La “sinistra” che uccide la sinistra

Non “bisogna fare molto male” al PD e alla sua eventuale coalizione. E’ la tesi di Pippo Civati che avrebbe un senso politico se il Partito Democratico fosse espressione...

Non “bisogna fare molto male” al PD e alla sua eventuale coalizione. E’ la tesi di Pippo Civati che avrebbe un senso politico se il Partito Democratico fosse espressione di una sinistra anche moderata posta a tutela dei diritti dei più deboli e sfruttati di questa società, ma invece siamo davanti ad un soggetto che rappresenta qualcosa che va oltre persino il cosiddetto “ceto medio”; un tempo l’avremmo chiamata “borghesia”, più o meno illuminata che fosse, ma oggi il termine è riduttivo perché le forze di governo proteggono i privilegi di una economia di mercato che viene tutelata da Bruxelles che non perde tempo nel ricordare all’esecutivo come sia necessaria una manovra correttiva di bilancio nel prossimo maggio qualora i parametri europei non fossero rispettati dall’Italia.
Dunque, “non fare male” al PD in campagna elettorale e nel corso del voto vuol dire anzitutto riconoscere alla probabile coalizione centrista (che verrà spacciata come coalizione di centro-sinistra, forse anche senza trattino separatore tra i due termini che dovrebbero essere in un sano contrasto tra loro…) un ruolo già egemone, dando per scontato che la futuribile “Lista Grasso” (chiamiamo così provvisoriamente l’assemblaggio tripartitico tra MDP, Sinistra Italiana e Possibile) prevalga su altre liste progressiste e di sinistra; e vuole poi anche dire attribuire alla coalizione governativa una patente di dialogo: la possibilità di una interlocuzione magari proprio posteriore al voto come auspicato del resto da Pierluigi Bersani.
Ora, tutto ciò non solo non fa prendere le distanze ma fa avvicinare il tripartito del 3 dicembre ad una specie di riedizione della “desistenza” elettorale messa in essere da Rifondazione Comunista ai vecchi tempi dell’Ulivo prodiano: nemmeno più con il sistema della presentazione del simbolo dei “Progressisti” dove non erano in corsa candidati centristi, ma col metodo dell’evitamento dello scontro, quindi una sorta di “non belligeranza” elettorale.
Il bene della sinistra in Italia e, tanto più, l’avanzamento dei diritti sociali delle classi più sfruttate non passa di certo per vie di questo tipo: non è consentendo al PD di governare che si può pensare di incidere politicamente nella sfera politica di un partito e di un suo governo futuro quando tutte le azioni di queste forze sono volte nuovamente alla conservazione – quanto meno – dell’ordine economico esistente fondato sulla protezione dei profitti a scapito del lavoro, sulla protezione degli interessi del capitale rispetto a quelli del mondo della forza-lavoro.
Siamo sempre, per differenti espressioni, sulla linea di una illogica formulazione della teoria del “meno peggio” e se non lo si può esprimere attraverso un voto, almeno che lo si possa mettere in ipotesi, formularlo mediante accordi indiretti e proclami lanciati a mo’ di progetto a distanza. Un po’ come i contratti lavorativi dell’oggi moderno: tutti lavori precari, quindi anche alleanze non propriamente dette: indirette, precarie. Per l’appunto.
Una strategia (ammesso che la si possa definire tale) che subordina il già debole programma sociale della futura lista a guida dell’attuale Presidente del Senato della Repubblica: la discontinuità vera con il passato e il presente rappresentati dagli inasprimenti delle conseguenze delle Leggi Fornero e Jobs act, dalla Buona scuola allo scardinamento del sistema pensionistico, non è contenuta nel programma del tripartito del 3 dicembre. Non si mette in discussione nemmeno il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione repubblicana – come ricorda Maurizio Acerbo in una lettera indirizzata ai compagni ed alle compagne di Sinistra Italiana – proprio sotto Bersani.
La domanda, allora, è quanta sinistra c’è in tutto ciò. Pare di vederne molto poca, ammesso che “sinistra” voglia ancora dire cambiamento radicale dell’esistente. Quindi una alternativa a ciò che esiste. Una alternativa però non negoziabile. Una alternativa è una alternativa, quindi è l’opposto di ciò che oggi ci troviamo a vivere, a subire e, pertanto, a sopravvivere.
Creare una lista invece di vera sinistra anticapitalista e antiliberista è l’esatto opposto rispetto a tutti questi tentativi di “fare poco male” alle forze che oggi governano il Paese: è provare a rimettere al centro della discussione i motivi per cui è necessario capovolgere i rapporti di forza per capovolgere i punti di partenza di programmi che devono parlare con nettezza ai moderni proletari.
Occorre stabilire una differenza così evidente per cui occorrano poche parole per convincere chi è indeciso se votare o meno perché deluso e frustrato da una condizione sociale che diventa antisociale, quindi immorale anche sul piano del diritto, dei rapporti umani prima ancora di quelli etico-politici.
Giorni fa ho stigmatizzato la locuzione “Potere al popolo”: mi sembrava (e ancora un po’ mi sembra) enfatica, fuori dalla portata proprio della comprensione popolare stessa. Un eccesso di zelo politico tradotto con uno slogan che fa molto anni ’70. Allora si parlava di “potere operaio” come nell’America di Luther King si parlava di “potere nero”.
Il tema del potere però deve tornare sotto una lente di ingrandimento per tutte le comuniste e tutti i comunisti, per chiunque non si riconosca nello “stato di cose presente” così ben definito dal Marx ne “L’Ideologia tedesca”.
Associare ricerca delle esigenze e tutela dei bisogni sociali con l’aspirazione a rappresentarli democraticamente nel prossimo Parlamento non è una impresa impossibile: è concretamente realizzabile anche se dietro non vi sono grandi sigle, grandi partiti, grandi sponsorizzazioni.
Ed è concretizzabile perché si deve tracciare una cesura netta, si deve segnare un punto di non ritorno rispetto a qualunque ipotesi di alleanze e dialogo con chi sceglie altre strade per far valere i diritti dei lavoratori, dei precari, degli studenti, dei pensionati e di tutti gli sfruttati dell’oggi e di domani.
Chi assume ancora una volta su di sé il punto di vista del mercato come bussola guida della propria azione politica non può dirsi di sinistra e dovrebbe avere davanti a sé esempi di fallimenti epocali: cosa rimane della sinistra moderata, socialista, socialdemocratica in Italia? Ed in Europa? Basti gettare lo sguardo oltralpe, nella vicinissima Francia per vedere come il capitale e le classi medie abbiano puntato su Macron e non sui socialisti che sono praticamente scomparsi dalla scena politica.
La sconfitta dei comunisti c’è stata e c’è tutt’ora, ma le socialdemocrazie non hanno vinto. E c’è una differenza ancora più profonda in tutto questo scenario quasi apocalittico: la sconfitta dei comunisti non ha danneggiato i lavoratori e le lavoratrici, ma quella delle sinistre moderate e governiste ne ha peggiorato la già scarsissima qualità di vita.
A voi la scelta, se non siete dei padroni: sostenere ogni giorno e votare in primavere forze che non mettono in discussione chi vi ha portato lentamente ed inesorabilmente al peggioramento delle vostra vita oppure votare chi, con un cammino tutto da iniziare, vuole ricostruire una dinamica sociale che metta in discussione tutto questo. Senza se e senza ma.

MARCO SFERINI

23 novembre 2017

foto tratta da Pixabay

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