Rifondazione Comunista, un caso da studiare

Esistono, purtroppo, nella storia degli individui e dei popoli dei momenti in cui accadono fatti talmente tragici da risultare insopportabili, al punto da determinare in chi ne è vittima...

Esistono, purtroppo, nella storia degli individui e dei popoli dei momenti in cui accadono fatti talmente tragici da risultare insopportabili, al punto da determinare in chi ne è vittima e/o carnefice un processo di rimozione come estrema autodifesa della mente, una negazione vista come unica possibilità di continuare a vivere, un “far finta di niente” come unico mezzo per non perdere tutto. Tali fatti determinano, rispettivamente, le sindromi da stress posttraumatico e i revisionismi storici: ci si può dimenticare di un lutto, così come si può riscrivere la storia per chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità di un popolo ,di un Paese, di un governo, come mostrano i molti negazionismi (dal nazifascismo ai crimini coloniali, sino al recente negazionismo sulla questione ecologica) su cui si fonda la narrazione dominante del cosiddetto “Occidente democratico”.

Orbene, sino ad ora, a quanto mi risulta, non si era però ancora visto un partito politico italiano affrontare il presente in tal modo prima di quello che si disvela come un vero e proprio caso di studio: il Partito della Rifondazione comunista.

Come è noto, tale partito è nato nel 1991 già come tentativo di “rielaborazione del lutto”, entro un ambizioso programma di revisione critica del comunismo novecentesco non finalizzata ad una sua liquidazione, bensì, come dice il nome stesso del partito, ad una sua rifondazione, termine di una rara forza evocativa. Rifondare è più che fondare: chi fonda lavora sul deserto, traccia nuovi solchi e dunque è libero di sbagliare senza che nessuno gliene renda conto, mentre chi rifonda lavora sulle macerie, e spesso, così facendo, diviene responsabile delle macerie stesse, ne diviene voce, respiro, pensiero; se ne fa carico fisicamente e psicologicamente e su di esse si trova a restaurare, ricucire, ricostruire, sedendo come un nano sulle spalle dei giganti, per dirla come i filosofi medievali.

In questo senso, dunque, il Partito della Rifondazione comunista nasce già con un fardello immenso, di cui si dichiara pienamente conscio e responsabile, tant’è che nei suoi primi dieci anni di vita esso diviene una vera e propria fucina di inchiesta, ricerca, lotta e analisi politica di rara profondità, trovandosi, come disse un suo dirigente, ad “attraversare il deserto” e scommettendo pascalianamente su un’alleanza con i movimenti altermondialisti che allora muovevano i loro primi passi.

Una fatica di Sisifo, dunque, che richiedeva sforzi, per l’appunto, sovrumani in chiunque ritenesse giusto intraprendere quel cammino. Eppur si muoveva; eppure quel partito, nonostante le difficoltà di cui sopra, era presente sui media (che allora erano sostanzialmente solo la radio e la TV), nelle lotte sociali ( che allora erano ancora parzialmente vive), nel mondo giovanile ( che allora non era ancora stato ingabbiato dalle reti sociali), nei quartieri ( che, come i giovani, non erano ancora totalmente in mano al mondo virtuale).

Ad un certo punto, fra il 1996 ed il 1998 e poi fra il 2006 e il 2008, sotto la segreteria di Fausto Bertinotti, rara figura di politico- intellettuale proveniente dal mondo sindacale, uomo in grado di avere tanto delle grandi intuizioni quanto delle enormi sbandate, grande affabulatore, seppur non tribuno, dotato di un certo carisma, il partito entrò anche a far parte delle maggioranze di governo di centrosinistra, rispetto alle quali, forse in connessione proprio con i pregi e i difetti di Fausto Bertinotti, oscillò sempre fra il radicalismo e la subalternità, così da non riuscire ad incidere nella carne viva di una società che iniziava ad essere smembrata dai processi di ristrutturazione capitalistica i quali, pur in moto dagli anni Ottanta, vivevano alla fine del Novecento ed agli inizi del nuovo secolo un’accelerazione senza pari, in contemporanea col mutare dei processi produttivi e con l’avvenuta informatizzazione dell’intera vita.

Non è un caso il fatto che il primo Governo Prodi fosse fatto cadere da una Rifondazione Comunista decisa e combattiva, mentre il secondo vide la sua fine grazie alla nascita del partito democratico ( altro caso di studio in quanto forma di populismo neocentrista postideologico) ed alla sostanziale cacciata di una Rifondazione che aveva giurato fedeltà al governo in maniera quasi imbarazzante.

Quando, dunque, nel 2008 cade il secondo Governo Prodi, l’Italia è un Paese già da un anno caduto nella rete della crisi economica globale, nel quale il debito pubblico diviene un cappio sempre più stretto e le politiche di privatizzazione e dismissione ideologicamente portate avanti all’unisono dalle destre e dal centrosinistra determinano un impoverimento della struttura produttiva e dell’intera società.

