Renzi, Prodi, Bertinotti e le destre

“Lo dico agli amici dell’Anpi, fuori dal Pd non c’è la rivoluzione proletaria o la sinistra mondiale. C’è la destra di Grillo e Salvini. A furia di urlare “più...

Lo dico agli amici dell’Anpi, fuori dal Pd non c’è la rivoluzione proletaria o la sinistra mondiale. C’è la destra di Grillo e Salvini. A furia di urlare “più sinistra, più sinistra, più sinistra” si va a finire come con Bertinotti. Si mandano a casa i nostri e si apre la strada alla destra”.

Con queste parole Renzi ha inteso chiudere politicamente ogni possibilità di alternativa positiva al suo governo, al suo partito, alla sua linea. A pensarla così non è solo Renzi ma una bella fetta di popolo. Per questo mi preme tornare su quella vicenda proponendo un punto di vista radicalmente diverso da quello di Renzi. Lascio perdere che quando cadde il governo Prodi I (96/98) non arrivò la destra ma il governo d’Alema – e poi il governo Amato – che fecero sfracelli – dalla guerra alle privatizzazioni – e aprirono effettivamente la strada alla destra.

Per stare al merito politico della questione il punto fondamentale è che Prodi poteva tranquillamente evitare la crisi e continuare a governare fino alla fine della legislatura se avesse rispettato i patti e cioè fatto la legge sulle 35 ore. Rifondazione Comunista infatti votò contro il governo Prodi non per un capriccio ma per sacrosante ragioni che oggi sono ancora più evidenti. L’oggetto del contendere era la legge sulle 35 ore: Rifondazione Comunista chiedeva che l’Italia facesse una legge sulle 35 ore come quella appena approvata in Francia e come quanto era stato conquistato per via contrattuale dall’IG metal per i metalmeccanici tedeschi.

In altre parole alla fine degli anni ’90, in Europa si andava affermando una impostazione politico-sindacale che metteva al centro il tema dell’occupazione e della riduzione dell’orario di lavoro. Questa spinta non arrivava da paesi marginali ma dalla Francia e dalla Germania, cioè dal nucleo fondativo dell’Unione Europea. E’ del tutto evidente che quindi le 35 ore non erano un azzardo: se anche l’Italia avesse sancito le 35 ore, questa tendenza avrebbe vinto in tutto il continente e si sarebbe generalizzata al complesso dei paesi. In altri termini gettando il peso dell’Italia dalla stessa parte del governo francese e del più grande sindacato industriale del mondo (l’IG metal), si sarebbe potuto determinare un indirizzo diverso per l’Unione Europea, mettendo al centro il lavoro.

Prodi, nonostante avesse sottoscritto nel 1997 un accordo sulla necessità di dar vita alla legge sulle 35 ore, non ne volle sapere di onorare l’accordo e non volle fare la legge. Con questa decisione politica Prodi non solo condannò il suo governo, ma lasciando solo Jospin condannò il governo francese all’isolamento continentale e quindi all’irrilevanza della proposta della riduzione d’orario. In Germania, l’isolamento della IG metal rese relativamente facile per Schröder mettere in campo all’inizio del nuovo secolo Agenda 2010, cioè tutte le misure di precarizzazione del lavoro e di taglio del welfare che hanno permesso alla Germania di recuperare competitività e di imporre  a tutta Europa la ricetta mercatista, cioè l’esatto contrario della strada della riduzione dell’orario di lavoro. La strada alla Merkel e alle politiche liberiste e di austerità l’ha spianata l’ottusità politica di Prodi, o se volete la sua scelta di affossare la possibile e praticabile ipotesi di sinistra che era oggettivamente in campo in Europa: la riduzione dell’orario di lavoro.

La scelta di Prodi di non fare le 35 ore in Italia è all’origine della sconfitta delle 35 ore in Europa e della conseguente vittoria della strada opposta, quella basata sulla compressione dei diritti del lavoro e dell’occupazione e dello strapotere della finanza nella logica della massima concorrenza.

Rifondazione Comunista indicava la strada – possibile e praticabile – per indirizzare l’Europa sulla strada giusta, Prodi si è opposto ed ha preparato la strada all’offensiva di destra, tutt’ora in corso e di cui Renzi è un fedele esecutore e di cui la manomissione della Costituzione è un punto decisivo.

Aggiungo anche che la strada a Salvini la aprono le politiche di Renzi, non certo le politiche di sinistra: più il lavoro è precario e il welfare viene distrutto e più la gente ha paura. Più la gente ha paura e più si chiude su se stessa cercando di difendere il proprio orticello: il razzismo è un tragico effetto del dover vivere in un mondo imbarbarito da una concorrenza spietata. Le 35 ore servivano proprio ad evitare che finissimo in questa schifezza in cui imperversano due destre, quella di Renzi e quella di Salvini: una mette al centro la concorrenza e l’altra il razzismo, entrambe contribuiscono alla guerra tra i poveri.

PAOLO FERRERO
segretario nazionale di Rifondazione Comunista

da rifondazione.it

foto tratta da Pixabay

categorie
Politica e società

altri articoli