Le percentuali in salita e la critica che rimane tale

Contrariamente a quanto qualcuno potrà pensare, un sondaggio che vede aumentare le percentuali di un soggetto politico di sinistra di alternativa, anticapitalista, mi fa piacere. E’ un piacere politicamente...

Contrariamente a quanto qualcuno potrà pensare, un sondaggio che vede aumentare le percentuali di un soggetto politico di sinistra di alternativa, anticapitalista, mi fa piacere.
E’ un piacere politicamente “lato”. L’ho provato in passato per partiti comunisti “cugini” di Rifondazione, naturalmente l’ho provato (ormai l’ho quasi dimenticato) per il mio Partito e, infine, l’ho provato per soggetti politici coraggiosamente alleati o legati da federazioni, confluenze più o meno momentanee tra comunisti, libertari ed ecologisti.
Per questo, se “Potere al popolo!” arriva nei sondaggi promossi dal TG de La 7 al 2,5%, è e deve essere motivo di contentezza. Che però termina qui. Perché poi rimane la critica politica sia di merito che di metodo nella costruzione di un nuovo partito che si definisce “associazione” ma che, in armonia con l’articolo 49 della Costituzione, sarà ciò.
Un partito, dunque, che non potrà essere il mio, visto che di Partito ne ho già uno di cui condivido l’origine storica, la presenza ultraventicinquennale nell’agone politico del Paese, al quale riservo critiche ma di cui mi sento parte perché c’è una identità tra impianto ideologico massimo e programma di lotte minimo (non minale) dell’oggi e del domani.
“Potere al Popolo!” da alleanza anticapitalista e antiliberista che doveva far riemergere l’entusiasmo per un rilancio della sinistra di alternativa, ha via via proposto un modello che non mi corrisponde, che guarda alla contestualità tra lotta sociale e lotta politica come qualcosa di estraneo nel momento in cui questa ultima diventa anche cultura istituzionale (e costituzionale) laddove tenta di inserirsi negli enti locali, in quelli nazionali per provare anche da quelli scranni di cambiare, lì sì riformisticamente, le storture antisociali che nell’immediato determinate forze di destra o anche di centrosinistra possono provocare generando un peggioramento delle condizioni di vita quotidiane di milioni di moderni sfruttati.
Per questo, nonostante il 2.5% di Mentana, non cambia nulla nella rinnovata formulazione di una critica che rimprovera ad una forza di sinistra (alcuni direbbero “radicale”, ma è un termine improprio e abusato…) di non saper far convivere la giusta lotta sociale con quella politica di ampio respiro che deve poter contemplare l’inserimento delle comuniste e dei comunisti non nei gangli del potere ma nella strutturazione complessa della gestione anche amministrativa: il che vuol dire confrontarsi con piccoli e grandi necessità che non significano, purtroppo, coincidenza con la battaglia rivoluzionaria più ampia e che nemmeno significano fare del mutualismo l’unico orizzonte possibile e percorribile per una riconversione di massa verso una coscienza critica oggi priva di strutturazione e allargamento tra le cosiddette “masse”.
Rimane invece necessario aprire il confronto tra le differenze anche ampie a sinistra per costruire una proposta che comprenda tanto chi aderirà al partito “Potere al Popolo!” quanto chi si riconoscerà in altre conformazioni della sinistra in Italia.
Escludere questa impostazione prima di tutto di merito, di contenuto, di relazione tra rivoluzionari e riformisti (se seguiamo delle categorie e definizioni dell’essere di sinistra che avevano e possono ancora avere un valore) non fa che portare a cristallizzazioni tra verità che si ritengono intangibili, assolute. Quasi dogmatiche.
Peggio non potrebbe accadere ancora una volta alla sinistra in un Paese dove la destra mutaforme e multiforme sta divorando le incoscienze di tanta parte della popolazione.
Ben venga “Potere al Popolo!” sia al 2,5%, sia come partito. La pluralità dovrebbe sempre essere un valore, un accrescimento della forza della democrazia propriamente detta e intesa.
Vale la pena ricordare che stiamo parlando di due debolezze: PaP e LeU. Vale la pena ricordare che ci entusiasmiamo (vi entusiasmate…) per percentuali irrisorie che ci appaiono come salvifiche perché “aumentano” un consenso che quasi mai corrisponde nella realtà ai sondaggi appena letti in televisione.
Come Rifondazione Comunista abbiamo fatto molte volte da collegamento tra forze moderate e forze meno moderate. Siamo stati l’anello di congiungimento tra chi pensava solo alla presenza al governo come metodo risolutore della miseria della vita di tante lavoratrici e tanti lavoratori: possiamo anche oggi riportare il binomio “rifondazione comunista” all’origine di sé stesso, alla formazione e all’accrescimento del “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.
Ciò non nega l’identità dei comunisti, anzi: la afferma e mette in pratica quel materialismo nuovo che Marx scopriva quando affermava che dall’intuizione delle e sulle cose si doveva passare alla comprensione stessa delle cose come fenomeni propriamente umani. Quindi, il prodotto di una evoluzione sociale fatta di individui.
Ecco, come individui possiamo appartenere a forze differenti ma come collettività coscienziosa, criticamente tale verso il capitalismo, senza se e senza ma, possiamo camminare gli uni accanto agli altri.

MARCO SFERINI

2 agosto 2018

foto tratta da Pixabay

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