L’amore cacciato da casa

Due ragazzi, di 18 e di 20 anni, fidanzati. Due ragazzi. Fin qui, in queste poche battute di tastiera, a cosa potete pensare? A una ragazza e ad un...

Due ragazzi, di 18 e di 20 anni, fidanzati. Due ragazzi. Fin qui, in queste poche battute di tastiera, a cosa potete pensare? A una ragazza e ad un ragazzo ovviamente. Invece no, stiamo parlando, fuori dal neutro della nostra lingua condito comunque in salsa maschile, di due ragazzi, due maschi. Genere maschile, numero plurale, amore singolare evidentemente. Perché si tratta dell’ennesimo episodio di omofobia. Ma forse, vista la storia, sarebbe meglio chiamarla differentemente perché la paura insensata c’è anche dietro all’atteggiamento di un genitore che caccia da casa il figlio perché non ne comprende l’omosessualità; ma c’è, dietro tutto ciò, e parlandone in senso lato, una incapacità ad essere umani nel comprendere che nulla cambia se tuo figlio o tua figlia sono omosessuali o bisessuali o transgender.
Il più giovane della coppia racconta che non ha avuto alcun sostegno dal circondario familiare più ampio che, anzi, erano proprio i suoi parenti e fomentare l’insicurezza materna e a creare situazioni di ulteriore disagio, di respingimento, di allontanamento.
Alla fine, però, o forse all’inizio di questa vicenda – a seconda del lato e punto di vista da cui la si vuole guardare – arrivano anche i carabinieri che, su richiesta della genitrice, li mandano via di casa. Una seconda casa, una casa dove la madre non vive, una casa dove non sono più accettati, lasciati vivere in pace. Una casa che diventa, in pochi istanti, un luogo estraneo.
Allora i due giovani chiedono: “Ma dove possiamo andare a dormire?”. La risposta è terribilmente scontata: “A Napoli vi sono ricoveri per i senza tetto.”. Quindi nessun appiglio, nessun salvagente gettato anche solo per un residuo di umano legame tra madre e figlio, tra chi ti ha partorito e dato la vita e te la toglie magari senza neppure accorgersene.
Perché dietro ad una storia simile non può che esservi un’enorme substrato di ignoranza, di negazione dell’evidenza: e l’evidenza è l’uguaglianza manifesta tra gli esseri umani. Tutti. E questa uguaglianza di diritti civili e sociali, di rapporti “umani” non viene meno e non può venire meno soltanto perché tuo figlio o tuo nipote, tuo fratello o tua sorella, chiunque sia, è innamorato di una persona del suo stesso sesso.
Pensate se andasse al rovescio, se gli “invertiti” (come un tempo volgarmente venivamo chiamati noi omosessuali) fossero gli eterosessuali e l’omosessualità fosse la condizione “naturale”, “normale”, “di maggioranza” (tutte caricature quasi ideologiche per giustificare una morale imperante volta solo a dimostrare che è degno di rispetto chi è funzionale alla continuità della specie umana…): vi piacerebbe essere cacciati di casa perché amate una persona diversa dal vostro sesso?
Vi piacerebbe essere discriminati per causa dell’amore, della voglia di piacere, del godimento, del sesso, delle carezze, delle tenerezze che ci si scambiano?
Vi piacerebbe avere il dito puntato contro ogni volta che avete voglia di abbracciare il vostro compagno o la vostra compagna e sapete che, facendolo, sfidate il mondo e che lo fate anche soltanto quando lo guardate intensamente e qualcuno se ne può accorgere? Non parliamo poi dei baci…
Uno dei due ragazzi ha avuto coraggio a raccontare la sua storia e ha avuto coraggio a confrontarsi con essa, lui, da solo e insieme al suo fidanzato.
Io non posso fare altro che scriverglielo qui, apprezzando questo coraggio, questa introspezione che ha dovuto non attraversare nei suoi sentimenti più belli e intimi ma quasi subire per denunciare una discriminazione.
Qualcuno ha scritto: “Ci sono ragazzi che amano ragazzi, fattene una ragione”. E’ un concetto sbagliato anche se chiaramente espresso con una carica di lotta per una giusta emancipazione civile di chi ancora pensa che gli omosessuali siano strani, bizzarri, curiose entità per caso magari diventate umane…
Ma è una frase concettualmente sbagliata: non dovete farvi una ragione che noi omosessuali esistiamo. Esistiamo. Punto e basta. Così come esistete voi. E, lo ripeto anche qui per la milionesima volta, nessuno può dare patenti di “naturalità” a nessun altro: ciò che esiste in natura è per definizione “naturale” e ha diritto di vivere senza essere giudicato da morali che nei millenni si sono talvolta evolute avvicinandosi ad un punto alto di eguaglianza e, altre volte, sono precipitate in quel “mondo grande e terribile” che è fatto di separazioni, livelli, muri, intercapedini di protezione di una classe sociale rispetto ad un altra, del mantenimento di una “dignità” che non può essere infangata da un figlio gay o da una figlia lesbica.
Ma la dignità di un essere umano si misura per un altro essere umano soltanto dal modo in cui tratta i propri simili e anche i “differenti” da lui: ad esempio gli animali. Ad esempio, anche, i vegetali. Una società che vive di “superiorità” e di “inferiorità” economiche, sociali, civili, morali, anti-culturali, è quella società in cui stiamo vivendo e che va spazzata via, che va letteralmente capovolta.

MARCO SFERINI

27 agosto 2017

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli