L’inutilità politica e sociale di una sinistra smarrita

C’è il piano inclinato della realtà politica a far scendere a miti consigli chi vorrebbe lanciarsi nella costruzione di nuovi partiti da consegnare ad una sinistra che sembra sempre...

C’è il piano inclinato della realtà politica a far scendere a miti consigli chi vorrebbe lanciarsi nella costruzione di nuovi partiti da consegnare ad una sinistra che sembra sempre più intangibile, elezione dopo elezione.
E questo piano inclinato è anche quello che si ricava dalla costruzione delle intese per le amministrative che sono state fissate a giugno.
Vi si infrangono contro le speranze tutte politiciste di una unità fittizia, ancora una volta costruita su architravi così deboli da non garantire l’edificazione di nessuna nuova casa di qualunque progressismo italiano. La debolezza intrinseca è strutturale, ormai fa parte di un diffuso convincimento popolare che vede nel movimento 5 Stelle non una edizione moderna di una sinistra inesistente nell’ormai definibile “partito” grillino, quanto l’unica possibilità di far valere una voce corale che proprio dalle tante sinistre che si sono succedute nel tempo non è più stata ascoltata o percepita.
Nel primo caso, quello del non ascolto, siamo davanti all’evidente colpa di un trasformismo fortemente classista: puntare ad avere un ruolo di gestione politica dei fenomeni di mercato, quindi puntare al ruolo di governo come fine primo dell’azione di una forza di sinistra, ha condotto dalla fine del PCI all’avvento del PDS prima e alla nascita di quella simbiosi tra cultura socialdemocratica e cultura democratico cristiana chiamata PD che ha finito col disperdere qualunque patrimonio culturale e ideologico di sinistra.
Nel secondo caso invece, in merito alla percezione della percezione, sono proprio le forze politiche che hanno mantenuto un profilo chiaramente alternativo, comunista e di sinistra cosiddetta “radicale” che hanno subìto il distacco sensibile tra l’essere e il sembrare nato e cresciuto all’ombra di una serie di trasformazioni sociali che hanno diviso la classe degli sfruttati e che hanno spezzato prima di tutto la percezione del “sociale” tanto nel quotidiano quanto nell’ambito più strettamente “politico”.
Andata perduta ogni possibilità di sentirsi e riconoscersi come “classe sociale”, i lavoratori, i disoccupati e gli sfruttati in generale hanno abbandonato l’ideologia dell’egualitarismo proprio in chiave socialista, troppo lontana come prospettiva rispetto alle urgenti esigenze del quotidiano, sotto i colpi di una crisi economica che ha già intaccato il futuro di più generazioni.
L’urgenza dell’hic et nunc, della soddisfazione dei bisogni giornalieri ha cambiato l’agenda delle rivendicazioni popolari che è stata presa in mano dal populismo di destra per accreditarsi come forza rivoluzionaria variamente dipinta a seconda dei casi e delle situazioni.
Dunque, nella partita delle consultazioni al Quirinale che inizieranno a breve, nessuna sinistra ha la possibilità di contare, di incidere, di mettere in campo elementi di socialità, di rivendicazione dei diritti sulla base di un programma: semplicemente perché questo programma non esiste e non è nemmeno in previsione che possa esistere sulla base di accordi di governo anche con residuali presenze parlamentari che, nell’intento, avrebbero invece dovuto rappresentare una buona fetta di un elettorato in fuga proprio da quel PD che è in larga parte causa dell’evaporazione della sinistra politicamente detta e popolarmente interpretata anche nel voto.
Nessuna partita la sinistra può giocarla in questa fase nemmeno sul terreno squisitamente sociale. I cosiddetti “punti di partenza” sono una falsa percezione politica che non può avere alcuna traduzione in un consenso naturalmente popolare che sarebbe rivolto altrove se oggi si svolgessero nuovamente le elezioni politiche.
E’ dunque proprio finita per la sinistra di alternativa, per i comunisti ed anche per i socialdemocratici di sinistra? Oppure esiste una speranza di ricomporre gli elementi per un rinnovamento sociale fondato però su una ampia consapevolezza che sia necessario per trasformare prima di tutto l’intera società e cambiare quindi radicalmente lo stato di sopravvivenza in stato di vita decente, degna d’essere vissuta?
Le parole benevole ci dicono che la speranza non va mai accantonata, persa, lasciata a sé stessa come fenomeno contemplativo. Le parole buone, fatte di ottime intenzioni, ci dicono che la lotta non va mai abbandonata. Ed è sacrosantamente vero.
Tuttavia perché sia una lotta che dia i suoi frutti nel corso di un lavoro veramente lungo, occorre avere ben presente che la ricostruzione sociale di una consapevolezza progressista, fuori da ogni limite qualunquistico, non ha alcun fondamento se non agisce anche come elemento di pedagogia sociale: ogni azione politica della sinistra che si vuole ricostituire deve avere questo valore intrinseco, necessario, veramente imprescindibile per una acquisizione di coscienza critica senza la quale si può parlare solo di “beneficenza” e non di sostegno vero alla classe degli sfruttati.
Tutte le azioni mutualistiche possibili, tutti i sostegni concreti che possono essere messi in essere non hanno valore alcuno in prospettiva se non sono in nuce proprio questo: un primo approccio ad una nuova genesi della piena consapevolezza che il vivere comune è comunità e che nessuna comunità è fine a sé stessa, isolabile, ma che ognuna è connessa in un grande assemblaggio chiamato “umanità”. Molto semplicemente.

MARCO SFERINI

3 aprile 2018

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli