionismo in cui stavano per entrare volontariamente e che ha più che giustamente scatenato quegli “attriti” che sono stati la protesta necessaria per rimettere Rifondazione su un binario che la facesse ripensare come partito autonomo, collaborativo e non proiettato solamente verso l’esperienza, pur interessante, di “Potere al popolo”.
Qualcosa dunque s’è mosso. Non è sufficiente, ma siamo sulla strada di un ritorno al binomio “autonomia e unità”, soprattutto in una fase in cui l’unità deve essere intesa come elemento ri-costituente (il doppio, triplo senso è voluto), come ripensamento dei punti di contatto tra le piccole, atomizzate forze della sinistra: tutte quante. Socialiste di sinistra, ecologiste, libertarie, comuniste. Tutte devono creare un “manifesto di salvezza democratica e sociale” per rimettere l’opzione dell’alternativa alle destre e ai finti esperimenti di una sinistra che sarebbe solo la riedizione del liberismo renziano e post-renziano, come centro e fulcro dello sviluppo di nuove politiche sociali.
Molto manca alla sinistra per riattivare una attenzione popolare che non sia solo mera percezione di una inutilità manifesta nell’oggi. Manca una dirigenza che si costruisca come nuova, che proponga una visione di sé stessa attraverso una guida che unisca capacità politiche ed esperienze sia amministrative sia sociali.
Manca tutto un popolo. Manca quel popolo che alcuni pensano di invocare e di avere con sé e che, invece, non capisce, si allontana perché quel minimo che richiede gli viene negato: il dialogo, l’interazione, la possibilità di creare una formazione unita che non ripeta gli errori anche del recente passato, ma soprattutto quelli dei lustri scorsi.
Tanto vanno ostacolate le destre nel processo di cannibalismo della democrazia quanto va ostacolato chi pensa di riproporre il centrosinistra come argine a queste stesse destre: da destra economica di opposizione non può venir fuori che un rafforzamento della vera destra politica di governo.
Dunque, Rifondazione prosegua per questa via, sciogliendo però le ambiguità che permangono. Forse saremo ancora in grado di avere un partito comunista dentro ad una futura alleanza di sinistra per un nuovo contatto con quel popolo che ci ha voltato le spalle e che continua a non sentire le nostre proposte di giustizia sociale, alle quali preferisce le risposte crudeli e inumane dei moderni sovranisti.

MARCO SFERINI

18 luglio 2018

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