NoTav, il voto simbolo di Torino

Il consiglio comunale del capoluogo piemontese, che non ha competenze sull'alta velocità, approva il parere contrario all'opera che serva ai 5 Stelle per provare a nascondere le difficoltà per il sì al Tap. La Lega si dissocia. Fuori dall'aula si confrontano sostenitori e avversari della grande opera. Dentro il gruppo Pd viene espulso per proteste, per la prima volta cacciato anche Fassino. E la sindaca Appendino non c'è

Doveva essere un voto per calmare le acque tra le fila del movimento NoTav, quello espresso ieri dalla maggioranza pentastellata che governa il comune di Torino. Calendarizzato da tempo, per volontà dei cinque consiglieri che avevano già fatto traballare la maggioranza sulle Olimpiadi. Ma l’esito della vicenda Tap, distruttivo per il M5s, ha trasformato un voto prettamente simbolico – il consiglio comunale di Torino non decide alcunché sul Tav – in un’ipoteca sull’orientamento del governo sul Tav.

Luigi Di Maio ieri gioiva per il modo in cui si è spostata l’attenzione in un momento drammatico per il suo partito: «La rinegoziazione del progetto Tav è dentro al contratto di governo, lo abbiamo firmato e lo abbiamo fatto votare ai nostri iscritti». Se questo significhi la cancellazione del tunnel di base, ovvero il cuore del progetto Tav, non è ancora chiaro. Perché il suo collega e alleato di governo, il leghista Giancarlo Giorgetti, appena dopo il voto del consiglio comunale torinese si affrettava a sottolineare che «bisogna avere il coraggio di fare tutte le grandi opere». Giorgetti, e l’intera componente leghista di governo, vogliono la costruzione del tunnel di base, non l’ammodernamento della linea storica.
I conti si faranno quando verrà pubblicata, entro la fine dell’anno, la valutazione costi benefici, che dovrebbe scaricare su un piano tecnico una decisione politica del M5s. Torino quindi da ieri è una città ufficialmente NoTav, anche se lo era già in parte da due anni, ovvero da quando i pentastellati decisero di far uscire i rappresentanti istituzionali dall’Osservatorio tecnico.

Ventitrè voti favorevoli, due contrari, dodici espulsi dall’aula del consiglio comunale. Cioè l’intero gruppo del Pd, colpevole di aver protestato esponendo cartelli inneggianti al Tav. Espulso, per la prima volta nella sua quarantennale carriera politica anche Piero Fassino. Compatta la maggioranza cinquestelle, contrari i due consiglieri leghisti, proconsoli di Salvini. Assente la sindaca Appendino, volata a Dubai presso il Forum Economico finanziario degli Emirati Arabi, a caccia di investimenti su Torino. Assenza che nel pomeriggio aveva portato tutte le categorie produttive torinesi, industriali e sindacali, a chiedere di rimandare il voto a un giorno in cui lei fosse stata presente. Richiesta rifiutata. Al voto si è giunti con solo qualche minuto di ritardo.

Ai Cinque Stelle si sono uniti Eleonora Artesio di Torino in Comune, e la fuoriuscita dalla dalla maggioranza Deborah Montalbano. Lapidario il commento di quest’ultima: «I miei ex colleghi giocano con le parole, ovvero la ragione per cui sono uscita dal M5s. Il voto di oggi non impegna nessuno, semplicemente chiede la sospensione dei lavori per un mese, ovvero fino alla presentazione della valutazione costi benefici. Cosa verrà deciso dopo è un mistero. Io di proclami come quello di oggi, quando ero in maggioranza, ne ho sentiti a decine. Si concludevano con un nulla di fatto. È innegabile che l’assenza della sindaca sia voluta e politica, questo depotenzia il voto». Concetto ripreso da Fassino: «La sindaca ha la coda di paglia, per quello non era presente».

Il mondo produttivo torinese ieri si è dato appuntamento davanti al Comune, dove sotto un cielo di piombo che riversava acqua a secchiate si è confrontato duramente con i militanti del movimento NoTav. I quali, forse per la prima volta, erano in minoranza. Tra i favorevoli al tunnel di base della Torino-Lione sventolavano bandiere di ogni appartenenza politica: due di Forza Italia, una del Pd, decine di Cisl e Uil, una della Cgil Fillea. Qualcuna dei radicali, il cui rappresentante in piazza, Silvio Viale, si sgolava sotto il diluvio chiedendo un referendum per far esprimere i torinesi sulla più controversa della grandi opere. Favorevoli e contrari venivano fisicamente separati dalle forze di polizia presenti in massa, ma per lunghi minuti da entrambe le parti di alzavano cori e insulti, anche molto pesanti. L’apice si raggiungeva quando i favorevoli al Tav accusavano i NoTav di essere «fascisti». E questi, come risposta intonavano «Bella Ciao» e alzando il pugno chiuso.

MAURIZIO PAGLIASSOTTI

da il manifesto.it

foto tratta da Flickr su licenza Creative Commons

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Politica e società

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