Potere al Popolo!, la “sorpresa” possibile

Lo confesso: da un iniziale scetticismo ho preso entusiasmo anche io. Mi ha sedotto molto l’utilizzo di una frase de “L’Internazionale” di Franco Fortini: “Dov’era il no, faremo il...

Lo confesso: da un iniziale scetticismo ho preso entusiasmo anche io. Mi ha sedotto molto l’utilizzo di una frase de “L’Internazionale” di Franco Fortini: “Dov’era il no, faremo il sì!“. La seduzione è un arte, una capacità di esprimere una attrazione indicibile, molto poco esprimibile con le parole. E’ istinto, quasi. E’ un collegamento spontaneo tra due e più identità che si conoscono e si riconoscono dopo un breve periodo di frequentazione.

Ho provato tutto ciò in queste ultime settimane. Una voglia diffusa di tornare a mostrarsi e dimostrarsi per ciò che siamo: comunisti, anticapitalisti, libertari circondati da liberisti di destra e centrosinistra, finti liberali, fascisti di vecchio e nuovo stampo e, siccome le disgrazie non vengono mai sole, anche da socialdemocratici tornati dall’aldilà del periodo della rottamazione renziana. L’elemento della passione è generato dall’elemento dell’entusiasmo ed entrambi sono caratteristici di un rinnovamento della politica che si fonda su una genuina adesione a princìpi che parevano dimenticati e che stanno tornando in auge in questa difficilissima campagna elettorale.

Se c’è, appunto, un tratto distintivo della nuova formazione di Potere al Popolo! (perdonerete la mia pignoleria, ma ne scrivo il nome per intero con tanto di punto esclamativo perché anch’esso fa parte del nome ed è riportato nel simbolo, quindi non vedetelo come un segno di punteggiatura ma come parte, appunto, del nome) è quello di aver suscitato un nuovo slancio emotivo, un entusiasmo che ha generato un coinvolgimento che si constata dalle centinaia di assemblee che si sono tenute in tutto il territorio italiano (ed anche all’estero, oltre Manica) e che sono esse stesse la dimostrazione di un interesse che da tempo non si riscontrava, soprattutto tra i giovani, per l’agone politico e, ancora di più, per quella sezione istituzionalista così tanto avversata in questi ultimi lustri.

Viene dunque da domandarsi quale sia il “valore aggiunto“, proprio marxianamente parlando, che Potere al Popolo! ha messo in circolo in una situazione che pareva essere paludosamente immobile, stagnante, priva di sommovimenti di qualunque tipo. La resistenza di forze politiche come Rifondazione Comunista, PCI, Sinistra Anticapitalista nel mantenersi tali e nel mantenere aperta ancora una prospettiva anticapitalista nel Paese, senza riuscire però a concretizzarla in vasto ampliamento dei consensi alla “Causa“, quella con la Ci maiuscola, è stata e rimane importante e necessaria anche ai fini dell’implementazione di forza organizzativa di Potere al Popolo! stesso.

Però la fase resistenziale non è stata sufficiente nel rimettere in campo una ipotesi terza rispetto al liberismo del centrosinistra e del centrodestra e al riformismo socialdemocratico proposto con Liberi e Uguali. Serviva un coraggio diverso da quello classico, una nuova iniezione di una emotività che nella nobile storia di Rifondazione Comunista, una storia che esiste, resiste e che deve continuare in tal senso, non si ritrovava più.

E’ anche comprensibile tutto ciò: ragioni anagrafiche unite ad un deterioramento della sinistra di alternativa in questi ultimi decenni hanno portato ad una non – considerazione delle forze comuniste come luogo di sviluppo di una connessione ritrovata tra moderno proletariato, in larga parte incosciente della propria condizione di sfruttamento, sindacato e partiti.

La scissione più grave non è mai stata quella che Rifondazione Comunista ha subìto per tredici volte e con differenti intensità, ma quella che non le ha consentito più di essere percepita quale punto di riferimento dei lavoratori e delle lavoratrici per un rinnovamento sociale che non fosse solo mediato dall’istituzionalismo ma anche e soprattutto da una inchiesta seria e motivata sulle cause di un fenomeno ben più grande di un partito che resta fuori dal Parlamento per dieci anni (aspettiamo a mettere l'”oltre“!).

Questo fenomeno è individuabile nella sostituzione della “coscienza per sé” con la “coscienza in sé“. I lavoratori, gli sfruttati in generale hanno dimenticato di essere una classe sociale semplicemente perché non sono più riusciti a riconoscersi tra loro come elementi comuni di una lotta eguale, di un interesse unico: la lotta contro lo sfruttamento capitalistico.

La percezione del vivere sociale è cambiata in questi decenni: l’individualismo egoistico propagandato dal capitale ha prevalso su quell’istintivo autocollocamento dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati nella schiera di chi sapeva di far parte della classe dei salariati (e dei non salariati, forzatamente tali…) contrapposta a quella padronale.

Un moderno linguaggio, elaborato sapientemente dai mediatori culturali di massa attraverso azioni giornalistiche ben mirate e ripetute in perfetto stile di convincimento della verità attraverso il capovolgimento dei concetti, ha concentrato l’attenzione dalle ingiustizie sociali alle ingiustizie “sovrastrutturali“, quelle della politica di palazzo: dalla corruzione singola a quella più estesa, fatta di intrecci tra padroni (chiamati sempre “imprenditori“), borghesia (chiamata sempre “ceto medio” o similmente in altri modi, ma sempre baroccheggianti, con tratti di eleganza occultratrice del vero) e grande finanza internazionale.

Al centro di tutto è stato posto l’elemento dell’onestà come programma politico, invece di dimostrare ancora una volta che si tratta di un necessario tratto distintivo di ogni cittadino che voglia far parte del patto costituzionale, che assuma come morale quella caratteristica e che, pertanto, rifiuti la disonestà strutturale del capitale che è ingiustizia massima perché è sfruttamento impossibile da bonificare, da rendere “buono” per l’appunto, da ammansire e magari da riformare per provare a riunire interessi di sfruttati e sfruttatori allo stesso tempo.

In questa confusione culturale, sociale, politica ed economica s’è inserita la novità di Potere al Popolo!. Una novità che può essere una sorpresa tanto sul piano della rinascita di una rete di rapporti collettivi dati ormai per dispersi nella voragine dell’individualismo citato prima, quanto sul piano più strettamente politico in chiave di rappresentanza attraverso la delega parlamentare.

Spesso sono proprio le imprese giudicate altamente improbabili, quando non impossibili, a trovare ascolto perché rompono ogni schema e ogni parola data, ogni banalità espressa con parole che tutti possono pronunciare da destra a sinistra senza farsi troppo male.

Ricominciare a pensare criticamente, a mettere in discussione piccoli e grandi dogmi della società antisociale capitalistica è un passo importante. Ci consegna l’onere e l’onore di riaprire la strada ad un processo culturale che è l’unica speranza per rimettere insieme i pezzi di una frantumazione della sinistra di classe in diaspora da troppo tempo.

Sì, Potere al Popolo! può essere una sorpresa sia per questa campagna elettorale, sia per ciò che ci attenderà dopo il 4 marzo. Ciò che non ci è consentito è rassegnarci se il risultato dovesse essere sotto le aspettative. Le uniche che dobbiamo avere sono quelle reali, dell’oggi. Ogni immaginazione è danno, è vera utopia. Lavoriamo su ciò che abbiamo e su ciò che stiamo diventando ogni giorno: studiamo, leggiamo, torniamo ad essere dubbiosi e critici. Semmai non lo siamo stati…

Creiamo la “sorpresa” con entusiasmo e con la passione che ne deriva.

MARCO SFERINI

13 gennaio 2018

foto tratta dalla pagina Facebook di Potere al Popolo!

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