L’indipendenza non c’è, e ora neanche l’autonomia

Catalogna. Scambio di lettere allo scadere dell’ultimatum. Puigdemont: non ci resta che la dichiarazione. Rajoy: al via l’articolo 155. Gli indipendentisti si riorganizzano in attesa delle elezioni, domani manifestazione a Barcellona

Per la seconda volta il presidente catalano Carles Puigdemont ha risposto con una lettera ambigua alla richiesta del governo spagnolo di «tornare alla Costituzione». Tra l’altro, ammettendo nell’ultima frase che finora la dichiarazione d’indipendenza non ha ancora avuto luogo. Ma «se il governo persiste nell’impedire il dialogo e nel continuare la repressione», e cioè applicherà il famigerato 155, il Parlament catalano non potrà fare altro che dichiararla. Niente da fare, il governo spagnolo gli ha risposto immediatamente con un comunicato: via al procedimento di attivazione del 155 che commissaria la regione.

Pochi minuti prima dello scadere dell’ultimatum, fissato alle 10 di ieri, Puigdemont ha fatto arrivare la sua lettera alla Moncloa, in cui ricostruisce con verità, mezze verità e bugie le puntate precedenti. Il popolo catalano ha «deciso» l’indipendenza il primo ottobre, scrive il president, anche se solo il 40% di quel popolo ha votato, e quello non era un referendum con tutti i crismi. Racconta che nella sessione del 10 ottobre il parlamento si era riunito per valutare i risultati del referendum, e che lui aveva deciso di sospendere gli effetti dell’indipendenza. Anche qui la ricostruzione è dubbia: il parlamento non ha votato nulla, e non ha rispettato né la legge spagnola, né quella catalana (annullata dal Tribunale costituzionale) a cui diceva di ispirarsi (che prevedeva un voto entro 48 ore dalla proclamazione dei risultati, che non c’è stato). Ma ricorda anche di aver proposto a Rajoy di incontrarsi, invito che il presidente popolare non ha mai voluto raccogliere. E di aver invitato ad abbassare il livello della repressione, e invece sono stati arrestati i presidenti delle due associazioni indipendentiste, una decisione simbolicamente aggressiva.

Per l’esordio dell’articolo 155, mai applicato finora, ci vorrà ancora un po’ di tempo, e non è detto che si arriverà all’ultimo stadio. Il Consiglio dei ministri alla fine si riunirà domani, al ritorno di Rajoy da Bruxelles. Il Senato invece di discuterlo nella sessione di giovedì e venerdì prossimo potrebbe farlo il 30 o il 31 per dare tempo alla commissione di analizzare la proposta del governo. Una proposta che conterrà misure concrete: quali cariche politiche sospendere e chi ne prenderà il posto, per fare esattamente cosa e per quanto tempo. Oltre ai membri del governo, si parla anche dei Mossos e della televisione pubblica.

In ogni caso ci vorranno più di 10 giorni di tempo perché Puigdemont convochi lui stesso le elezioni, come vorrebbero da Madrid ben sapendo che la sospensione dell’autonomia sarebbe un autogol politico. Ma è assai più probabile che in questi giorni le forze indipendentiste si riorganizzino, e a parte l’ormai scontata dichiarazione di indipendenza priva di conseguenze pratiche, ma nettare simbolico per gli indipendentisti, ci saranno altre manovre. Per domani pomeriggio è già prevista l’ennesima massiccia manifestazione a Barcellona, ma di tempo per organizzare altre iniziative ce n’è moltissimo.

Anche il Tribunale supremo getta altra benzina sul fuoco, come se fosse necessario. Ieri ha respinto il ricorso del governo catalano che aveva impugnato il blocco dei conti della Generalitat da parte del governo spagnolo. Dal punto di visto economico, la Generalitat è già sotto pieno controllo del governo di Madrid.

L’appoggio praticamente incondizionato del Psoe al Pp sul 155 sta già avendo gravi conseguenze politiche. La prima è stata il ritiro questa settimana della mozione di sfiducia alla vicepremier Soraya Sáez de Santamaría, donna forte del governo che il Psoe voleva inchiodare alle responsabilità politiche per le violenze dell’1 ottobre. Evidentemente, il Pp ha imposto il dietrofront perché Podemos avrebbe appoggiato la mozione. La seconda è che Podemos e alleati hanno abbandonato la commissione fortemente voluta dal Psoe per riformare la costituzione: «Il Psoe non può aprire il melone costituzionale con l’appoggio al 155» ha detto perentoria Irene Montero, portavoce del gruppo al Congresso. Che la riforma della costituzione, unica proposta offerta dai socialisti ai catalani, la facciano solo Pp e Psoe non è molto promettente come soluzione. Il solco fra le due forze, dalla cui alleanza dipende qualsiasi cambiamento politico in Spagna, è sempre più profondo. Ma arrivano critiche alla commissione anche da destra. Per l’ex presidente José María Aznar, la riforma costituzionale è «un pagamento a rate» agli indipendentisti e quindi non si dovrebbe fare.

Oltre a Unidos Podemos, alle critiche al governo per il 155 si sono uniti i baschi del Pnv: il lehendakari (presidente basco) Íñigo Urkulli ha già detto che non appoggerà l’applicazione del 155 perché non c’è stata nessuna dichiarazione di indipendenza.

LUCA TANCREDI BARONE

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

categorie
EsteriSpagna e Portogallo

altri articoli