Le elezioni che seguono alla caduta del Governo Prodi, le quali vedono la nascita del blocco elettoralistico della “Sinistra arcobaleno”, che raccoglieva tutti i partiti e i movimenti parlamentari a sinistra del Pd, determinano un fatto inedito nella storia politica italiana dal Dopoguerra in poi: per la prima volta, la sinistra comunista e socialista viene esclusa dal Parlamento, a sancire non solo simbolicamente il divorzio fra partecipazione politica e classi subalterne già programmaticamente enunciato da Walter Veltroni, capo del Partito Democratico, in un famoso discorso tenuto al Lingotto di Torino pochi mesi prima, allorché dichiarava che alla base del nuovo partito stava l’idea dell’equidistanza fra capitale e lavoro, ossia la sostanziale sussunzione delle ragioni del primo contro quelle dell’altro, essendo la storia umana, purtroppo, fatta di rapporti di forza.

A questo punto, succede un altro fatto inedito e grave, mai sufficientemente indagato: oltre ad essere esclusa dal Parlamento, Rifondazione Comunista, il principale partito della sinistra italiana per numero di iscritti, sezioni e voti, viene letteralmente cancellata dai media: se in precedenza Fausto Bertinotti era molto presente nei diversi salotti televisivi, ed i parlamentari di Rifondazione venivano contattati in tv e radio sulle varie questioni di attualità politica, dopo il 2008 cala quella che è difficile non definire una “congiura del silenzio”.

La sinistra, il comunismo, il socialismo, dovevano essere letteralmente eradicati dalla coscienza popolare e civica di un intero Paese nel quale, significativamente, nel frattempo, nel giro di pochi anni, la povertà raddoppiav e l’occupazione si dimezzava. La distruzione di tutti i corpi intermedi (partiti di massa e sindacato) e la diffusione delle reti sociali come unico luogo di socializzazione, con conseguente nascita di un partito- non partito, il Movimento 5 stelle, fondato proprio sulla rete, facevano il resto.

E velocemente arriviamo all’oggi, nel tempo in cui l’estrema destra si è inoculata come un virus attraverso la rete internet nella testa della gente, facendo del razzismo e dell’odio per il diverso l’unico senso comune in una società spinta a non mettere nulla in comune, nel tempo in cui le mobilitazioni non riescono a trovare uno sbocco unitario a causa della mancanza di un soggetto storico in grado di farsene interprete, e con ciò di farsi interprete di un interesse generale, nel tempo in cui la distopia della chiusura nelle piccole patrie, nei piccoli quartieri, nelle piccole case videosorvegliate si è sostiuita agli ideali repubblicani di libertà, eguaglianza e fraternità alla base delle democrazie, siano esse liberali o socialiste, nel tempo, dunque, in cui lo stato d’eccezione permanente è divenuto la regola.

Entro un tale quadro, si presuppone che un partito comunista o socialista ponga come primo punto la costruzione di un grande movimento di lotta, simetta a studiare la realtà, lavori costantemente per ribaltare i rapporti di forza e soprattutto prenda coscienza della non ordinarietà della situazione, invece nulla di tutto questo pare scorgersi in Rifondazione comunista, al dilà dell’indiscutibile buona fede dei suoi aderenti.

Al contrario, proprio come nelle famiglie colpite da eventi tragici, esso negli anni ha reagito nell’unico modo in cui non doveva reagire: come preso dal panico, il partito ha moltiplicato le correnti, le sottocorrenti, le scissioni, le aree, e dunque la reciproca sfiducia, le liti, e dunque lo sfaldamento e l’indebolimento del suo corpo vivo. Un partito, dunque, in preda al panico che, di fronte alla complessità di un mondo da cambiare ha reagito gettandosi in una vera e propria rimozione delle questioni, continuando a sopravvivere coi suoi riti, dal congresso alle riunioni di federazione e circoli, dalle elezioni degli organismi dirigenti alla partecipazione totalmente passiva alle elezioni, viste come un cartellino da timbrare, mentre i voti dalle possibili due cifre sono passati ad una cifra sola, per ridursi spesso ai decimali di cifra, sino a quando l’ultimo dirigente non sfiducerà se stesso e chiuderà la porta.

E’ evidente, stando così le cose, che il Partito della Rifondazione comunista sia in preda ad una forma di “male di vivere” da decostruire e da analizzare: l’autoconsunzione, la fase del Golgota in cui si subisce qualunque cosa senza neppure più protestare, lo straniamento totale dalla realtà e la sua sostituzione con un’altra razionalità fondata sulle rimozione della realtà stessa, tutti fenomeni che mostrano come oggi anche la psicanalisi possa essere d’aiuto nella comprensione di fenomeni che altrimenti sfuggirebbero dalla necessaria vista, o peggio, verrebbero derubricati a ciò che non è: un’accozzaglia di malafede e interessi personali.

Se pensiamo che non sia questo, se pensiamo che in Italia nel XXI secolo occorra ancora un partito che, in quanto pars, si faccia carico dell’interesse generale espresso dalle classi subalterne e voglia cambiare il mondo, sì, cambiare il mondo, ché questa è la funzione del socialismo, allora non c’è tampo da perdere. Al contrario, c’è futuro da guadagnare.

ENNIO CIRNIGLIARO

15 ottobre 2017

foto di Marco Sferini

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