Mi scappa la pipì, padrone. Ma il padrone dice: “Lavora!”

L’altro ieri un lavoratore alla SEVEL di Atessa (Ch) è stato costretto a urinarsi addosso perché gli è stato vietato di andare in bagno. Questo accade nello stabilimento più...

L’altro ieri un lavoratore alla SEVEL di Atessa (Ch) è stato costretto a urinarsi addosso perché gli è stato vietato di andare in bagno. Questo accade nello stabilimento più grande in Italia del gruppo FCA (ex-Fiat).

Spremere i lavoratori fino al divieto, ripetuto e continuato, di poter andare in bagno, è un fatto di una gravità inaudita, da condannare senza mezzi termini. Da molti anni nel gruppo FCA si assiste all’incremento di ritmi e carichi di lavoro al limite del sostenibile. Troppo spesso gli aumenti di produttività sono stati salutati come un fatto positivo, senza chiedersi come fossero possibili, ogni anno, aumenti produttivi da record.

Nei giorni scorsi la risposta è arrivata, di nuovo, dalla palese manifestazione delle condizioni che i lavoratori, loro malgrado, sono troppo spesso costretti a subire. L’arroganza aziendale si è spinta fino a costringere un lavoratore ad urinarsi addosso, dopo che per troppo tempo gli è stato vietato di recarsi in bagno. La produzione viene prima di tutto e perciò i lavoratori non possono permettersi nemmeno il “lusso” di espletare bisogni fisiologici normali per qualsiasi essere umano.

La capacità produttiva di un impianto come quello SEVEL, se non fosse in mano ad un arrogante finanziere come Marchionne, potrebbe essere utilizzata per redistribuire ricchezza alla collettività. Invece, arricchisce azionisti e Marchionne che investe negli USA e delocalizza in Serbia e Polonia. Ai lavoratori, invece, costretti a carichi e ritmi di lavoro insostenibili, non viene riconosciuta nemmeno la dignità umana.

La vicenda SEVEL ci ricorda l’importanza e la necessità di riportare la democrazia reale dentro e fuori le fabbriche: questo totalitarismo aziendale è il prodotto di anni di “riforme” del lavoro che hanno sottratto ai lavoratori diritti e tutele e accordi sindacali capestro accettati da sindacati “firmatutto”.

Questi sono i risultati della cancellazione dell’art.18 di cui porta la responsabilità il Partito Democratico, prima con il governo Monti, poi con il Jobs Act di Renzi.

Al lavoratore che ha subito questo grave episodio di fascismo aziendale manifestiamo la incondizionata solidarietà del Partito della Rifondazione Comunista, che si unisce alla lotta dei sindacati per l’affermazione dei diritti di tutti i lavoratori.

MARCO FARS
Segretario regionale Rifondazione Comunista – Abruzzo

MAURIZIO ACERBO
Segreteria nazionale Rifondazione Comunista

foto tratta da Pixabay

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